LASTORIA ÈUNROMANZO? Marino Sinibaldi .,, e! libro di Stefano Benni Terra! il giovane programmi- ~ sta Einstein, di fronte all'incapacità del computer Genius di fornire una soluzione accettabile - sulla base dei soli dati assolutamente certi di cui è in possesso - al mistero delle porte incas, lo invita a fornire almeno una versione verosimile usando - eresia, per un computer - "qualcosa di similealla fantasia''. Sembra che molti storici oggi rivendichino un diritto in qualche modo analogo a quello magnanimamente concesso al computer Genius: il diritto a raccontare, a sfidare l'incerto e il non documentato, a usare l'immaginazione nella ricostruzione storica. Ne sta derivando un dibattito che coinvolge storici e teorici della storiografia, categorie separate in genere da forti diffidenze reciproche, e che presenta numerosi elementi di interesse. Il principale è che anche nel campo della ricerca storica - analogamente a quanto avviene in altri settori - sono rimesse in discussione quelle idee-guida che, sviluppatesi nel secondo dopoguerra a partire dalla cultura francese, hanno dominato il campo in modo quasi totale dagli anni '60 a oggi, e si sono tradotte in formulazioni largamente popolari come "storia sociale" e "histoire nouvelle". Al di là delle ovvie ambiguità e imprecisioni dei termini, queste "etichette" hanno indicato scelte, metodi e ambiti di ricerca abbastanza precisi. La discussione in corso si muove di conseguenza tra due poli opposti. Qualche studioso legge questo "ritorno alla narrazione" come sintomo di una preoccupante restaurazione della storia tradizionale, dopo la rivoluzione rappresentata proprio dalla "storia sociale", cioè da una storia fortemente influenzata dai modelli e i linguaggi delle scienze sociali. Altri lo considerano invece un fenomeno positivo, esaltano la sua carica critica di certezze ormai sclerotizzate, ne sottolineano i potenziali sviluppi innovativi nel campo di una disciplina chiaramente in cerca di ridefinizione. Qui ci si limiterà a esporre i termini del dibattito, accennando i motivi di interesse che può avere per quanto riguarda i problemi più generali della narrazione; dando per scontato che le specificità della ricerca storica non permettono assolutamente una trasposizione meccanica dei termini del dibattito, per esempio, al campo della critica letteraria. Ma senza sottovalutare nemmeno le analogie che indubbiamente ci sono, e sembrano riguardare una sorta di autocritica o almeno di revisione delle tendenze dominanti negli ultimi decenni. In Italia una delle occasioni di questo dibattito è stata la pubblicazione nella collana "Microstorie" dell'editore Einaudi del libro della studiosa americana Natalie Zemon Davis Il ritorno di Martin Guerre. Si tratta della ricostruzione di uno straordinario caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento: quello di un agiato contadino della Linguadoca che lascia improvvisamente la moglie e il figlio senza dare notizia di sé per otto lunghi anni; poi ritorna - o almeno così tutti credono, o fingono di credere - e conduce tre o quattro anni di felice vita domestica, finché suscita qualche dubbio sulla sua reale identità e soprattutto fa temere di voler danneggiare alcuni interessi economici dei propri parenti. Spinta da loro, la moglie lo denuncia, affermando di essere stata raggirata da un impostore. Al processo l'uomo, con una performance oratoria davvero straordinaria, riesce quasi a convincere la corte di essere innocente, quando in extremis il vero Martin Guerre riappare. L'impostore è condannato a morte; la donna viene riconosciuta in buona fede e, assolta, riprende una normale vita coniugale. Così riassunta, l'esposizione della vicenda non sembra presentare particolari problemi storiografici; ma in realtà la Zemon Davis si è trovata di fronte a numerosi interrogativi irrisolti: cosa aveva spinto Arnaud du Tilh, detto Pansette, a fingersi Martin Guerre? il vero Martin Guerre e Pansette si conoscevano? la moglie di Martin Guerre era davvero in buona fede? e le sorelle e i parenti? Non solo, ma le fonti dirette (che nel campo della ricerca storica corrispondono un po' ai dati certi del computer Genius) cui la ricercatrice ha potuto attingere sono molto carenti. Gli atti del processo celebrato a Tolosa sono andati perduti. Restano appena le due rielaborazioni letterarie stese già da contemporanei dei due Martin Guerre, la più interessante delle quali è opera di Jean De Coras, il giudice che emise la clamorosa sentenza. La Zemon Davis ha insomma dovuto affrontare problemi analoghi a quelli del computer nel romanzo di Benni: sulla base dei pochi dati documentati, assolutamente certi, è difficile ricostruire la storia, in tutta la sua complessità. Di fronte a queste difficoltà la studiosa americana ha operato con un procedimento che ha due interessanti caratteristiche: da un lato ha esteso la ricerca a tutte le fonti in qualche modo contigue a quelle mancanti, per "scoprire il mondo che i protagonisti della vicenda conoscevari'o" e "le relazioni che potevano avere". Ma poi ha integrato la ricerca con ipotesi e congetture personali, "unendo accortamente", secondo il commento di Carlo Ginzburg, "erudizione e immaginazione, prove e possibilità". La Zemon Davis ha dunque condotto e presentato una ricerca storica con un taglio sostanzialmente narrativo. Il suo libro appare un esempio significativo del fenomeno che è stato definito il revival, il ritorno della narrazione. La definizione appartiene allo storico inglese Lawrence Stone, che così ha intitolato un saggio pubblicato nel 1979sulla rivista "Past & Present" e poi tradotto in Italia sul numero 183 di "Comunità". Per Stone le cause del ritorno alla narrazione sono sostanzialmente due: la prima è il fallimento del tentativo della storia sociale e della nuova storia francese di costruire la propria credibilità su paradigmi scientifici, usando in particolare modelli macroeconomici e metodi quantitativi. Stone rimette così in discussione tutta la direzione di sviluppo della disciplina che, soprattutto a partire dal dopoguerra, ha aspirato apertamente a essere riconosciuta come "scienza", con l'effetto non secondario che ha notato Jorn Rusen, secondo il quale "la storiografia moderna si distingue da quella precedente in virtù di un considerevole aumento di elementi non-narrativi (come la descrizione, l'analisi e la spiegazione)". Ma in secondo luogo Stone accenna a un problema che sarà pesantemente sottovalutato nel dibattito provocato dal suo saggio, quello del nuovo possibile pubblico della storia: il ritorno alla narrazione gli appare anche il segno del "desiderio" di
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