Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

Ricordando Joseph Cornell in Merida 23 (1974). Ricordando Joseph Cornell in Merida 44 (1974). nuto certe qualità, escogitato certe soluzioni nuove, sta nel fatto che io ho sempre lavorato molto le immagini nel mio cervello, sino a che ottenevo un certo tipo di negativo, un certo tipo di stampa. Le mie soluzioni sono legate alle mie idee, ai miei livelli, ai miei scopi: idee, livelli e scopi che sono specificamente miei e, allo stesso tempo, collegati a quelli di altre persone. Non esistono segreti tecnici: è una cosa che dico sempre agli studenti. Il cuore del problema non sta nella tecnica, bensì nel sapere quel che si vuole, o meglio, nel saperlo riconoscere. La fotografia è un'arte tutta speciale, perché molto in essa dipende dal saper riconoscere. Si vede qualcosa, e lo si riconosce; poi bisogna trasformarlo e renderlo qualcosa d'altro. Questo modo di lavoraresi avvicina molto alla tecnica di lavoro dei pittori astratti... Precisamente. Nei primi anni Quaranta essi non facevano un progetto, uno schema, ma si mettevano davanti alla tela bianca e dipingevano; poi continuavano, a colpi di pennello e di spatola, sinché non era giunto il momento di fermarsi. Il punto consisteva nel capire quando bisognava fermarsi: tutto lì. E il suo metodo di lavoro? lo lavoravo all'incontrario. Partivo da una tela colma, e dovevo sottrarre, togliere, levare, fare cambiamenti di contesto, isolare cose, tirarle fuori dal loro contesto consueto e normale: e siccome il contesto controlla il significato, una volta che si tolga una cosa dal suo contesto, le si può dare un altro significato. Quindi per lei l'aspetto tecnico non è un problema. Certamente, anche se ci sono dei fotografi che lavorano con strumentazioni molto complicate, ma non io. Io ho certi modi di procedere che mi si confanno, che vanno bene per me. Se io vado in un luogo, faccio delle foto, e per un mese o due impressiono dei negativi. Poi espongo i negativi in modo da avere delle opzioni, delle scelte in termini di contrasto. Questo è il punto: decidere quanto contrasto voglio o non voglio. Li sviluppo controllandoli in modo da raggiungere un certo tipo di contrasto. Guardo quindi i negativi e scelgo: ne prendo uno, e provo. Non so cosa venga fuori sino a che non stampo la fotografia. Quando guardo i negativi so quali sono le configurazioni, ma devo scoprire quanto densa o contrastata debba essere la mia immagine. E come decide? Faccio delle prove di stampa molto grandi. Le guardo, poi provo altre stampe. E così via, sino a che sono soddisfatto. Di solito non è troppo difficile, perché lavoro in serie, ho delle serie d'immagini simili. Ma non so quale sia l'immagine sino a che non la vedo di fatto, sulla carta. La foto, cioè, non la faccio quando scatto, anche se a quel punto posso avere delle idee. Lavorando a questo modo, non aprioristicamente, posso scoprire nuove tonalità e nuove relazioni. Ha mai usato il colore? Lo uso un po' ora, ma mi ci trovo male, perché con il colore bisogna affidarsi a dei laboratori di sviluppo e stampa; questo non mi ha dato le premesse tecniche con cui procedo solitamente. Con il colore bisogna passare attraverso la collaborazione con altri, ed è tutto diverso; per fare a colori il tipo di fotografia che faccio io, dovrei costruirmi un laboratorio e rifarmi un'esperienza. Quando io sviluppo e stampo una foto in bianco e nero non lavoro soltanto con le sostanze chimiche, ma con la mia esperienza, che è ormai molto lunga: non succede altrettanto con il colore. Prendere decisioni senza l'esperienza non è stessa cosa, gli esiti non possono essere altrettanto maturi. Qual è il futuro della f olografia, secondo lei, Siskind? Domandarmi quale sia il futuro della fotografia è come chiedermi quale sia il futuro del mondo! La fotografia oggi è praticata da così tante persone, per ragioni così diverse, con mezzi e influenze così vari che è impossibile avere un quadro di cosa accadrà in futuro. Penso che la fotografia si suddividerà in aree, ognuna di esse remota e staccata dalle altre, quasi si trattasse di un'altra cosa, a parte. Lo stesso succede anche nell'arte: una frammentazione. La fotografia è parte del mondo, un mondo in cui agiscono tante forze diverse. La fotografia oggi sta facendosi una tradizione di lettura critica che aiuterà a cambiare gli atteggiamenti di scuole e musei. Il numero di persone che si interessano oggi alla fotografia è grandissimo, e ognuno si orienterà verso uno o l'altro dei settori della fotografia: una frammentazione. Ma la vitalità della fotografia e della ricerca fotografica è così ricca e forte oggi da farci sperare in una lunga vita. · (traduzione di Itala Vivan) 39

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