68 DISCUSSIONE/PIANCIOLA raris mette bene in rapporto alla rinuncia al pathos dell'autenticità, anche come rinuncia al lutto per la pienezza perduta, per l'identità "forte" derivante dalla coincidenza di esistenza e significato. "Il soggetto declina - commenta Ferraris (Tracce, pag. 151) - in molti sensi: accettando i limiti, ma anche la ricchezza, del mondo del 'si' e dell'opinione pubblica, abdicando alle proprie pretese narcisistiche di autenticità; ma declina anche così come si declina una declinazione, cioè si pluralizza, e apre, ai molti sensi possibili che si aprono nel momento in cui si sia abbandonato il pathos dell'autenticità". Analogamente a certe indicazioni della sociologia della tarda modernità anche la filosofia della tarda modernità rileva come possibilità emancipativa la pluralizzazione degli ambiti di esperienza e dei "mondi della vita". r:,uello che manca, e forse verrà fatto in seguito, è un ap- ~profondimento critico dei tratti contraddittori della situazione tardo moderna, una concreta fenomenologia degli intrecci tra asservimenti e possibilità emancipative. C'è però un solido punto di partenza: l'abbandono della prospettiva di liberazione "oltreumana", del sogno di un soggetto metafisicamente pieno e riconciliato, che era ancora all'orizzonte della rilettura di Nietzsche condotta da Vattimo in Il soggetto e la maschera (Bompiani, 1979), e che corrispondeva alle attese dialettico-utopistiche del passato prossimo. Nel contempo, contro un azzeramento dei possibili e del punto di vista critico, contro l'accettazione 'dionisiaca' o rassegnata dell'esistente, c'è il rifiuto della presenzialità affermativa, della glorificazione dei simulacri e del bailamme 'postmoderno'. Si cerca una via d'uscita che accetti serenamente e senza rimpianti la rinuncia alla 'disalienazione' piena e totale promessa dalla metafisica, senza cadere nell'appiattimento vitalistico sul gioco delle forze e delle presenze. Si rinuncia alla "liberazione" in senso forte ma non alla carica emancipativa della critica. La bussola filosofica che permette alla "ontologia debole" di navigare tra gli opposti scogli è la nozione heideggeriana di "differenza". Nella lettura di Vattimo mi pare sia un concetto limite in senso kantiano: ricordare che gli "enti" non sono l' "essere" impedisce la loro assolutizzazione metafisica, l'ubris 'tecnocratica e decisionistica da un lato, l'abbandono vitalistico al gioco delle forze dall'altro, circoscrive le pretese teoretiche e pratiche e evidenzia la finitudine dell'esserci. In questa direzione uno degli effetti teoretici più rilevanti è il recupero, spogliato del pathos paleoesistenzialistico, del concetto heideggeriano dell'esserci come essere-per-la-morte. Sganciata dall'alternativa secca tra vita autentica e inautentica e quindi dalla problematica paleoesistenzialistica e criptoreligiosa della "conversione" e della "decisione risoluta" a favore del "destino", la nozione dell'esistenza come essere-per-lamorte impegna l'identità debole nello spessore critico della memoria e della storia: "solo la finitezza temporale dell'esistenza, il succedersi effettivo delle generazioni, e dunque la morte ... , fonda la possibilità della storia come tras-missione di messaggi, come accadimento non accidentale, ma ontologicamente rilevante, nella vicenda delle interpretazioni" (Al di là del soggetto, pag. 8). Da questa architettura filosofica deriva però anche una separazione, che riteniamo poco fondata teoreticamente ancor prima che dubbia praticamente, tra passato e futuro, memoria e progetto, con un netto privilegiamento del primo termine. (Crediamo che nella loro non separazione l'esistenzialismo, così come alcune filosofie della prassi, avessero un punto di forza). Vattimo afferma: "l'idea che la progettualità sia il carattere peculiare dell'uomo libero finisce per venir messa in crisi: il rinnovamento accelerato è piuttosto opera degli automatismi del sistema; ciò che diventa veramente umano è la cura di ciò che è stato, dei residui, delle tracce del vissuto" (Al di là del soggetto, pag. 11). In realtà ciò che fonda la costituzione della memoria come struttura dell'identità (individuale e sociale), per quanto destituita dei caratteri 'forti' metafisici o dialettici, non è il puro aprirsi al passato. In questo caso il bailamme postmoderno diventa inevitabile: tutto ritorna nella confusione dei revivals e nell'infinita dispersione di ciò che è stato. La memoria, psicologicamente e ontologicamente, è invece selezione, scelta, costruzione. E ciò che rende possibile l'istituzione del passato al di fuori della vacuità del consumo estetizzante è soltanto il progetto del futuro, come - tra l'altro - dimostrano molte pagine di Essere e tempo. Residui, tracce. Tracce si intitola anche il bel libro di Ferraris che abbiamo più volte citato. Esso si apre con una figura, tratta da un'opera di Poi Bury: un arco di trionfo parigino rammollito, gelatinoso, accartocciato e grinzoso. La struttura imperiale che doveva eternare nel marmo la vittoria e la forza ondeggia penosamente. La figura richiama efficacemente il declino del soggetto e delle sue istanze forti, la critica ironica e "decostruttiva" delle pretese alla totalità e alla pienezza, l'occhio pietoso del tardo moderno per il passato come disfacimento, tracce e rovine. Possiamo immaginare che i turisti delle rovine che vediamo addensarsi sulla sommità di quest'arco di trionfo rammollito osservino dall'alto una Parigi altrettanto incerta e gelatinosa: vedranno ondeggiare !esChamps Élysées e Notre Dame ... Peccato che voltino le spalle alla Défense. Tutti presi dalla rimemorazione decostruttiva delle rovine si curano troppo poco della lucida selva di vetrocemento in cui poi, in definitiva, dovranno vivere. Un eccesso di pietas rimemorante potrebbe essere altrettanto nocivo quanto l'eccesso di cultura storica già denunciata dal giovane Nietzsche e risentire, più di quanto si vorrebbe, di un'enfasi veteroumanistica4. I Per alcuni recenti sviluppi delle ricerche delle/sulle donne in tema di identità si possono leggere gli interventi raccolti in Maschile e femminile. De/l'identità e del confondersi, Dedalo, 1984. 2 G. Vattimo, Al di là del soggetto. Nietzsche, Heidegger e l'ermeneutica, Feltrinelli, 1981, 3 Una introduzione di grande chiarezza e lucidità ai diversi percorsi del nichilismo contemporaneo si trova ora in M. Ferraris, Tracce. Nichilismo, moderno, postmoderno, Multhipla edizioni, 1983. Ferraris elabora posizioni molto vicine a quelle di Vattimo, 4 Sul problema della memoria collettiva nell'attuale costellazione industriale rimando alle utili considerazioni svolte da Marco Revelli in "Ombre Rosse", 33, pp. 40-44.
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