ILSOGNODELPONGO José Maria Arguedas Alla memoria di don Santos Ccoyoccossi Ccataccamara, consiglierescolastico della comunità di Quispicanchis, Cuzco. Don Santos venne a Lima sei volte; ottenne di essere ricevuto dai ministri dell'Istruzione e da dife presidenti della Repubblica. Parlava solo quechua 1 • Quando fece il primo viaggio a Lima aveva più di sessant'anni; tornava al suo villaggio portando in spalla parte del materiale scolastico e delle dotazioni che riceveva. È morto due anni fa. La sua maestosa e tenerafigura continuerà dall'aldilà aproteggere la sua comunità e ad accompagnare coloro che ebbero lafortuna di conquistarsi il suo affetto e di ricevere l'esempio della sua tenacia e saggezza. rn n omino s'incamminò verso la tenuta del padrone. Sic- ._. come era servo andava a compiere il suo turno di pongo 2 , di servitore nella grande casa. Era piccolo, di corporatura misera, di animo debole, un essere penoso, vestito di stracci. Il gran signore, padrone della tenuta, non potè trattenersi dal ridere quando l'omino lo salutò nel ballatoio della casa. - Sei una persona o che diavolo sei? - gli chiese alla presenza di tutti gli uomini e le donne al suo servizio. Umiliandosi, il pongo non rispose. Intimorito, con lo sguardo vitreo, rimase in piedi. - Vediamo - disse il padrone -, sarà in grado di lavare le pentole o almeno di usare la scopa con quelle mani che sembrano buone a nulla. Portati via questa schifezza! - ordinò al capoccia della tenuta. Il pongo inginocchiandosi baciò le mani al padrone e tutto chino seguì il capoccia nella cucina. L'omino era piccolo di corporatura, ma la sua forza era quella di un uomo normale. Qualsiasi cosa gli ordinassero la faceva bene. Ma aveva un'ombra di spavento sulla faccia; alcuni servi ridevano nel vederlo così, altri ne avevano pena. "Orfano figlio di orfani; frutto del vento della luna dev'essere il ghiaccio dei suoi occhi, il cuore pura tristezza", aveva detto vedendolo la cuoca meticcia. L'omino non parlava con nessuno; lavorava senza aprir bocca; mangiava in silenzio. Eseguiva tutti gli ordini: "Sì, papacito, sì mamacita3 ", era quanto soleva dire. Forse per quella sua espressione spaventata e per i suoi indumenti laceri e probabilmente anche perché non voleva parlare, il padrone provò per l'omino uno speciale disprezzo. Al crepuscolo, quando i servi si riunivano nel ballatoio della casa padronale per recitare l'Ave Maria, a quell'ora, il signore martirizzava sempre il pongo davanti alla servitù, lo sbatacchiava come un pezzo di carne. L'afferrava per la testa e lo costringeva a piegarsi e, mentr'era lì in ginocchio, gli dava dei piccoli calci in faccia. - Io credo che tu sia un cane. Abbaia! - gli diceva. L'omino non riusciva ad abbaiare. - Mettiti a quattro zampe - allora gli ordinava. Il po~go obbediva e faceva qualche passo a quattro zampe. ,.,,. Tndia dellaprovincia di Camajarca , (foto )ii Cdr/a Pallini I agenzia Grazia ,Neri). j I, - Trotterella di sbieco, come un cane - continuava a ordinargli il proprietario. L'omino sapeva correre imitando i cagnolini dellapuna4. Il padrone rideva di cuore, le risate gli scuotevano il corpo. - Torna indietro! - gli gridava quando il servo trottei;ellando raggiungeva il fondo del grande ballatoio. ' Il pongo ritornava, sempre di sbieco. Arrivava ansante. Alcuni servi, suoi pari, recitavano nel frattempo l'Ave Maria, lentamente, come vento che respira nel cuore. - Drizza le orecchie, viscaccia5! Ora sei una viscaccia! - ordinava il signore all'omino sfinito. - Sollevati sulle zampe, congiungi le mani. Come se nel ventre della madre avesse subito l'influsso modellatore di una viscaccia, il pongo imitava esattamente la figura di una di queste bestiole, quando se ne stanno quiete, in atteggiamento di preghiera sulle rocce. Ma non riusciva a drizzare le orecchie. Colpendolo con lo stivale, con un calcio leggero, il padrone lo faceva ruzzolare sul pavimento di cotto del ballatoio. - Recitiamo il Padrenostro - diceva poi ai suoi indios che aspettavano in fila. Il pongo si alzava adagio e non poteva pregare perché non si trovava al suo posto e quel posto non corrispondeva a qualcuno. All'imbrunire i servi scendevano dal ballatoio nel patio e si dirigevano alle loro casupole. - Vattene, verme! - ordinava allora il padrone al pongo. D così tutti i giorni il padrone faceva sgambettare il nuovo pongo davanti alla servitù. Lo costringeva a ridere, a simulare il pianto. Ne fece lo zimbello dei colonos6 suoi pari. Ma ... una sera, all'ora dell'Angelus, quando tutto il personale della tenuta affollava il ballatoio, quando il padrone cominciò a fissare il pongo col suo sguardo intenso, quell'omino parlò con molta chiarezza. Sulla faccia aveva ancora un'ombra di spavento. - Signore, dammi il permesso, padrecito, di parlarti. Il padrone non credette alle sue orecchie. - Cosa? Sei stato tu a parlare o un altro? - chiese. -Ti prego,padrecito, dammi il permesso di parlarti. Voglio parlare con te - ripetè il pongo. - Parla ... se ne sei capace - rispose il proprietario. - Padre, mio signore, anima mia - cominciò a dire l'omino. 1 La lingua degli Inca tuttora parlata dagli indios. 2 Indios legati da servitù a una proprietà terriera. 3 Papacito, padrecito, mamacita, madrecita, diminutivi rispettosi e affettuosi, equivalenti al batjuska russo, con cui gli indios usano riyolgersi ai bianchi. 4 L'altipiano andino. 5 Roditore simile'alla lepre, con orecchie corte e coda lunga come quella di un gatto. 6 Indios servi della tenuta.
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