il punto, poi, si moltiplica per mille e per centomila se quell'uno è uno scrittore (s'intende un poeta). Anche senza accorgersene, per necessità del suo istinto, il poeta è destinato a smascherare gli imbrogli. E una poesia, una volta partita, non si ferma più; ma corre e si moltiplica, arrivando da tutte le parti, fin dove il poeta stesso non se lo sarebbe aspettato. Naturalmente, povera poesia, dovrà penare per meritare attenzione attraverso i funebri mercati della, cosiddetta quaggiù, alienazione, nel furibondo fracasso dei traffici ufficiali, sacro alla noia dei miseri alienati. Fra tante prove più dure di resistenza, il rumore della noia è logorante. E talvolta lo scrittore avrà voglia di mandare tutti quanti all'inferno, coi loro giornaletti, i loro cantautori e il loro ciclotrone. E lui imbarcarsi definitivamente come Rimbaud, o magari andarsene a stare nel deserto delle colonne, vicino ai suoi compagni stiliti. Ma poi, o non lo farà, o, dopo ogni fuga, ritornerà indietro: perché lui, per sua natura, ha bisogno degli altri, specie dei diversi da lui. Senza gli altri, è un uomo disgraziato. E così, rimarrà sul campo: là dove ormai si espande il sistema della disintegrazione, ossia l'irrealtà. Ma non ci starà, ovviamente, quale funzionario· o suddito del sistema (se si adatterà a questo, sarà perduto). E neanche come un semplice estraneo, o testimonio, che riferisce sul sistema: giacché l'arte, per la sua definizione propria, non può fermarsi alla denuncia: vuole altro. Se lo scrittore è predestinato antagonista della disintegrazione lo è - abbiamo veduto - in quanto porta testimonianza del suo contrario. Se ha partecipato, come uomo, alla vicenda angosciosa dei suoi contemporanei, e ha diviso il loro rischio e riconosciuto la loro paura (paura della morte); da solo ha dovuto, come scrittore, fissare, per così dire, in faccia i mostri aberranti (edificanti o sinistri) generati da quella cieca paura; e smascherare la loro irrealtà, col paragone della realtà, della quale appunto è venuto a portare testimonianza. .,, on più di cinque o sei anni fa (ma se mi riguardo dal- ~ la distanza presente, sebbene da allora non sia passato poi tanto tempo, mi rivedo là molto giovane e molto ottimista) io scrissi un saggio sul romanzo, nel quale, fra l'altro, dicevo, con parole differenti, circa la stessa cosa che ho detto ora. E in proposito, paragonavo la funzione del romanziere-poeta a quella del protagonista solare, che nei miti affronta il drago notturno, per liberare la città atterrita. Anche se meno ottimista di allora, ripropongo la medesima immagine. Ma se qualcuno ne preferisce un'altra, meno epica e più familiare, aggiungeremo quella di Geppetto, quando mostra a Pinocchio (che ormai ha preso la sua figura finale di vera persona umana) la spoglia del burattino, miseramente rovesciata sulla sedia; e intanto gli mette davanti uno specchio, dicendogli: «Ecco, invece, quello che tu sei». Adesso non mi si fraintenda, per carità (anche questa, potrebbe capitare!) arguendo, (o pretendendo di arguire) dalle mie parole, che lo specchio dell'arte abbia da essere uno specchio ottimistico. Anzi, la grande arte, nella sua profondità, è sempre pessimista, per la ragione che la sostanza reale della viAPERTURA/MORANTE ta è tragica. La grande arte è tragica, sostanzialmente, anche quando è comica (si pensi al Don Chisciotte, il più bello di tutti i romanzi). Se uno scrittore, per preservare i buoni sentimenti, o piacere alle anime bennate, travisasse la tragedia reale della vita, che si confida a lui, commetterebbe quello che, nel Nuovo Testamento, è dichiarato il peggior delitto: il peccato contro lo spirito, e non sarebbe più uno scrittore. Il movimento reale della vita è segnato dagli incontri e dalle opposizioni, dagli accoppiamenti e dalle stragi. Nessuna persona viva rimane esclusa dall'esperienza del sesso, dell'angoscia, della contraddizione e della deformazione. E le alternative del destino sono la miseria o la colpa, la diserzione o l'offesa. La purezza dell'arte non consiste nello scansare quei moti della natura che la legge sociale, per il suo torbido processo, censura come perversi o immondi; ma nel riaccoglierli spontaneamente alla dimensione reale, dove si riconoscono naturali, e quindi innocenti. La qualità dell'arte è liberatoria, e quindi, nei suoi effetti, sempre rivoluzionaria. Qualsiasi momento dell'esperienza transitoria, diventa, nell'attenzione poetica, un momento religioso. E in questo senso, si può parlare di ottimismo. Per quanto, lungo il corso della sua esistenza, possa accadere al poeta, come a ogni uomo, di essere ridotto dalla sventura alla nuda misura dell'orrore, fino alla certezza che questo orrore resterà ormai la legge della sua mente, non è detto che questa sarà l'ultima risposta del suo destino. Se la sua coscienza non sarà discesa nell'irrealtà, ma anzi l'orrore stesso gli diventerà una risposta reale (poesia), nel punto in cui segnerà le · sue parole sulla carta, lui compierà un atto di ottimismo. n I tempo che in Europa si instauravano i lager, viveva W in Ungheria un giovane poeta ebreo, di aspetto grazioso e allegro, piaceva alle ragazze, di nome Miklos Radnoti. Per quanto, non conoscendo la lingua ungherese, io abbia, dei suoi versi, soltanto quell'idea necessariamente ridotta e approssimativa che possono darne le traduzioni, mi sembra di poter affermare che era con certezza, per natura e per vocazione, un poeta. Fu ovviamente tra i primi a essere preso, e passò il resto della sua breve vita nei lager, come dire il modello ideale e supremo della città nel sistema della disintegrazione. Fino al giorno che un guardiano del lager non lo liquidò con un colpo alla nuca, dopo avergli fatto scavare la fossa. L'ultima sua poesia fu scritta proprio là, in prossimità di quella fossa dove più tardi furono ritrovati i suoi resti e recuperati i versi da lui scritti nel lager, su pochi foglietti sporchi. La sua esistenza, nell'epoca di questi versi, è ridotta allo spettrale orrore: al lager; e il loro argomento, difatti, è ormai quest'unico: il lager. In una poesia dice: "Il quaderno, la lampada di tasca, tutto mi fu tolto dalle guardie del campo. Scrivo i miei versi al buio ... ". Nell'ultima (dove già può descrivere i particolari della sua prossima esecuzione, avendo ormai, si può dire, assistito alla propria fine attraverso quella dei suoi ultimi compagni) dice: "Ora la morte è un fiore di pazienza". E così ci è rimasta, miracolosamente, la prova, che pure dentro la macchina "perfetta" della disintegrazione, che lo annientava fisicamente, la sua 9
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