la sua convenienza. Non gli passa per la testa di ripensare al proprio campo d'intervento come a una parzialità inserita in un contesto, anzi in un eco-sistemà. A meno che qualcuno non li paghi per questo ... " In effetti, di opportunisti colti ne abbiamo incontrati parecchi in questi anni: l'avvocato di sinistra che fa un ricorso per la ditta abusiva; il tecnico che fa una perizia rassicurante, per dire che l'Adriatico non soffre poi molto per i fanghi Montedison; il noto naturalista che partecipa, partecipe, ai dibattiti pre-elettorali di forze politiche responsabili di distruzioni ambientali estese. E così via. Su questo punto, dunque, la nostra conversazione - quasi una riflessione intima, com'è giusto che avvenga in una notte gelida e nevosa - restava su toni scettici. Dove il tono volgeva ancor più al brutto, al pessimismo, era invece sulla possibilità di utilizzare la politica, le istituzioni locali, ai fini di una trasformazione "verde". Insieme agli opportunisti, nell'attività politico-istituzionale abbiamo incontrato nugoli di mini-burocrati, di ottusi esecutori di direttive provenienti dall'alto, dal partito o dal capo-corrente - e perfino qualche delinquente. Insoddisfatti di noi, dei nostri limiti di cultura e di efficienza, ci siamo spesso scoperti disgustati dall'aria respirata nelle istituzioni. Anche a livello locale - ci ripetevamo - in politica si è stimolati a dare il peggio di sé, proprio come avviene quando si sta in compagnia di certi individui. A esprimere il peggio delle proprie attitudini morali. Si diventa furbi e aggressivi, ci si convince che il fine giustifica i mezzi (e si tende a scordare che il mezzo può stravolgere il fine), si divide il mondo in partiti misurati in base a rapporti di forza, si lottizzano i bisogni, i desideri, perfino le necessità evidenti, ci si ritrova in un tempo relativo del tutto estraneo ai tempi della vita reale. "Nevica di nuovo", disse qualcuno, troncando il discorso e indicando il cielo. "Chissà che non faccia bufera!" disse l'estremista. La casa dov'eravamo, ai piani alti di una specie di grattacielo, dominava un'ampio panorama. Di là di un finestrone, sotto di noi, la città disordinata, patinata dalla neve, si illuminava di piccole luci. Verso il centro, sembrava riposare sotto i fiocchi lenti e miti, sgranati piano da una notte intorpidita dal freddo. Un orizzonte vicino, invece, si arrossava nei grandi fuochi che, sopra le fabbriche, divoravano il buio e il fumo e bruciavano i.fioèchi di neve. Più in là, trascinata lon- ~·tano dadunghi veloci nastri gialli delle tangentiali, _laperiferia scompl;l_rivaiÌ\ una selva ... di riflessi e bagliori artificiali. Eravamo in silenzio da un po', quando l'amico padrone di casa - il più distaccato di noi dalla politica attiva, si alzò, prese un libretto e lesse: "Un giorno Gasan istruiva i suoi seguaci: Quelli che parlano contro l'assassinio e che desiderano risparmiare la vita di tutti gli esseri consapevoli hanno ragione. È giusto proteggere anche gli animali e gli insetti. Ma che dire di quelle persone che ammazzano il tempo, che dire di quelli che distruggono la ricchezza e di quelli che distruggono l'economia pubblica? Non dovremmo tollerarli". "Bello, no? Sembra scritto per noi, oggi", aggiunse. "È una storia zen". "Già, il problema è però di fermarli, quelli". Come fare, ci chiedevamo, per usare la politica senza farci cambiare da essa; come usarla contro chi ammazza il tempo, l'economia pubblica, la vita? Tornava in mente l'appello finale del saggio maiale di Orwell, il Vecchio Maggiore: "Che fare dunque? (... ) Questo è il mio messaggio a voi, compagni: Rivoluzione!" Qualcuno lo disse. "Mah - rispose il nostro ospite zen - sembra il comunismo, che non è stato un gran passo avanti ecologico. La frase di Marx che preferisco è la meno marxista di tutte: 'L'uomo sia per l'uomo un soccorritore e un amico'". "Bella anche questa - disse un altro - sembra San Francesco". Era ormai molto tardi e dovevamo andarcene. Discutemmo ancora un poco e forse le nostre conclusioni provvisorie - scettiche e verdi - potrebbero concludere anche queste note-resoconto, tra il locale e il globale. Probabilmente - così ci lasciammo - era davvero la rivoluzione la risposta al problema. Ma non quella che, secondo l'immagine ··di Marx, era la "locomotiva della storia", destinata a esaltare le forze produttiye e a stabilire il dominio dell'uomo sulla natura. Contro quest'immagine, Walter Benjamin invitava a riflettere: "Forse si tratta di DISCUSSIONE/BETTIN tutt'altro. Forse le rivoluzioni sono l'afferrare il freno di emergenza da parte del genere umano che viaggia su questo treno". In questa rivoluzione ci si poteva riconoscere, stabilimmo; la storia non ha bisogno di correre più in fretta, figuriamoci poi le forze produttive! Rallentare i ritmi, rispettare i cicli biologici, risparmiare energia e tempo. Non era tutta farina dei nostri sacchi -neppure la citazione da Benjamin, che dobbiamo ad Alex Langer - ma ci mise d'accordo. Finì così la nostra conversazione scettico-verde; ci salutammo e uscimmo nella notte, sotto la neve che, in effetti, minacciava bufera. Le illustrazioni di questa sezione sono di Roberto Da Pozzo . 11
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