Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

pavano la stessa cabina, uno dei quali era l'avvocato Ezir; e due sposi che conobbi solo all'ora di pranzo, poiché dormivano fino a tardi. Gli stranieri parlavano a bassa voce. Erano educati e gentili. Sedevano al centro della tavola e passavano il caffè, il latte e la zuccheriera da una parte all'altra, sorridenti. Conoscevo questo tipo di persone. Lui aveva una Nikkon per "catturare" il viaggio che poi avrebbe mostrato in diapositive agli amici. Fotografava l'immensità delle acque e la povertà della gente e delle catapecchie sulle sponde del fiume. Provai a individuare, dal loro accento, il luogo di origine della coppia. C'era una risonanza di italiano, qualche reminiscenza sonora del francese, una certa gutturalità germanica. Non era difficile concludere che erano svizzeri. Dopo la colazione la ragazza svizzera se ne andò sul ponte a prendere il sole. Era ben fatta. Aveva fatto una colazione frugale, come se seguisse una dieta per mantenere la linea, rifiutò le banane, cosa che non fece il suo compagno. Aveva però dei piedi, come la maggior parte delle donne, con calli alle dita e sui calcagni e l'alluce era storto; ma le gambe erano belle. Ogni volta che si passava vicino alle catapecchie sparse sulle sponde del fiume, si avvicinavano alla nave numerose canoe guidate da donne con uno o due bambini e chiedevano cose con grida che sembravano latrati e aspettavano che i passeggeri dessero loro qualche dono, magari alimenti o vestiti. Ma non succedeva mai. Durante il pranzo conobbi la coppia che al tavolo C non si era fatta vedere. Lui era bruno e robusto, aveva folti capelli scuri ondulati, dei grossi baffi e occhiali da sole. A prima vista mi era sembrato sinistro e minaccioso. Lei era magra, alta, abbronzata e più giovane di lui. Avrà avuto tutt'al più vent'anni. Tutti e due ridevano spesso, sereni. Gli altri uomini del tavolo conversavano con Ezir. Uno di essi era un funzionario, ora in pensione, del governo di Parà e stava andando a passare il Natale con la famiglia. L'altro era un funzionario del Ministero degli Esteri e operava nella Commissione di Confini e Frontiere, era corpulento e ciarliero; sapeva molte cose sull'Amazzonia e gli piaceva raccontare storie pittoresche. Le due donne erano pernambucane, erano molto interessate alle macchine fotografiche e agli apparecchi stereofonici. "Lei crede che la troverebbero una Olimpus nascosta tra i vestiti?" Potevo stare tranquillo, al tavolo C. Ad ogni buon conto stavo seduto con le spalle contro la parete. Erano sei tavoli occupati secondo tre turni, il mio era il primo. Molti passeggeri della terza classe avevano pagato sotto banco per poter mangiare in prima. La qualità delle vivande in terza era molto scadente. I passeggeri dovevano avere un piatto e un bicchiere e mangiavano nello stesso ambiente in cui avevano appeso le loro amache. Mi accorsi che molti dei passeggeri di terza buttavano il cibo nel fiume. In tutta la nave non c'era una donna che Carlos Alberto avrebbe voluto per mamma. Non sapevo che cosa voleva, ma sapevo ciò che non voleva. Carlos Alberto era stato allevato in un orfanotrofio e non aveva mai conosciuto sua madre. Di STORIE/FONSECA ogni donna che vedeva pensava: "sarà forse questa la donna dalle cui viscere mi sarebbe piaciuto essere generato?" Ma non riusciva a trovarla. n Ile ventitre e trenta del secondo giorno di viaggio, ci fer- ii.I mammo a Gurupà, nell'Urucuricaia. Malgrado l'ora il molo era affollato. Sapevo che ci sarebbe sempre stata molta gente nelle banchine di ogni città che avremmo toccato. Sarebbe stato impossibile per lui uscire senza essere visto. Chiesi ai venditori di frutta e a tutte le ragazzine se l'avevano visto sbarcare dall'altra nave. "Se fosse apparso un fantasma simile ce ne saremmo accorti tutti", disse una ragazzina alla quale lo descrissi. Eravamo in viaggio da tre giorni e io non ero ancora riuscito ad andare di corpo. Il mio organismo di solito funzionava alla perfezione. Doveva essere la sporcizia del bagno. Il lavoro mi rendeva alquanto teso, ma non al punto da causarmi una simile inibizione. In fin dei conti non era quella la mia prima missione. Rimasi a lungo arrampicato sul cesso, come un volatile, con la borsa in mano in una posizione quanto mai ridicola e scomoda. Il momento della giornata che mi piaceva di più era l'alba, quando tutti dormivano e soffiava un fresco venticello. In coperta non c'era mai nessuno. Aspettavo il sorgere del sole seduto su una delle sdraio del ponte superiore. Vidi arrivare un uomo che trascinava una gabbia con un uccello. Era magro e alto, il viso ossuto e allungato dei nordestini. Afferrai la borsa che avevo in terra e spiai i suoi movimenti. "Che uccello è?", domandai. "È uno xin6", rispose. Viaggiava in terza e aveva con sé dieci gabbie di uccelli. Quattro erano usignoli. Subito dopo venne la mia compagna di tavolo, la moglie dell'uomo sinistro. · "Lei si sveglia sempre così presto?", mi domandò. "Sempre", risposi. "Io non sono neppure andata a dormire", disse lei. Si tolse dal collo una collana di pietre rosse, la volteggiò in aria, poi la buttò nel fiume. Mi guardò come se si aspettasse un mio commento. Rimasi in silenzio. Sembrava ubriaca. "Sono di Minas. Moacyr è del sud. Basta con questo viaggio". La sua felicità sembrava finita. Si chiamava Maria de Lurdes. Chiusa in una nave, una coppia, più che una persona sola, deve saper dosare le proprie energie. Arrivati al caffè, Evandro, il commissario di frontiera, mi disse che eravamo appena passati da Almerim. "Quella lì, dove si vede l'antenna dellaEmbratel, è la Serra della Velha Pobre. Quegli alberi gialli sono pau d'arco, non c'è scure che li possa abbattere". "Vede laggiù?", continuava Evandro. "Quelle sono le terre di Jari. Un mondo. Ci starebbero tre France in quella giungla. E appartiene tutto a un americano matto, a Ludwig". Evandro mi guardò con occhi sospettosi. O era forse una 43

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