L'IDENTITDÀEBOLE Cesare Pianciola B metafora conradiana della "linea d'ombra" che dà il itolo a questa rivista - metafora esplorata nella molteplicità dei suoi rimandi da Filippo La Porta sul primo numero, del marzo 1983 - indica anche, per lo meno nel suo significato più immediato, una situazione di crisi d'identità, una zona di crepuscolo in cui vengono a mancare "vitalità e personalità" e si percepisce acuta "la minaccia del vuoto". È una situazione che alimenta in modo dichiarato o latente gran parte della letteratura contemporanea, della riflessione filosofica, dell'indagine psicologica, ma che oggi, per circostanze che sono sotto gli occhi di tutti, acquista nuovi rilievi e urgenze. Per esempio l'ultimo libro di Giovanni Jervis (Presenza e identità. Lezioni di psicologia, Garzanti, 1984)ci dà indicazioni preziose sulla costituzione della psicologia dal tronco della filosofia moderna come indagine sulla identità soggettiva: la nascita della psicologia non corrisponde a un generico progresso del sapere, "da un lato la psicologia è aspetto dell'amministrazione dlil potere come classificazione delle persone e previsione e manipolazione dei comportamenti ... Da un altro lato la psicologia risponde alla necessità di definire in termini esatti i modi della conoscenza di sé: e quindi è ricerca di rassicurazioni. A una società relativamente statica è subentrata una società più dinamica; all'identificazione di chiunque con il destino pertinente alla propria nicchia sociale un più libero mutare di ruoli, che richiedono di essere definiti. L'interrogarsi tradizionale su un destino metafisico concepito in modo rigido ha dunque ceduto il passo a un più duttile ma più insicuro chiedersi quale sarà la propria capacità di tenuta e di autoaffermazione all'interno dei nuovi apparati laici del potere" (pag. 94). L'invalidazione o l'interna contraddittorietà della rappresentazione di sé si riflette negativamente sul sentimento primario di sé che, richiamandosi a De Martino, Jervis chiama presenza: "l'io vive nell'autoassicurazione circa il sentimento pieno dell'esserci, nella presenza di sé al mondo, nella ricchezza di sensazioni che si concentrano nel viversi autoriflessivo" (pag. 49). In certo senso, nella tarda modernità, la crisi della rappresentazione di sé e quindi del sentimento primario della "presenza" da stato eccezionale e patologico diventa malessere diffuso, patologia della vita quotidiana e disagio della civiltà. Con tutte le conseguenze dell'espansione delle funzioni "terapeutiche" nella sfera della riproduzione sociale, così bene analizzate da Christopher Lasch in La cultura del narcisismo. Un primo dato significativo potrebbe essere il fatto che l'incertezza di sé e la "linea d'ombra" che avvolge insieme soggetto e oggetto rendendo problematici entrambi, da esperienza e tema di limitate élites intellettuali e letterarie tardo ottocentesche e novecentesche diventa sempre di più esperienza diffusa e con scarsi connotati di classe. Forse, come suggerisce H.M. Enzensberger (in Sulla piccola borghesia, Il Saggiatore, 1983), "il dubbio, l'autocritica, persino l'odio verso se stessi... , la confusione, l'inquietudine, l'ingovernabilità", insomma il "bailamme", sono lo stile di vita necessariamente prodotto dalle metropoli tardoindustriali. E forse tutto ciò ha anche a che fare con l'inarrestabile dilagare dello stile intellettuale della piccola borghesia (''È insuperabile maestra nell'arte della razionalizzazione e del dubbio. Ma la sua autocritica e la sua autonegazione sono di portata limitata. Una classe non può autoeliminarsi. Così i dubbi e la distruttività servono alla piccola borghesia, in ultima analisi, da stimolo e da godimento"). Ma se prendessimo queste affermazioni alla lettera saremmo già, seppure in forma autoironica che salva l'invettiva del sospetto di essere erede dei tradizionali anatemi marxisti, all'interno di un giudizio negativo intorno al problema della identità debole o incerta. Vorrei invece illustrare le ragioni delle due alternative che mi sembrano presenti, in consonanza significativa, in alcuni settori sia della cultura sociologica sia della cultura filosofica. In termini necessariamente schematici: l'esperienza della "linea d'ombra" è uno stato negativo di perdita e di "alienazione" cui il soggetto, come l'eroe di Conrad, deve possibilmente sottrarsi? Oppure, è uno statuto costitutivo della tarda modernità che si tratta di assumere consapevolmente, non solo perché di fatto ineliminabile, ma anche perché in qualche modo delinea chances positive e un modo d'essere adeguato ad affrontare l'attuale configurazione del mondo? 11-:'1 er quanto riguarda la sociologia si può fare riferimento U al grosso volume collettivo su Complessità sociale e identità (Franco Angeli, 1983)e alla complementare antologia di testi sociologici a cura di Loredana Scialla (Identità, Rosenberg e Sellier, 1983). I sociologi mettono l'identità "debole" in rapporto all'aumentare della complessità sociale. Come chiarisce Loredana Scialla nel contributo al primo volume e nel saggio introduttivo al secondo (entrambi un'utile rassegna sullo stato della discussione), c'è una specificità del problema "moderno" dell'identità: mentre un certo grado di riflessività è una costante in tutti i tipj di società umane c'è una condizione nuova determinata sia dai processi di secolarizzazione (per cui nella "società moderna" viene a mancare un universo simbolico unitario capace di integrare i diversi ambiti istituzionali e l'individuo in essi: i mondi simbolici proliferano e si differenziano), sia dalla disarticolazione del sociale in diversi sottosistemi con valori, ruoli e richieste di prestazione non solo diversi, ma spesso in conflitto (e questo fin dall'infanzia, sottoposta alle esigenze di differenti agenzie di socializzazione). Viene a configurarsi sempre di più una situazione efficacemente descritta da Peter Berger e altri appartenenti alla "scuola fenomenologica" come problematica pluralizzazione dei mondi di vita. Seguendo le analisi di Berger (tra le più suggestive dell'antologia, pp. 169-201),un aspetto fondamentale della pluralizzazione è la dicotomia tra sfera privata e sfera pubblica, ma la pluralizzazione produce i suoi effetti di frammentazione anche all'interno di ognuna di queste due sfere: per esempio, nella sfera pubblica sono ambiti di vita diversi il mondo della produzione tecnologica e quello della burocrazia; inoltre l'immensa complessità della divisione del lavoro genera mondi di vita spesso reciprocamente incomprensibili. L'esperienza della vita urbana e quella della moderna comunicazione di massa rendono mobili e instabili gli ancoraggi e le identificazioni. "L'individuo, ovunque si trovi, è bombar-
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