38 L'albero (1972). Roma (1963). per delle riviste, per gli stessi architetti, e perché mi piaceva moltissimo. A partire dal 1944, c'è una concentrazione sempre maggiore sui singoli oggetti, a volte oggetti abbandonati, oggetti banali, cui lei intende dare una nuova esteticità, una ineditaforma d'arte. Però, infondo, più che gli oggetti sembra che leijotografi se stesso in quegli oggetti. .. Ogni arte è egocentrica, perché l'io è quello che ci muove. In certi artisti, ciò è così forte da riuscire quasi insopportabile. Non nego che c'è sempre stato un elemento di espressione personale nella mia fotografia. La cosa notevole è che il mio interesse nella fotografia nacque non da una decisione intellettuale, ragionata, a freddo, ma per puro caso, per il semplice motivo che avevo fatto delle fotografie. Un giorno, a Martha's Vineyard, ero lì tranquillo, e raccolsi vari oggetti, li disposi su una superficie e poi li fotografai. Non fu una cosa programmata, né, per così dire, intenzionale, bensì una sorta di gioco serio, una cosa che si fa, e basta. Quando sviluppai i negativi e li stampai, fui sorpreso e commosso dal significato delle immagini. Innanzi tutto mi accorsi che quelle foto presentavano strane somiglianze, e fu nella loro somiglianza che identificai un significato. Erano tutte foto di oggetti, cose raccolte qua e là, materiale organico - carta, legno o addirittura pesci -, oggetti che avevo deposto entro uno spazio senza pensarci troppo: uno spazio assolutamente pulito. Capii che in quelle foto esprimevo l'essenziale dualità umana, dell'uomo occidentale, così come noi la sentiamo, nel modo in cui io l'ho sempre sentita: una vita lacerata dal conflitto fra la mente e l'emozione, il desiderio. Questo conflitto, questa lotta, era la radice della mia esistenza, e l'avevo resa quel che essa era, problematica e difficile - così come nel mondo fuori di me vedevo lotte e tensioni, fra cittadini e governo, fra vecchi e giovani, fra padri e figli. Tutte queste contraddizioni sono parte essenziale del nostro vivere. A quell'epoca cominciai a capire che anche la stessa fotografia era fondamentalmente una contraddizione, perché uno fotografa un oggetto, ma sa che non è l'oggetto che egli fotografa in realtà. Parliamo della fotografia come un cosa reale, ma di fatto non è così. Cambiano spazi, proporzioni, rapporti, tutto. Così, nelle mie prime immagini di oggetti mi accorsi, con emozione, di avere espresso qualcosa di universale, qualcosa di significativo e personale; e trovai la forma per farlo. A quel punto cominciai a guardare gli oggetti, la configurazione delle cose, in quei termini nuovi: mi si scatenò dentro uno straordinario impeto di realizzazione, un senso preciso del mio scopo, un'energia nuova. Fu importante per me scoprire tutto da solo, e che esprimevo fatti universali in una forma oggettiva, nella quale c'ero anch'io. Naturalmente in quel momento la cosa non era proprio così chiara come la racconto ora; ma ricordo l'illuminazione, la scoperta, l'esplosione dinamica. Non erano gran che, quelle foto a ben guardarle; però capii che avevo in pugno un filo, una strada. Quel che dovevo fare era più importante, significativo e reale del documentarismo che avevo praticato fino allora. Nessun ripiegamento intimistico nella sua ricercaartistica e nelle sue foto, vero, Siskind? I segni, i graffiti murali, leforme dei marciapiedi, gli oggetti abbandonati delle sue foto non rimandano necessariamente alla realtà sociale, al passaggio dell'uomo, alla presenza della comunità? Ero ormai arrivato così lontano nel mio lavoro, che le mie immagini possedevano un certo grado di oggettività: ma allo stesso tempo avevano un significato, e uno scopo, correlati ad altre opere d'arte. Fin qui son giunto: ma credo non si possa andare più oltre. Non penso si possa capire nessuna opera d'arte senza contribuirvi con la nostra esperienza di altre opere d'arte. Nelle mie foto, nelle mie risoluzioni, c'è una mistura non solo del mio carattere, ma anche delle mie esperienze. Man mano che maturavo come artista, sono riuscito ad assorbire tradizioni ed esperienze anche di altri artisti, e non sempre consapevolmente. Ora sono in grado di creare delle immagini che mi sento di poter lasciar andare per il mondo. Sì, proprio così, come accade per un figlio. Viene un momento in cui si capisce che è pronto per andarsene per conto proprio. Allora noi stessi maturiamo e capiamo che quest'essere ha un significato tutto suo, e deve andarsene per conto proprio nelle strade del mondo. Lo si lascia andare, bisogna lasciarlo andare. Un'altra cosa di cui mi rendo conto, in quanto artista, è che, per produrre immagini che gli altri guardino e apprezzino, le debbo rendere piacevoli, devo dare loro tonalità meravigliose, forme stimolanti. Non lo faccio specificamente per dare piacere, ma so che anch'io voglio godere le mie immagini. Tecnicamente, Siskind, come lavora? Come ottiene queste foto astratte che, nel medesimo tempo, sono cosl concrete, materializzate in un bianco e nero cosl netto, che ha una presa immediata in chi le guarda? La mia tecnica è molto semplice. Tecnicamente la mia conoscenza e abilità non sono mai state superiori a quelle che può raggiungere chiunque, durante qualche anno di buona preparazione e di lavoro. Niente di speciale. La ragione per cui ho otte-
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