Il ritorno a casa nella regia di Carlo Cecchi (Teatro Nicolini, Firenze 1981-82). giorno di fronte a una tale valanga di parole, parole pronunciate in un contesto come questo, parole scritte da me o da altri, tutto un ammasso di una stantia, morta terrninologia; idee ripetute e rigirate all'infinito diventano trite banalità, prive di significato. Data una tale nausea è assai facile esserne soverchiati e tirarsi indietro, paralizzati. Immagino che molti scrittori sappiano qualcosa di questo tipo di paralisi. Ma se è possibile far fronte a tale nausea e seguirla sino in fondo, muoversi dentro e fuori di essa, allora è possibile dire che qualcosa è avvenuto e che qualcosa è stato persino ottenuto. Il linguaggio, in queste condizioni, è qualcosa di estremamente ambiguo. Avviene così che sotto la parola detta ci sia spesso una cosa conosciuta ma non detta. I miei personaggi mi dicono tanto e non di più circa la loro esperienza, le loro aspirazioni, i loro motivi, e la loro storia. Fra la mia mancanza di dati biografici su di loro e l'ambiguità di ciò che essi dicono vi è un territorio che non solo è degno di venire esplorato ma che si deve esplorare. Voi e io e i personaggi che vengono fuori da una pagina, siamo tutti per la maggior parte del tempo inespressivi, poco rivelatori, poco attendibili, elusivi, evasivi, ostacolanti, recalcitranti. Ma è da questi attributi che nasce un linguaggio, un linguaggio, ripeto, in cui sotto ciò che viene detto viene espressa un'altra cosa. Dati dei personaggi che posseggano un impulso proprio il mio compito non è quello di imporre loro un falso linguaggio, di assoggettarli a un falso linguaggio, voglio dire di costringere un personaggio a parlare, quando non può parlare o a farlo parlare in un modo in cui non può parlare, o a farlo parlare di qualcosa di cui non potrà mai parlare. Il rapporto fra autore e personaggi dovrebbe essere un rapporto di grande e reciproco rispetto. E se è possibile ritenere che dallo scrivere si possa ottenere una specie di libertà, questa non deriva dal dirigere i propri personaggi verso un atteggiamento fissato e calcolato ma dal permettere che si assumano le loro responsabi_- lità e dal conceder loro un legittimo spazio. Ciò può essere estremamente penoso. E molto più facile, molto meno penoso non lasciarli vivere. Vorrei al tempo stesso rendere molto chiaro che io non ritengo i miei personaggi incontrollati e anarchici. Essi non sono tali. Il mio è il compito di selezionare e di di55
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