Pasolìni attore in Il Decameron (1971). Carissima Silvana, (Roma, 1952 o 1953) non ti ho scritto prima per le ragioni che ti ho detto tante volte: lo scriverti mi impegna, e ho bisogno di una mattina sgombra per farlo: cosa che finora non è avvenuta mai, perché, fra l'altro, è venuto giù a Roma un mio cugino (il poeta n. 2 della famiglia) che mi tiene molto occupato: sono in una continua, faticosa tensione. L'estate per me è una scommessa che non devo perdere: conto a estati, non a anni, il tempo. Mi ci butto dentro a capofitto, con una voracità squallida e indifferente: non mangio niente e muoio di indigestione, mangio di continuo e sono vuoto. I primi temporali annunziano la tomba, e li attendo con uno sgomento ormai del tutto meccanico. Cristoforo è scomparso: ho cercato di fare dei sondaggi a Villa Borghese, ma è stato inutile, perché gli altri come lui o non lo conoscono, o non si curano affatto di quello che gli può succedere, o temono che io mi interessi di lui perché derubato o qualcosa di simile e quindi mi raccontano la prima bugia che passa loro per la testa. Io, per conto mio, l'ho ormai dimenticato: un destino vale sempre un altro destino. E Roma mi ha fatto diventare abbastanza pagano per non credere alla validità di certi scrupoli, che sono tipicamente settentrionali e che in questo clima non hanno senso; adesso capisco certi tuoi atteggiamenti di pietà, tanto diversi dai miei, tanto più eroici e positivi dei miei (anche se poi un po' sconclusionati): tu hai le origini quaggiù. Tiricordi quando (in tempi che mi sembrano lontanissimi) si parlava dei tuoi interessi per il 'rapporto' con gli altri? Era una cosa che aveva per me un sapore misterioso, indistinto dal 'romanzo dei Mauri': ora me lo spiego meglio. Chi vive per la tradizione etnica in un mondo abitato da estrovertiti, i cui segreti, i cui cedimenti sono sensuali e non sentimentali, non può non interessarsi del rapporto, come forma concreta di una vita vissuta nelle superfici esterne, sociale in un senso primordiale della parola. Da questo forse derivano sia tutte le forme convenzionali che caratterizzano le conformiste borghesie romane e meridionali (e anche il popolo, ma in un modo più poetico: il sesso, non la religione, l'onore, non la morale ... ) sia le forme di religiosità 'francescana' tutta rivolta al mondo esterno, attiva, curiosa (vedi anche Fabio, la cui vocazione è pur iniziata nel modo che sai, tutto interiore). Sono due o tre anni 'che vivo in un mondo dal sapore 'diverso': corpo estraneo e quindi definito in questo mondo, mi ci adatto, con prese di coscienza molto lente. Tra ibseniano e pascoliano (per intenderci ... ) sono qui in una vita tutta muscoli, rovesciata come un guanto, che si spiega sempre come una di queste canzoni che una volta detestavo, assolutamente nuda di sentimentalismi, in organismi umani così sensuali da essere quasi meccanici; dove non si conosce nessuno degli atteggiamenti cristiani, il perdono, la mansuetudine ecc., e l'egoismo prende forme lecite, virili. Nel mondo settentrionale dove io sono vissuto, c'era sempre, o almeno mi pareva, nel rapporto tra individuo e individuo, l'ombra di una pietà che prendeva forme di timidezza, di rispetto, di angoscia, di trasporto affettuoso ecc.: per vincolarsi in un rapporto di amore bastava un gesto, una parola. Prevalendo l'interesse verso l'intimo, verso la bontà o la cattiveria che è dentro noi, non era un equilibrio che si cercava tra persona e persona, ma uno slancio reciproco. Qui tra questa gente ben più succube dell'irrazionale, della passione, il rapporto è sempre invece ben definito, si basa su fatti più concreti: dalla forza muscolare alla posizione sociale... Roma, cinta dal suo inferno di borgate, è in questi giorni stupenda: la fissità, così disadorna, del calore è quello che ci vuole per avvilire un poco i suoi eccessi, per denudarla e mostrarla quindi nelle sue forme più alte. Pensavo che l'avremmo vista insieme... Ma tu hai qualcosa di molto meglio a cui dedicarti: qualcosa di miracoloso e di indicibile, per me, così fuori da tutte le funzioni, così provvisorio e sbandato; e il mio stupore è tanto più profondo e senza definizione, in quanto a ripetere il prodigio sei proprio tu, che lo fai con tutti i sintomi di un terrore e di una esultanza che conosco bene, che ti cali negli schemi degli 'altri' attraverso quella difficoltà che è poesia. È questo che importa ora nella tua vita, che importa nel nostro rapporto, (e che forse mi ha impedito di risponderti immediatamente, per una specie di confusione, di imbarazzo di cui io sono l'oggetto, e di gioiosa ansia di cui l'oggetto sei tu). Tutto il resto ha ben poco valore. Non scoraggiarti se tardo un po' a risponderti: scrivimi, tienimi informato della tua vita e di quella vita (che, tu lo capisci, mi sembra stupenda, in quel suo futuro) che si snoda in te. Io di me ho ben poco da dirti (il poeta del premio è Ungaretti); Anceschi, se lo vedi, ti può dire qualcosa): la mia vita è la solita. Tanti affettuosi saluti, anche per Ottiero e i tuoi. Pier Paolo Queste lettere faranno parte dell'Epistolario pasoliniano, in preparazione presso l'editore Einaudi. 19
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