Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

E. L. Doctorow (foto di liii Krementz, 1976, dalla copertina di Ragtime, Mondadori). AMERICA,MERICA ••• INCONTRO CONE.L.DOCTOROW a cura di Marina Bonatti e Annamaria Costanza Un romanzo "sovversivo" A un certo punto del Libro di Daniel lei si riferisce a Poe definendolo uno scrittore "supersovversivo". Condivide le concezioni di Poe e ne ammira la tecnica letteraria? È qualcosa di più personale: io mi chiamo Edgar come Edgar Allan Poe. Quando, ancora ragazzino, lo venni a sapere, decisi di leggerlo e amai ogni cosa che aveva scritto. Mi attraeva la sua morbosità. Mi piaceva tutto di lui: la sua poesia, la sua prosa. Ciò che Io rende sovversivo nel senso inteso da Daniel è che egli rappresentò un po' il lato opposto e oscuro della cultura americana, molto fiduciosa, ottimista e razionalista. Va ricordato che mentre Poe scriveva c'era gente come Emerson e c'era la politica dell'illuminismo razionalista di Jefferson e Adams. Era quasi una necessità politica e religiosa ricacciare indietro i propri demoni. Ignorarli. Parlarne in astratto. Poe ne parlò in modo molto specifico. Lasciò che la mente umana fosse davvero una prigione oscura e ossessiva. E questo lo rese sovversivo nel senso più ampio e filosofico del termine, rispetto agli ideali su cui questo paese era fondato - ideali cioè razionalistici, di equità, giustizia, franchezza, uguaglianza - che non potevano ammettere l'oscurità più profonda, la vera, eterna, indifesa, oscurità misteriosa. È in questo senso che Poe fu un sovversivo. Nei suoi romanzi, particolarmente nel Libro di Daniel, era sua intenzione combattere le ideologie prevalenti nella società americana infavore di un altro messaggio e ideale politico? Ho voluto scrivere opponendomi a quello che la gente conosce e crede, sia in base ai propri miti che ai vari generi del romanzo. Ho voluto creare un altro punto di vista, un'altra voce, deludere un'aspettativa. E infatti cerco di dire: "No, le cose non stanno in questo modo ma in quell'altro". Il Libro di Daniel si apre con una citazione dalla Bibbia e due citazioni da Whitman e Ginsberg. Perché le tre citazioni insieme? Prima di tutto Daniel, facendo ciò che fa, è nel ruolo di interprete della storia. Nella Bibbia Daniele interpretava i sogni del re. Quel tipo di interpretazione di sogni o di miti, quel tipo di testimonianza dei significati dell'esperienza, è esattamente ciò che caratterizza Daniel. Così ho pensato che un riferimento biblico fosse appropriato. E ispirandomi a esso ho deciso di chiamare il romanzo Il libro di Daniel. La citazione di Whitman mi sembra anch'essa molto appropriata. L'ho trovata mentre stavo scrivendo il libro e pensai che calzasse perfettamente con quello che stavo cercando di fare: parlare di persone disprezzate. Scrivere non di vincitori, ma di vittime, di perdenti. E poiché l'azione del romanzo ha luogo nel periodo della guerra fredda, dopo la seconda guerra mondiale, anche la citazione di Allen Ginsberg era appropriata. È stato il possesso delle armi nucleari che ha cambiato l'intera nostra visione di vita in questo paese. Come nazione noi, dopo la seconda guerra mondiale, avremmo avuto altre possibilità di scelta. E alcuni dei nostri leaders politici tentarono, ma furono sopraffatti dalla linea politica seguita per la quale abbiamo dovuto riscrivere gran parte della storia e spaventare molta gente. È esattamente quello che abbiamo fatto. E quello che stiamo ancora facendo. Quindi è stato il possesso di quella bomba che ci ha trasformati caratterialmente in ciò che siamo oggi. Il che non significa che siamo stati un po' più saggi e cauti nell'usare quelle bombe. Ecco allora perché compaiono i versi di Ginsberg, perché sono, come del resto tutto il romanzo, una condanna di questa cosa davvero tremenda e autodistruttiva. La fine del libro implica un giudizio politico sugli USA e sull'URSS? Sì, su entrambi. Nel senso che si è creato un sistema di superpotenze di tale peso politico da poter essere, anzi da essere un vero disastro per buona parte del mondo. E in modo spaventoso ognuna di esse conta sull'altra per giustificarlo. Una specie di alleanza maledetta.

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