Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

identità; un coacervo di sentimenti confusi e ambigue ideologie; un periodo in cui "le vecchie coordinate storiche non si adattano più alla vita; quellè nuove, se mai esistono, hanno stretti legami non con i dominatori, ma con i dominati" (articolo citato). L'epigrafe del romanzo è significativamente tratta da Gramsci: il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere; ciò che esiste per ora è l'impossibile convivenza bianchi/neri. Gli Smales stentano ad adeguarsi alla nuova situazione. Essi si aspettano in qualche modo che la fiducia da loro accordata a Luglio nei quindici anni in cui è stato al loro servizio continui a mantenere nello stesso equilibrio i loro rapporti, mentre invece i ruoli nella nuova situazione sono totalmente ribaltati. Sono loro a trovarsi in casa di Luglio e a dipendere da lui per le necessità minime del vivere quotidiano, per l'acqua e il legname. E Luglio con i suoi modi obliqui e il linguaggio spezzato saprà avere la meglio, prima impossessandosi del bakkie, il veicolo che assicurava alla famiglia la possibilità della fuga, poi dell'unica arma di loro proprietà. È lui ora a stabilire le nuove convenzioni, i nuovi codici di comportamento ed è colpa degli Smales non riuscire ad adeguarvisi. Sono i bambini (simbolo del futuro?) i soli in grado di vivere da pari e in maniera naturale il rapporto con i coetanei neri. Eppure Bam e Maureen sono parte di quella sparuta minoranza all'interno della minoranza bianca sudafricana che non crede nelle leggi che governano il loro vivere sociale e politico: "Erano fuggiti per sottrarsi ai combattimenti per le strade, al pericolo per i loro bambini, alla necessità di difendere le loro vite in nome di ideali che non condividevano in una società di bianchi distrutta, in cui non credevano." (p. 61). Ora cominciano a chiedersi se ci sarà per loro un ritorno. In una Azania tutta nera, il futuro stato indipendente, ci sarà posto per i bianchi? quale sarà il destino dei progressisti come gli Smales? li romanzo ha un finale spietato. Una mattina di sole in cui "è una fortuna essere vivi" e tutti sembrano conciliati con la natura, Maureen al limite delle sue capacità di adattamento e di comprensione, avvertendo forse dentro di sé quel "terrore dell'abisso" di cui Gordimer parla altrove, lascia la capanna per fuggire verso il rombo di un elicottero nella boscaglia: "Maureen corre: fidando in se stessa con tutta la forza di un istinto da sempre represso, vigile, come un animale solitario nella stagione in cui gli anill)ali 'non cercano un compagno né si prendono .cura dei cuccioli, ma e istono unicariientè' per la loro sopravvi enza indivi- ,. duale... Corre." (pp. 176-177) Con questa splendida metafora di transizione, tutta in movimento, e di imprevedibilità del futuro - che per ora è solo un fragore, una "cosa elettrizzante e terrificante" - si conclude un romanzo di grande forza visionaria. Un discorso a parte va fatto sulla traduzione di Occasione d'amore curata da Pier Francesco Paolini, a volte sconcertante per l'estrosità dei registri impiegati. La prosa scorrevole e limpida di Nadine Gordimer viene spesso resa in un linguaggio ibrido, appesantito da arcaismi, finali tronchi, termini inventati ed espressioni (forse gergali?) che si stenta a riconoscere per italiano corrente. La voce di Shibalo è ora un "mùrmure" ora un "chioccolio"; il collo di Ann è "pinturicchiato" di nei e il viso le diventa "grezzo" per il caldo. "Un'abbracciata di vestiti", "uno squittente spettacolo", "un'erba succulenta", i "picniccanti" e il nesso grammaticale, più volte ripetuto, "chenné" sono solo alcuni tra gli esempi più vistosi della prosa impiegata nella traduzione italiana. L'INESAURIBILE BERNHARD MariaMaderna Austriaco, cinquantenne, Thomas Bernhard scrive dal 1963 ed è un autore inesauribile: ha firmato quattordici commedie (in parte tradotte da Ubulibri) mentre le sue opere in prosa - alcune delle quali apparse da Guanda, Adelphi e Einaudi - comprendono, ormai, una ventina di titoli. Thomas Bernhard. SCHEDE/NARRATIVA In Italia, l'opera di Bernhard ha dato l'avvio a un caso di scoperta che, a seconda dei casi, si è rivelata infatuazione o perplessità. Bernhard infatti è solito presentare nei suoi libri un'umanità decisamente disumana, nonché la storia come falso e l'arte come pratica coercitiva, esprimendo il tutto, però, con una raffinatezza linguistica che sfiora il manierismo. Agli squarci di un mondo catacombale, ai quadri di un'esistenza malata, patologicamente perduta in un ghigno perenne, ci aveva già, comunque, familiarizzato Beckett. Ecco allora spiegata la sensazione di già visto leggendo Perturbamento (1967; Adelphi 1981) e, in particolar modo, La fornace (1970, appena pubblicato da Einaudi), entrambi caratterizzati da personaggi più che mai grotteschi e dai loro sferzanti monologhi; o considerando la situazione tratteggiata in Alla meta (1981; Ubulibri 1984) in cui si raddoppiano le agonie dei solitari costretti a ritrovarsi tra altri solitari, come in un cronicario dove la malattia incurabile è la stessa per tutti, la stessa sanguinosa incapacità di rapporti. Se la provocazione tematica ha perso d'attualità, ciò che attira in Bernhard è l'essere poeta della comicità e dell'orrore. (Neppure questo un tratto nuovo, si dirà.) Il suo pessimismo è infatti così radicale da instillare il dubbio di una nascosta parodia; gli eccessi dei suoi personaggi, e l'accumulo di sadismo fisico e verbale finiscono per scaricarsi in una risata. È proprio questo pessimismo che potrebbe rivelarsi, come dice l'autore, "sfida al labirinto"; quasi che solo ammettendo la negatività, anzi assumendola a canone, solo accettando il meccanismo della distruzione sia possibile ridurlo, contenerlo entro determinati limiti, conferirgli una forma. Per questo Bernhard sembra dimostrare una fiducia incrollabile nella capacità esorcizzante dello stile; e, erede di certa avanguardia storica soprattutto viennese, l'autore rafforza la magia della parola. Il linguaggio è ora frammentario e folgorante, ora stratificato e superanalitico, e Bernhard si diverte alternando alle precise elucubrazioni del testo, ai contorsionismi verbali, una lapidaria sinteticità che ben presto si trasforma nel suo contrario, e viceversa. Si tratta comunque, per le sue opere, di una lettura non accogliente, di libri ardui, stagnanti (anche se danno l'impressione di essere continuamente in moto). Le opere teatrali si rivelano, in questo, più efficaci: pur se lo stile è ellittico, la scrittura quasi in versi fa risuonare la voce dei protagonisti come fosse uno scioglilingua cantilenante, in cui meglio si sente la musicalità, suggerita di Macno alla vigilia di un discorso, più volte 75

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