Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

64 DISCUSSIONE/SINIBALDI l'ampia riflessione che al tema dedica Carlo Ginzburg nella postfazione al già citato Il ritorno di Martin Guerre di Natalie Zemon Davis. Ginzburg anzitutto esamina il problema dell'adozione di ùn codice narrativo collegandolo ad alcuni passaggi cruciali della letteratura degli ultimi due secoli, e analizzando tra l'altro l'esperienza e le posizioni di Defoe, Fielding, Balzac e Manzoni. Poi critica però apertamente le posizioni di White e di altri filosofi della storia per aver escluso dall'analisi le pretese di verità delle narrazioni: "l'insistenza sulla dimensione narrativa della storiografia'', scriveGinzburg, '' si accompagna ad atteggiamenti relativistici che tendono ad annullare dijatto ogni distinzione trafiction e history, tra narrazioni fantastiche e narrazioni con pretese di verità". Per Ginzburg "va invece sottolineato che una maggiore consapevolezza della dimensione narrativa non implica un'attenuazione delle possibilità conoscitive della storiografia ma, al contrario, una loro intensificazione". Da un lato "la questione della prova rimane più che mai al centro della ricerca storica"; dall'altro "l'intreccio di verità e possibilità" nella conduzione e nella presentazione di una ricerca storica non solo non sconcerta più ma appare adeguato a registrare una situazione in cui "non è soltanto la categoria di narrazione storiografica che si è trasformata, ma quella di narrazione tout court". "La nostra sensibilità di lettori", scrive Ginzburg, "si è modificata per merito di Rostovzev e di Bloch - ma anche di Proust e di Musi!". Questa constatazione, elementare ma curiosamente sottovalutata dagli studiosi intervenuti nel dibattito, è un buon esempio dei molteplici equivoci nei quali la questione dei rapporti tra storia e narrazione è tutt'ora imprigionata. Anzitutto bisogna almeno notare che l'intera discussione rimanda ad altri problemi più generali, senza un riferimento ai quali difficilmente può essere compresa: ne accenno uno solo, ma enorme. Sono le strutture o gli eventi (e magari gli uomini) a determinare il corso della storia? Nel primo caso (che è quello più o meno apertamente e/o totalmente sostenuto dai "nuovi storici", specie francesi), dato che le "strutture" difficilmente possono essere narrate, è chiaro che la storia narrativa è davvero "pseudostoria". Ma credo che alla radice delle attuali difficoltà della un tempo trionfante "histoire nouvelle" ci sia proprio la consapevolezza, per usare le parole di Reinhart Koselleck, "che gli eventi non possono mai essere spiegati in misura sufficiente mediante le strutture che presuppongono, così come le strutture non possono essere illustrate soltanto attraverso gli eventi. .. Ogni evento ha un effetto insieme maggiore e minore di ciò che è contenuto nei suoi presupposti; da ciò deriva anche la sua sempre sorprendente novità ... Gli eventi e le strutture sono intersecati tra di loro, ma non si può ridurre gli uni alle altre". Questa posizione, che appare aliena dalle forzature e le ideologizzazioni di gran parte degli studiosi intervenuti nel dibattito, sembra in grado di fondare, come ha notato Nicola Gallerano, "una procedura conoscitiva che altrimenti potrebbe essere definita approsimativa ed eclettica: l'uso combinato, in storia, di descrizioni, narrazioni, interpretazioni". Insomma: "una scelta a favore della parzialità, persino dell'ecletti- ,,.. smo: un salutare antidoto nei confronti di rinnovate pretese esclusive e totalizzanti". Un equivoco ancora più grave riguarda proprio il cuore dell'alternativa riemergente tra "storia scientifica" e "storia narrativa", e sta nella eccessiva semplificazione dei termini. Quale scienza? E quale narrazione? Da un lato, l'idea di scienza che costituisce uno dei poli del dibattito sembra ignorare quasi completamente tutto un lavoro dell'epistemologia contemporanea che, contro ogni neopositivismo, ha elaborato una concezione che indebolisce il carattere tradizionalmente "forte" della conoscenza scientifica e ha in sostanza messo in luce la dimensione molto meno stabile, inequivoca e astorica del metodo scientifico. D'altro canto, spesso antiquata e superficiale è l'idea di narrazione cui il dibattito pare riferirsi. Qui sta il rischio maggiore di una oggettiva restaurazione della storiografia tradizionale, e specialmente del suo rigido causalismo, quello per cui il prima spiega immancabilmente il dopo. Per riprendere la distinzione usata nei suoi studi sul romanzo da Northrop Frye, c'è una narrativa dell'onde e una narrativa dell'e poi. Recuperando la narrazione, la ricerca storica rischia di riproporre una versione semplificata della prima di queste due narrative. Sulla cui crisi, invece, si fonda tutta la letteratura del Novecento, a partire dalle celebri pagine di Musil ("Beato colui che può dire: allorché, prima che, e dopo che"). Ha ragione Ginzburg a dire che tutto questo ha modificato la nostra sensibilità. Né si può ignorare che se la storia delle macrostrutture, la storia immobile che ignora gli avvenimenti e gli uomini, se non come elementi demografici, ci lascia sempre più insoddisfatti - proprio nel senso di lasciare inesaudite le richieste di conoscenza e comprensione che alla storia rivolgiamo - la soluzione non è certo nel ritorno degli storici a raccontarci non storie ma storielle - che è quello che ci è accaduto dai sussidiari delle scuole elementari in poi, e contro cui, come pubblico della storia, ci siamo ribellati. Non sarà certo il ritorno all' histoire recit di matrice ottocentesca, con il suo rigido e spesso aprioristico finalismo, a colmare i limiti della "nuova storia". Perciò l'invito a un eclettismo antitotalizzante appare non come una scelta di buon senso di fronte alla confusione degli orientamenti, ma come un salutare segno di consapevolezza da parte de~li storici del senso del proprio lavoro. nhi si occupa di "narrare" può imparare dunque qualco- a;asa da questo dibattito. Perché, in modi differenti, gli stessi problemi si ripropongono il,lcampi diversi. Gli effetti nefasti di quella che Hayden White definisce "la demolizione della narrativa" non hanno interessato in questi anni"solo la lette- · ratura. Allo stesso modo, come testimoniano i molteplici dibattiti in corso sul senso della letteratura, un fenomeno che si può definire di "ritorno alla narrazione" si sviluppa in settori anche assai lontani tra di loro. Il problema vero è d! evitare che questa ribellione contro l'ideologia antinarrativa, che ha insieme componenti "libertarie" e restauratrici, non si tramuti in ideologia essa stessa. ..

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