Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

Pasolini calciatore (dal volume "Avec les armes de la poésie... ", cii.). j· •. mio padre infuriava ed era malvagio fino alla nausea, il mio povero comunismo mi aveva fatto odiare, come si odia un mostro, da tutta una comunità, si profilava ormai anche un fallimento letterario: e allora la ricerca di una gioia immediata, una gioia da morirci dentro era l'unico scampo. Ne sono stato punito senza pietà. Ma anche di questo parleremo, oppure te ne scriverò con più calma, ora ho troppe cose da dirti. Aggiungerò ancora subito su questo argomento un particolare: fu a Belluno, quando avevo tre anni e mezzo (mio fratello doveva ancora nascere) che io provai per la prima volta quell'attrazione dolcissima e violentissima che poi mi è rimasta dentro sempre uguale, cieca e tetra come un fossile. Non aveva un nome allora, ma era così forte e irresistibile che dovetti inventarglielo io: fu "teta veleta", e te lo scrivo tremando tanto mi fa paura questo terribile nome inventato da un bambino di tre anni innamorato di un ragazzo di tredici, questo nome da feticcio primordiale, disgustoso e carezzevole. Da allora tutta una storia che ti lascio immaginare, se lo puoi. Verso i diciannove anni, poco prima che noi due ci conoscessimo, ho avuto una crisi che è stata a un pelo di essere identica a quella di Fabio: si è risolta invece in una non gravissima nevrosi, in un esaurimento, in un ossessivo pensiero di suicidio (che spesso mi riprende ancora) e poi nella guarigione. Nel '42 a Bologna, ti ricordi?, er;osano come un pesce, ormai, e completo come un albero. Ma era una floridezza che non doveva durare. Tu sei stata per me qualcosa di speciale e di diverso da tutto il resto: così eccezionale che non vi trovo nessuna spiegazione, neanche una di quelle spiegazioni larvali e così concrete che noi afferriamo nel nostro monologo interiore: nelle nostre astute manovre del pensiero. Da quando mi hai aperto la porta a Bologna, pochi giorni dopo che io avevo conosciuto Fabio, e mi sei apparsa sotto la figura di una "madonna del duecento" (credo di avertelo detto), alla Malga Troi, a Milano, dopo la guerra, da Bompiani, a Versuta, a Roma, tu sei stata seinpre per me la donna che avrei potuto amare, l'unica che mi ha fatto capire che cosa sia la donna, e l'unica che fino a un certo limite ho amato. Tu capisci cos'è quel limite: ma ora devo dirti che qualche volta, non so né come né quando l'ho varcato, timidamente, pazzescamente, ma l'ho varcato. Se vuoi pensare a una situazione simile, pensa alla "Porta stretta": ma io non ti ho mai detto niente della mia tenerezza, perché non mi fidavo di me. Non farmi aggiungere altro, capiscimi. Nel mio ultimo biglietto ti ho scritto che tu eri,l'unica, fra tutti i miei amici, con cui mi riusciva di confidarmi: e questo semplicemente perché sei l'unica che io ami veramente, fino al sacrificio. Per te, per esserti d'aiuto o di conforto, farei qualsiasi cosa senza la minima ombra d'indecisione o di egoismo. Ora qui la tua lettera, se la guardo, mi commuove ferocemente, mi sento le lacrime agli occhi: penso a quello che ho perduto, allo spreco della mia vita nella-quale non ho saputo accogliere te. Non posso più continuare' questa lettera: le altre cose che dovevo dirti te le scriverò domani. Potrei continuare solo se potessi abbandonarmi, ma non posso, deve sciogliersi in me ancora tanto gelo. Perdonami se ti ho scritto un'altra lettera odiosa, ma se potessi scrivere con bontà, con tutta la bontà di una volta, allora questa lettera non sarebbe stata necessaria. Sono furioso contro di me e la mia impotenza, mentre vorrei dirti tutta la mia tenerezza e il mio affetto. Ti abbraccio Pier Paolo Cara Silvana, (Roma) 11 febbraio 1950 continuo la mia lettera di ieri, sempre più stranamente tranquillo. Il distacco improvviso dal mio mondo, mi ha isolato in un altro mondo che mi sembra vuoto e irreale. Del resto, dalla mancanza assoluta di rimpianto, capisco quanto Casarsa fosse superata. In fondo, ora, quelli che mi preoccupano di più sono i problemi pratici: e dalla pesantezza e la difficoltà della mia lettera di ieri avrai compreso come in questo momento i problemi essenziali mi si spezzino tra le dita, o nella gola, come un "mea culpa'' ripetuto meccanicamente. Mi sembra che tutto sia rimasto in Friuli, come il paesaggio. Roma si distende intorno a me, come anch'essa fosse disegnata nel vuoto, ma tuttavia ha un forte potere consolatorio: e io mi immergo nei suoi rumori senza così sentire le mie note stonate. Ieri mi ha scritto Sereni, incitandomi anche lui a sperare: in questi ultimi due giorni ha riacquistato le sue giuste proporzioni l'importanza di essere pubblicato da Mondadori: ci spero tanto ardentemente e disperatamente che non oso dirmelo. Poi bisogna che cominci a dare delle lezioni private: siccome per i primi mesi sarò ospite di mio zio, non è proprio urgente che trovi un impiego fisso: certo, però, che più bre- . ve è questo periodo di anticamera, pieno di angoscie, meglio è per tutti. Dicevi nella tua ultima lettera di mandarmi degli indirizzi: se le persone di cui parli possono procurarmi delle ripetizioni, allora ti pfego di indicarmele presto: non posso più resistere all'ozio, perché, come ti ho detto non riesco fisicamente a scrivere. Conosci Angioletti? Caproni mi ha detto che Angioletti è alla radio e può procurare del.lavoro (no17

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