Linea d'ombra - anno II - n. 8 - febbraio 1985

12 DISCUSSIOME/DINI ( 1)l ■ 1'1!·1 ii i il•l11 ) ll<•Ji'1I J,N l t•l Vittorio Dini La mia generazione - di quarantenni degli anni Ottanta, giovani già maturi nel '68 - ha incontrato nella sua esperienza molti compagni e anche qualche maestro, peraltro non sempre buon maestro. Intendo maestro non nel senso generico di chi insegna qualcosa di intellettualmente valido o comunque utile per la ricerca e per capire ciò che si pensa, ciò che avviene sotto i nostri occhi, persino qualche regola di comportamento. Fortunatamente la letteratura passata, e anche quella presente, è sterminatamente ricca di autori e opere che rispondono a tali.requisiti. Per maestro non intendo neppure soltanto colui che rappresenta una guida politica, che indica in maniera precisa una meta, un obiettivo strategico da perseguire. Anche di queste figure ne abbiamo avute: il bilancio e la valutazione delle loro qualità è aperto e ha come parametro non solo l'efficacia della loro riflessione e azione ma anche la qualità degli obiettivi che hanno proposto. Indubbiamente queste - la chiarezza intellettuale e la capacità di proposta pratica - sono doti importanti del maestro, ma non sono sufficienti a caratterizzarne l'essenza, non sono le qualità per cui è maestro. Credo che la qualità fondamentale sia nel fatto che del maestro riconosciamo la base rigorosamente morale oltre che intellettuale dei problemi che ci propone. Sul contenuto delle sue proposte potremo avere anche dubbi e perplessità, potremo anche verificare un disaccordo netto, ma decisivo è il fatto che sappiamo e verifichiamo che dietro quelle proposte c'è, insieme al rigore intellettuale, un pieno rigore morale, che quelle proposte non sono strumenti per un fine diverso, per affermare una verità di parte o di gruppo, qualcosa di presupposto. Capisco il pericolo di sostenere una sorta di neutralità e di elogio dell'indipendenza, ma è un fatto che, se guardo al passato recente e al presente, è solo in uomini "senza tessere e senza partito", che riconosco la figura del maestro. Per il passato, molti sono quelli indicati e felicemente ritratti da Norberto Bobbio prima in Italia civile (Lacaita, Manduria 1964) e ora in Maestri e compagni (Passigli, Firenze 1984); molti ma non tutti perché Bobbio esplicitamente nella "prefazione" a questo ultimo volume, distingue e classifica autonomamente maestri e compagni. Per la mia generazione, aggiungerei Raniero Panzieri e Pier Paolo Pasolini. Ma soprattutto vedo come attuale e spero non ultima figura di maestro e compagno insieme proprio Norberto Bobbio. In effetti sono molte le connotazioni che accomunano Bobbio ai suoi "maestri e compagni"; e spesso affiora nei suoi ritratti un esplicito se pur contenuto autobiografismo, anche se come parallelo e confronto tra la loro esperienza e quella dello stesso Bobbio. Cultura minoritaria, certamente; di più, cultura di perdenti. Credo che Bobbio non avrebbe difficoltà né esitazione a collocarsi nella "schiera di coloro che, nella storia del nostro paese, hanno sempre torto. Hanno torto e sanno di averlo"; schiera nella quale inserisce Calamandrei (Maestri e compagni, pag. 142). E non c'è compiacimento aristocratico, a meno che non si intenda per aristocrazia il lucido e consapevole - ma tutt'altro che compiaciuto - riconoscimento che si è in una posizione di minoranza e quasi di impotenza, e tuttavia non si intende né tacere né adeguarsi alla maggioranza. Perché coloro che hanno avuto ragione - meglio, forse, che hanno vinto - hanno prodotto risulta- " ... ti in gran parte negativi e raggiunto es1t1 spesso preoccupanti. In tutti gli schieramenti, ma anche in quello antifascista e nella sinistra. Così Bobbio ha potuto coerentemente e rigorosamente, da antifascista, dissentire · dall'uccisione di Giovanni Gentile e dall' "orrenda esposizione di cadaveri di piazzale Loreto"; sempre da antifascista ma anche da critico dell'ergastolo, sostenere oggi l'opportunità della liberazione di Reder, o, da socialista e democratico, dissentire dalla liberalizzazione dell'aborto. Si può essere d'accordo o meno con questa e altre prese di posizione; ma ciò che importa è che esse sono ispirate sempre da sforzo di rigore intellettuale e da una valutazione morale. Anche in questo caso vale per Bobbio ciò che lui attribuisce a Calamandrei (pag. 128): "nel parlare di cose politiche la valutazione morale prevale sul giudizio di opportunità". Con l'aggiunta, rilevante, di un riferimento teorico e culturale altrettanto rigoroso:·il pensiero di Bobbio è un pensiero tutt'altro che "ingenuo" come quello di Calamandrei. Sdegno morale, rigore morale, valutazione morale, tutti termini e qualità ricorrenti nei ritratti; ma anche bisogno di verità e fede nella ragione, da bisogno a verità e da fede a ragione: "i due caratteri essenziali dell'uomo libero": contraddistinguono l'uomo libero, rispettivamente "dal conformista e dal fanatico". Visione illuministica della funzione dell'intellettuale? Più determinante mi pare per Bobbio la funzion_ecritica dell'intellettuale. L'intellettuale è quasi disarmato di fronte alla forza del potere politico, che il realismo di Bobbio d'altra parte si rifiuta di riconoscere nella sua essenza come violenza e come oppressione di classe; l'unica forza dell'intellettuale è la capacità di critica del potere e soprattutto dei suoi eccessied abusi. Perciò il realismo e il liberalismo di Bobbio. non si sono mai appiattiti a statalismo e difesa delle istituzioni così come esse sono. li problema non si riduce mai ai termini dell'analisi del sistema politico e della sua possibile riforma: prima e alla base c'è una riproposta del rapporto tra etièa e politica. La passione teorica ed etica è superiore a quella pratica e politica. Come per molti dei suoi "maestri e compagni", per Bobbio non ,,

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==