54 Harold Pinter (Rex Features/agenzia Grazia Neri). .. da una parte. Una volta messo là, se ne può parlare 1').anon abbiamo bisogµo difconviverci. In tal modo è facile erigere una cortina di fumo da parte dei critici o dt::,l..puJ:>.. blico contro ogni tentativo di identificazione, contro un'attiva e volenterosa partecipazione. Non portiamo sul petto delle etichette; anche se queste ci vengono continuamente appioppate dagli altri, non convincono nessuno. Il desiderio, da parte di noi tutti, di verificare le nostre personali esperienze e le esperienze degli altri è comprensibile ma non sempre può venir soddisfatto. Secondo me non vi può essere alcuna rigorosa distinzione fra ciò che è reale e ciò che è irreale, fra ciò che è vero e ciò che è falso. Una cosa non è necessariamente o vera o falsa, può essere ugualmente vera e falsa. Sulla scena un personaggio che non può presentare alcun convincente argomento, alcuna informazione circa la sua passata esperienza, il suo comportamento presente o le sue aspirazioni, né un'analisi comprensiva dei suoi motivi, è altrettanto legittimo e degno di attenzione di uno che lo possa fare. Tanto più acuta l'esperienza, tanto meno chiara e precisa la sua espressione. A parte ogni altra considerazione, ci troviamo di fronte alla immensa difficoltà, se non alla impossibilità, di verificare il passato. Non intendo dire soltanto quello di anni fa ma quello di ieri, di stamani, cosa sia accaduto, quale sia stata la natura di ciò che è accaduto. Se uno può parlare della difficoltà di conoscere ciò che di fatto avvenne ieri, può, credo, trattare il presente allo stesso modo. Cosa sta accadendo ora? Non lo potremo sapere sino a domani oppure fra sei mesi, e non lo sapremo neppure allora, lo avremo dimenticato oppure la nostra immaginazione avrà attribuito all'oggi caratteristiche totalmente false. L'attimo viene spesso ingoiato e travisato all'istante del suo nascere. Noi tutti daremo interpretazioni del tutto diverse di un'esperienza comune anche se preferiamo sottoscrivere l'idea che esiste un terreno comune, un terreno che conosciamo. Io penso che vi sia effettivamente tra noi un terreno di comune partecipazione, ma che esso sia piuttosto simile a delle sabbie mobili. Essendo "realtà" una parola solida e forte noi tendiamo a ritenere che la condizione cui si riferisce sia ugualmente stabile e inequivocabile. A me non sembra, e secondo me non per questo è migliore o peggiore. Una commedia non è un saggio e un commediografo non dovrebbe in nessuna circostanza danneggiare la consistenza dei suoi personaggi iniettando all'ultimo atto una difesa d'ufficio o un'apologia delle loro azioni semplicemente perché siamo stati educati ad aspettarci in ogni caso una "soluzione" finale. Dare un'etichetta esplicita e morale a un'immagine drammatica incalzante e in sviluppo appare facile, impertinente e disonesto. Quando ciò avviene, non si tratta di teatro ma di cruciverba. Il pubblico ha in mano la pagina, la commedia riempie gli spazi vuoti. E tutti sono contenti. Esiste al presente un notevole numero di persone che reclamano un qualche impegno chiaro e razionale da evidenziare nei lavori teatrali contemporanei. Vogliono che il commediografo sia un profeta. Di questi tempi i commediografi indulgono certo in una gran quantità di profezie sia nei loro lavori sia al di fuori di questi. Moniti, sermoni, ammonizioni, esortazioni ideologiche, giudizi morali, problemi definiti, con le relative soluzioni: tutto questo può accamparsi sotto la bandiera di profezia. L'atteggiamento che c'è dietro può venir riassunto in una sola frase: "Ve lo dico io!" Ci vogliono commediografi dei tipi più diversi per fare un mondo, e per quanto mi riguarda il signor Tizio può seguire qualsiasi strada intenda scegliere senza che io abbia intenzione di censurarlo. Propagare una qualche finta guerra fra ipotetiche scuole di commediografi non mi sembra un passatempo produttivo e non è certo questa la mia intenzione. Ma non posso fare a meno di rendermi conto che abbiamo una marcata tendenza a insistere con molto facilità su quelle che sono le nostre vacue preferenze. La preferenza per la Vita con la V maiuscola, ben 'diversa dalla vita con la v minuscola, la vita, cioè, che di fatto viviamo. La preferenza per le buone intenzioni, la carità, la benevolenza ... quanto sono diventati facili tutti questi discorsi! Se io dovessi esprimere un qualsiasi precetto morale, potrebbe essere il seguente: diffidate dallo scrittore che vi vuole far abbracciare le preoccupazioni che vi esprime; che non vi permette di dubitare di quanto egli sia meritevole, utile, altruista; che proclama la bontà del proprio cuore assicurandosi ·dimetterla bene in evidenza, una pulsante massa in cui i suoi personaggi debbono collocarsi. Ciò che tanto spesso vi ~iene presentato come l'insieme di pensieri attivi e positivi non è di fatto altro che un corpo perduto in una prigione di vuote definizioni e clichés. Questo tipo di scrittore ha evidentemente una fede assoluta nella parole. Personalmente, nei riguardi della parola io provo sentimenti di vario genere. Muoversi fra di loro, sceglierle, vederle apparire sulla pagina, tutto ciò mi procurà una notevole soddisfazione. Ma nello stesso tempo provo un altro profondo sentimento riguardo alle parole, un sentimento che equivale né più né meno alla nausea. Ci troviamo ogni
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==