56 Paolo Graziosi e Toni Bertorelli in Il compleanno (Teatro Nicolini, Firenze 1979-80, regia di Carlo Cecchi). sporre. Sono io difatti a fare il lavoro più faticoso, e\redo di poter afferrrfare lhe porto la piu meticolosa attenzione alla forma delle cose, a cominciare dalla forum· di una frase sino alla struttura generale della commedia. Questo compito di dar forma è - a dir poco - di importanza primaria. Ma io penso che si verifichi una duplice fatto. Voi disponete e ascoltate, seguendo le tracce che avete lasciato per voi stessi, attraverso i personaggi. E qualche volta si raggiunge un equilibrio in cui un'immagine può liberamente crearne un'altra e in cui, allo stesso tempo, potete puntare la vostra attenzione là dove i personaggi restano silenziosi e si nascondono. È appunto nel silenzio che essi mi si rivelano nel modo più chiaro. Esistono due tipi di silenzio. Uno, quando non viene detta neppure una parola. L'altro, quando forse viene fuori un torrente di parole. Questo parlare è il parlare un linguaggio che è chiuso, imprigionato dentro. Ed è a questo che viene fatto continuo riferimento. Il discorso che ascoltiamo è una indicazione di quello che non udiamo. È la necessità di evitare un violento, subdolo, angoscioso o irridente schermo di fumo che mantiene l'altro al suo posto. Quando sopraggiunge il vero silenzionoi ne possiamo ancora avvertire l'eco, ma siamo più vicini alla assoluta nudità. Un modo di considerare la parola è di dire che si tratta di un continuo stratagemma per coprire la nudità. Tante volte abbiamo sentito la vecchia trita frase: "Mancanza di comunicazione'' ... e questa frase è stata applicata al mio lavoro con notevole insistenza. Io penso il contrario. Credo che noi comunichiamo anche troppo bene col nostro silenzio, con ciò che resta non detto, e che quello che avviene sia una continua evasione, un disperato tentativo di retroguardia di preservare noi stessi a noi stessi. La comunicazione è troppo allarmante. Penetrare nella vita di un altro è troppo pauroso, rivelare agli altri la povertà esistente dentro di noi è una possibilità troppo spaventosa. Non intendo suggerire che in una commedia nessun personaggio possa mai dire ciò che in realtà pensa. Niente affatto. Ho scoperto che arriva invariabilmente un momento in cui questo avviene, quando il personaggio dice qualcosa, forse, che non ha mai detto prima. E quando ciò avviene quello che dice è irrevocabile e non potrà mai essere ritrattato. Una pagina bianca è una cosa al tempo stesso eccitante e paurosa. È il punto di partenza. Vi fanno seguito due fasi, nella progressione della commedia. Il periodo della prova e lo spettacolo. Un drammaturgo potrà assorbire molti validi elementi da un'attiva e intensa esperienza teatrale durante questi due periodi. Ma, in definitiva, egli è pur sempre lasciato solo dinanzi alla pagina bianca. In quella pagina c'è qualcosa oppure non c'è nulla. Non lo saprete sino a che non l'avrete riempita. E non c'è alcuna garanzia che persino allora lo possiate sapere, tuttavia resta sempre un rischio degno di venir corso. Ho scritto nove commedie per vari media, e al momento non ho la minima idea di come lo abbia fatto. Ogni commedia è stata per me "un tipo diverso di fiasco". Ed è questo, suppongo, che mi ha indotto a scrivere la seguente. E se io trovo che scrivere commedie è un compito estremamente arduo, pur ritenendolo una specie di celebrazione, è ben più difficile tentare di razionalizzarne il processo e ben più fallimentare, come credo di avervi chiaramente dimostrato questa mattina. Al principio del suo romanzo L'innominabile, Samuel Beckett dice: "Il fatto sembra essere, se nella situazione in cui mi trovo si può ancora parlare di fatti, non soltanto che avrò da parlare di cose delle quali non posso parlare, ma anche, e questo è più interessante, che io, e qusto è ancora più interessante, che io, non so più, non importa.'' (traduzibne di Elio Nissim) Conferenza tenuta dall'autore al festival del National Student Drama, Bristol 1962, pubblicata come prefazione al primo volume dei suoi Complete Works, Grove Press !ne., New York 1977. Copyright Harold Pinter, per la traduzione italiana Laura Del Bono, 1985.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==