Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

36 Gloucester 8 (1944). tutto quella degli artisti miei contemporanei, cui si tvrapponevano i dati 'della iiliéJ.. esperienza personale e del mio temperamento. Divenne importante per me procfurre un oggetto così completo in se stesso da non avere nessuno degli inquietanti elementi personali che segnano l'individuo e che invece caratterizzavano il mio primo periodo, quello che io chiamerei della mia immaturità. Per me la cosa più naturale era pormi nella posizione espressionistica, cioè dell'espressione del sé. Ho lottato per tutti questi anni per liberarmi di questo elemento espressionistico. Naturalmente nella vita non ci si libera di nulla: la si contiene, semplicemente, la si usa, la si cambia, sino a giungere a un risultato formalmente molto forte. Mi capita molto molto di rado di fare una cosa di cui possa tradurre immediatamente il significato; e certo quando compongo non c'è un significato, non c'è programma, non c'è equivalente linguistico. Tutto ciò è molto interessante, perché io ho cominciato il mio apprendistato artistico proprio con la lingua, con la poesia. F nel processo di formazione ho subito un cambiamento radicale, perché la lingua non c'è più, scompare ogni equivalente linguistico. In altre parole, per arrivare al significato bisogna battere un altro sentiero, seguire un'altra tradizione. Ma facciamo un passo indietro, Siskind, giacché la sua fotografia non è stata subito e sempre fotografia degli oggetti, o fotografia astratta, o senza "equivalente linguistico", come lei la definisce. Negli anni Trenta e Quaranta leifotografava il quartiere newyorkese di Harlem o la Bowery, come altri fotografi americani. Queste sue foto - quelle che per lei sono del "periodo della immaturità" - ancor oggi impressionano per il loro realismo e suscitano una prof onda emozione. Che cosa voleva trasmettere con quelle sue fotografie? Come sempre, quando si esaminano le cose onestamente, in modo franco, si scopre che la realtà è sempre molto complessa. Le motivazioni dell'essere umano sono sempre compesse: se fossero semplici non sarebbero nemmeno interessanti. Io ero un principiante della fotografia in quegli anni; non avevo camera oscura o altro. Volevo imparare. Nella sede della Film and Photo League vidi esposte foto di povera gente, di barboni e diseredati. Trovai persone con cui comunicavo e che mi piacevano. Dietro quella fascinazione di allora, quelle scelte, stava la mia infanzia, la storia della mia famiglia, la mia attività giovanile con i socialisti: avevo cominciato all'età di 1415 anni a fare attività politica, a parlare per le strade - a quell'epoca non c'era ancora la radio. Lavoravo in un club socialista; mentre andavo a scuola leggevo Il capitale. Insomma quel periodo storico mi ritornò alla mente, dopo che me ne ero allontanato per seguire i miei sogni di musica e di poesia. A New York tutti lavoravano in questo senso, tutti si chiedevano che cosa si potesse fare per fronteggiare quel tremendo fenomeno che era la Depressione. Mi iscrissi alla scuola del Partito comunista, ma fu un'esperienza negativa. Mi immersi completamente nella Film and Photo League: organizzai mostre, le feci viaggiare, e mi dedicai tutto a mettere alla prova la mia nuova scoperta. Più tardi volli mettere alla prova esteticamente il mio modo di fare fotografia: mi chiesi che cosa fosse il realismo sociale, quali collegamenti avesse con la letteratura e le arti. Allora insegnavo, e così organizzai il gruppo dei giovani fotografi, la YPSL, e con loro studiammo questi problemi di espressione nella fotografia: rapporti di tono, rapporti di punto di vista, atteggiamenti, eccetera. Producemmo una serie di documenti, studi di luoghi di New York, che impostammo sempre secondo criteri formali: partivamo da un'idea a cui rapportavamo tutto quel che si faceva. Era un mettere alla prova, esteticamente, le mie conoscenze precedenti e la nuova esperienza. Questo gruppo dell'YPSL era variamente composto: c'erano impiegati, una massaia, un docente universitario ... Lavorammo insieme per 4/5 anni: ci incontravamo ogni settimana, ci assegnavamo dei compiti, li eseguivamo, poi li esaminavamo insieme. Era una cosa molto intensa, e io organizzavo tutto con grande sistematicità. Dico "io", perché di fatto ero davvero al centro dell'iniziativa: la guidavo e la tenevo in piedi, pur senza comportarmi da dominatore. C'erano dei problemi di denaro: alcuni di noi ne avevano, altri no; allora costituimmo un fondo comune, al quale ciascuno contribuiva secondo le proprie possibilità; e tutti vi attingevamo per le spese tecniche, per il materiale. Avemmo dei prqblemi con la gente dell'apparato del Partito. Il punto era produrre arte, e il resto non ~i importava. Però lei parla di quel periodo con un tono di nostalgia... Fu un'esperienza positiva, e lavorai con della gente straordinaria. Nel 1958 regalai tutto il materiale di quell'epoca, perché ormai non mi interessava più, me n'ero allontanato; regalai i negativi, i documenti, tutto, alla George Eastman House, che a quell'epoca era il più grande archivio di materiale fotografico. E, fatto curioso, proprio in quegli anni il mondo cominciò invece a dimostrare interesse per quel materiale: il Metropolitan Museum di New York cominciò ad acquistare e a organizzan grandi mostre di fotografia. E quando volli esporre il mio lavoro dovetti chiedere a

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