violenza della conquista armata alla non minore violenza del rapporto coloniale che vede la popolazione locale oggetto via via di distruzione, reificazione o assimilazione culturale da parte delle autorità spagnole. Come è stata possibile, si chiede l'autore, questa "terribile concatenazione" di eventi? Todorov, è chiaro, si preoccupa in primo luogo dei 'segni' della conquista, ed è bene seguirlo su questo piano dove la sua capacità di interpretazione del materiale offre non di rado squarci di verità e intuizioni affascinanti. A suo dire, Cristoforo Colombo non è mosso nel suo errare sui mari principalmente da cupidigia. Da convinto cristiano egli ricerca in primo luogo la vittoria universale della Fede; si ritiene, e in una certa misura è, l'inviato straordinario della Cristianità e si comporta come tale ("non viaggia mai la domenica", p. 13); la sua stessa ricerca dell'oro americano deve servire alla "liberazione di Gerusalemme'', non alla ricchezza della Corte spagnola. Di qui il "Colombo ermeneuta" che, attraverso la fede, si costruisce una sua "strategia finalistica" nell'interpretazione del reale che lo circonda o che immagina: non ricerca la verità ma conferme alla sua verità (pp. 18-24). Diverso, non per forma ma per contenuto, il procedimento conoscitivo di Cortés, il Conquistatore, che al "rapporto sicuro" tra fede e interpretazione che anima Colombo, sostituisce il proprio diaframma di comunicazione basato sul binomio 'comprendere-impadronirsi'. La brama conoscitiva di Cortés è, in altre parole, tutta tesa al raggiungimento del fine affidatogli, l'annessione di una nuova provincia all'impero spagnolo. La sua ermeneutica ne consegue: Cortés 'legge' la società azteca solo per coglierne i segni di debolezza, di cedimento, il punto più conveniente di attacco. Contro questo "sistema di comunicazione", che Todorov definisce "lineare" o "paradigmatico", opera da parte indiana un altro sistema di comunicazione, non meno prestabilito anzi ciclico e rituale, che basa la propria interpretazione del reale su un ordine di credenze fondate sulla divinazione di eventi prefigurati: la profezia è così memoria storica (i racconti indigeni sulla conquista cominciano sempre con l'enumerazione dei presagi che annunciano, e in qualche modo. predeterminano, la sconfitta). Di qui l'im- · magine deformata che spagnoli e indiani si fanno l'uno dell'altro. I primi vedono negli indiani degli esseri umani "imperfetti", da annientare o da assimilare in base alle mutevoli esigenze della Corona o della Fede; i secondi vedono nell'arrivo degli europei la ripetizione ciclica di una maledizione divina, se non l'impersonificazione stessa della divinità in collera. In questo "urto tra mondo rituale e avvenimento unico", in cui vince "il paradigma a danno del sintagma, il codice a detrimento del contesto" (p.106), il sistema dicomunicazione lineare dei conquistadores spagnoli si impone facilmente sulla ripetizione ciclica di eventi prefigurati dei re aztechi. Così Cortés l'estroverso, l'improvvisatore scaltro, il politico realista, ha la meglio sul sovrano rituale Moctezuma che invano cerca nei cicli del passato ispirazione alla sua condotta di fronte alla improvvisa, e non codificabile, minaccia esterna. Inefficaci gli strumenti di comunicazione, inefficaci i tentativi di resistenza. Così gli spagnoli, "indiscutibilmente superiori agli indiani nella comunicazione interumana" (p.118), vincono la guerra. Questa ricostruzione semiologica della In alto: Le Indie Occidentali nel 1493 (dal libro di Todorov, Einaudi). In basso: Moctezuma, imperatore del Messico (dal libro citato). SCHEDE/SAGGISTICA conquista, qui riassunta per sommi capi, ha un indiscutibile pregio: quello di riporre in termini diversi da quelli consueti il problema dell'altro "lontano ed esterno", un altro da sé la cui presenza nell'inconscio collettivo europeo, e nelle manipolazioni esteriori cui ha dato luogo nel tempo, si è tradotta in forme storicamente determinate (schiavismo, colonizzazione, omogeneizzazione culturale) in cui l'Europa ha sempre cercato - come afferma efficacemente Todorov - "di assimilare l'altro, di far scomparire l'alterità esteriore" (p.300). Su questo, che è il tema di fondo del volume, la lettura semiologica degli eventi narrativi costituisce un contributo di tutto rilievo. Da un punto di vista storico pare a me meno convincente, invece, la spiegazione data da Todorov sui motivi della conquista, o sul tracollo delle civiltà indiane, affidata principalmente a uno scontro tra sistemi di comunicazione opposti, "lineari" o "ciclici" che siano. Il 1492 apre, si, l'era moderna, ma la apre non per sola fede, o per pura cupidigia di individui o di corti, ma per una visione imperiale del mondo che l'Europa ha imposto al resto dell'umanità "esterna e lontana" fino a tempi recenti. Lo strumento della conquista, così come la violenza collettiva cui dà luogo, sono i prodotti storicamente determinati dell'ambizione di dominio e di padronanza s~ll'orbe terrestre della Spagna del tempo, sorretta efficacemente da un sistema economico e da una strategia di espansione tecnologicamente adeguati al compito (navi, armi da fuoco) uniti allagaranzia che l'altro lontano ed esterno (la 'colonia') non è soggetto alle stesse leggi e agli stessi diritti che reggono la società metropolitana. Gli spagnoli in realtà non 'vedono' gli indiani - dove per spagnoli leggi europei, e per indiani leggi terzo mondo - non perché hanno sistemi di 'segni' diversi, ma perché sottomettono questi segni alle esigenze di dominio che lo stato si propone. La scoperta di Colombo, la conquista di Cortés, o l'assimilazione degli indiani ai valori e ai costumi dell'Europa del tempo seguono tutte un filo logico, questo sì lineare, di violenza collettiva di cui la donna maya divorata dai cani è tragico simbolo. Non si spiega altrimenti il passaggio - che rimane offuscato in un'analisi solo semiologica - dal mito del "buon selvaggio" nella prima fase, quella celebrativa, della scoperta, a quello non meno deviante degli indiani come esseri subumani e demoniaci al momento delle necessaria giustificazione della conquista; o infine al mito degli indiani "esseri imperfetti" su cui la Spagna allora, e l'Europa poi, si è arrogato un diritto di tute79
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