Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

82 SCHEDE/TEATRO pochi dei problemi fondamentali di interpretazione che vi si riferiscono. Basta leggere, per rendersene conto, il saggio di apertura su La nascita del melodramma, che dimostra, attraverso le rivoluzioni del gusto succedutesi tra il Cinquecento e il Seicento, ma con possibili applicazioni fino alla prima metà del Novecento, la relatività del concetto di nuovo in musica e nell'opera in particolare, così come la necessità delle cautele da usarsi nel valutare i giudizi sul passato prossimo da parte degli innovatori (è il caso del distacco da Verdi delle avanguardie tardo ottocentesche e della preferenza del pubblico colto per il teatro di Wagner, in una prospettiva di superamento verso "l'avvenire" che sembrava non ammettere repliche). Una parte del libro è dedicata al teatro di Mozart, con capitoli su opere meno frequentate (ldomeneo, La clemenza di Tito) e su capolavori di dominio universale (Il ratto dal serraglio, Cosìfan tutte). Il percorso mozartiano è seguito a vari livelli, dall'articolo di sintesi al saggio più diffuso. Le pagine più alte, in questa sezione, sono quelle su La geometria amorosa di Cosìfan tutte, rielaborate tra il '56 e 1'83 e destinate a restare nella sterminata bibliografia mozartiana come un punto fermo per la capacità di evidenziare motivi settecenteschi e attrattive d'oggi, spunti illuministici e ambiguità meno dichiarate. Esse devono apprezzarsi anche sotto un più modesto profilo (come le pagine analoghe dedicate alla lettura delle Nozze e del Flauto magico, per quest'ultima finora solo in dispense universitarie): la chiarezza dell'analisi, che permette di conoscerne la struttura e seguirne gli svolgimenti anche a chi non sappia leggere la musica, sull'onda di quanto ciascun ascoltatore può ricordare e capire. Mozart, peraltro, è autore che consente a Mila di produrre diversi esempi di come il genere opera in musica si sia in certi momenti evoluto. E a questo proposito illustra il programma mozartiano di portare una visione nuova del teatro "in seno alla gloriosa opera italiana", insitendo sul fatto che essa si manifesta nella sublime capacità del salisburghese di "istituire una dialettica dei generi musicali" che è una delle "radici nevralgiche" della sua arte. Un'altra di tali radici, ugualmente importante per i successivi svolgimenti della storia dell'opera, è vista da Mila nella poetica dell'edonismo, dichiarata da Mozart e destinata a costituire una linea di discrimine rispetto a quanti (per dirla con Stendhal) avrebbero sacrificato "a qualche altra intenzione il piacere fisico" che la musica "ci deve dare innanzi tutto" (come se, precisa Mila, "avesse già previsto, con un presago orecchio interno, Wagner, Schonberg ... Wozzeck di Berg e Lulu"), e quindi in un atteggiamento (immediatamente poi anche rossiniano) totalmente contrastante con gli sviluppi del cosiddetto dramma musicale. L'opera come forma popolare della comunicazione artistica è un altro dei temi del libro. Mila espone in modo suggestivo i termini del rapporto tra pubblico e melodramma e individua con riferimento al melodramma belliniano e donizettiano le caratteristiche del romanticismo italiano rispetto a tendenze romantiche di diversa area nazionale. Privo di aperture alla natura e al paesaggio, privo di reali aperture verso la trascendenza, il nostro romanticismo musicale si concentrò tutto sull'amore e le passioni individuali. li melodramma fu così una école du coeur per "una società che non possedeva libertà politica né di pensiero, e appena in pochi strati più avanzati cominciava a sentirne il bisogno": "Di malmaritate come Maria di Rohan, come Francesca da Rimini, ce n'era a dovizia fra le dame milanesi che appoggiavano le braccia ben tornite sul velluto rosso dei palchi della Scala", ed era naturale che identificassero i sogni della giovinezza in Edgardo, nel Pirata, "nel pallido tenore in nero manto" nel quale "scorgevano l'immagine del cugino uffiziale o poeta cui avevano dovuto rinunciare a vent'anni per andare spose a un facoltoso industriale tessile". Come era naturale che più tardi, mutata la società italiana, i suoi ideali patriottici e politici si riflettessero nell'opera di Verdi. Questa funzione di comunicazione artistica che il melodramma ha avuto in tutta la sua storia, e che ha trionfato per tutto l'Ottocento (con una appendice primo novecentesca, scadente, assicurata dall'opera verista e piccolo borghese) è, secondo Mila, del tutto venuta a mancare nel nostro tempo. Il che non significa che l'opera abbia finito il suo percorso. Non più "opera degli affetti privati", non più forma privilegiata di teatro, non più modello di comportamento individuale e collettivo, essa è sopravvissuta trasformandosi, e quando non è divenuta strumento di comunicazione '' epica, sacrale e civile'', è restata comunque una delle forme degli esperimenti della musica contemporanea. La conferma della vitalità del genere si può trovare, nell'ultima parte del libro di Mila, leggendo le analisi di alcuni esempi di opere del Novecento che corrispondono a queste nuove realtà: da Jenufa all'Angelo di fuoco, da Elettra a Mathis der Mater, dal Prigioniero a Ulisse di Dallapiccola, un compositore al quale Mila è stato assai vicino e che sembra aver dato voce ai suoi stessi ideali. TEATRO l' ALCHIMIA DIRONCONI GianandreaPiccioli Le due commedie in commedia di G.B. Andreini, per la regia di Luca Ronconi, prodotto dalla Biennale di Venezia e dal Teatro di Roma, si annunciava come lo spettacolo di punta di una manifestazione che nel suo insieme meriterebbe un più ampio esame, qui ovviamente impossibile, per rigore di intenti, originalità di programma, lungimiranza progettuale, capacità di stimolare riflessioni e suscitare interrogativi. E questo discorso a sé sulla Biennale Teatro sarebbe tanto più necessario perché il suo presentarsi come "provocatoria" rispetto all'atmosfera stagnante nella riserva teatrale italiana le ha ottenuto scarsa o insufficiente risonanza nell'ambito della cultura ufficiale e al momento sembra che la seconda parte del progetto triennale sia addirittura rinviata di un anno (ufficialmente per problemi economici: ma quanto costano gli allettamenti turistici del progetto Disney?). Ma revenons à nos moutons, allo spettacolo ronconiano che non ha assolutamente deluso le attese e anzi si è rivelato uno dei più interessanti della manifestazione veneziana e uno dei pochi di cui valga la pena di parlare nell'attuale panorama della scena italiana. Impossibile riferire qui la trama della commedia di Andreini (e rinviamo chi volesse notizie sull'autore all'articolo di G. Davico Bonino, G.B. Andreini o la traversata dei generi, alle pp. 24-29 del catalogo del settore teatro, curato da E. Arosio). Anche alla lettura essa risulta intricatissima e quasi incomprensibile, mentre sulla scena tutto si snoda secondo una chiarezza geometrica, o una "partita di scacchi", come dice Ronconi. Il tema di fondo è costituito comunque dalle vicende di Rovenio, ricco mercante appassionato di teatro che, a Venezia, incarica Lelio di allestire due commedie - una di cornici dell'arte e una di attori dilettanti - per festeggiare l'arrivo in città dell'amico Zelandro. Ma Lelio, come Amleto, si serve delle due commedie per rievocare sulle scene episodi non propriamente onorevoli della vita di Rovenio, che verrà così pubblicamente svergognato ma che nello stesso tempo, grazie a questa tardiva, e passiva, presa di coscienza, potrà far ammenda dei torti inflitti agli amici e all'amante negli anni della giovinezza. Parrebbe, dunque, una commedia morale e così l'autore presenta il suo "soggetto stravagantissimo"; si tratta invece di un

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