Linea d'ombra - anno II - n. 7 - dicembre 1984

82 DISCUSSIONE/BARICCO llf' sori non si capisce se è un ragioniere della bacchetta o un appassionato musicofilo di talento. Ad ascoltarlo si ha soprattutto l'impressione di una pulizia e di un rigore non comuni. Tra le tante apparizioni merita un richiamo, qui, l'esibizione al Maggio: una memorabile esecuzione della Seconda Sinfonia di Mahler. E poi: Baremboim che diverte e si diverte con !'Orchestre de Paris, Askenazij, forse il più grande pianista del momento, che si consacra come direttore di valore guidando a Milano la Philarmonia di Londra in una trionfale Quarta di Cajkovskj; Celibidache, che raccoglie successo e ammirazione a Napoli con l'Orchestra Filarmonica di Monaco; Kurt Masur che porta in tournèe la prestigiosa Gewandhaus di Lipsia senza riuscire, però, a convincere nessuno; e Prétre ospite del Sinodo, nella Sala Nervi, con le orchestre RAI di Torino e Milano in un solenne e pare non indimenticabile Te Deum di Berlioz. Resta poco spazio per tutto il resto: mi limito al ricordo di cinque serate: il recital della Gruberova alla Scala con, fuori programma, la scena della pazzia dall'Hamlet di Thomas e tutto il teatro in piedi per un trionfo d'altri tempi; una Verkliirte Nacht di assoluta emozione, resuscitata da un sestetto che forse non si riascolterà più (Accardo, Sirbu, Giuranna, Sveinbjarnardottir, Filippini, Meunier); Hermann Prey che canta il Winterreise, e ormai non canta nient'altro, solo quello, ma come nessun altro; il bis della Verrett alla Scala, una lady Macbeth superlativa; e il concerto triestino del Trio di Trieste, un appuntamento per nostalgici e intenditori. Nel gran baraccone dell'Opera. Succede di tutto. Da non riuscire a raccapezzarsi. Per semplificare mi limito ad appuntare i tre spettacoli più riusciti: Il viaggio a Reims di Rossini (Pesaro), il Lucio Silla di Mozart (Scala), Coslfan tutte, a Venezia. Come si vede, due allestimenti di Ronconi e uno di Chérear. Non è un caso. Per fare del teatro d'Opera di valore occorre avere, soprattutto, registi e scenografi di valore. Un buon regista può riscattare un mediocre cast vocale. Raramente succede il contrario. Un tenore che cala disturba, ma un regista banale rende vana tutta la faccenda. Con tutto ciò gli Enti Lirici tollerano infami routiniers senza prendersi la minima cura di costruire delle nuove generazioni di registi. Si innalzano lamenti per la graduale estinzione di tenori e baritoni: ma nessuno che ricordi come nell'ultimo anno non sia venuto fuori un solo giovane regista di talento. I nomi sono sempre quelli: i due citati, Pizzi, Ponnelle, qualche transfuga dal cinema, Ljubimov, De Simone (che però se esce dal settecento è un uomo morto), Zeffirelli (?!): dietro di loro la gran saga dei mestieranti, alcuni dignitosi, altri meno. Accanto ai tre allestimenti citati, una serie di spettacoli che hanno fatto, ognuno a modo suo, notizia. La Turando! d'apertura alla Scala, con direzione non più che professionale di Maazel e regia censurabile di Zeffirelli. Il pasticciaccio della Lucrezia Borgia veneziana col cast che si disfa strada facendo, il regista che viene allontanato per incomprensioni col direttore, il direttore (Gelmetti) che cov.duce il tutto in porto con spazientita insofferenza. Una bella regia di Pizzi a Reggio Emilia per una Salomè di Strauss mal diretta dal peraltro stimato Neuhold. Un Don Carlo a Napoli con un grandissimo Bruson. Quattro edizioni quattro dell;Italiana in Algeri (Milano, Modena, Genova, Venezia): il meglio lo si è ascoltato. probabilmente alla Scala, con Abbado sul podio, una vecchia regia di Ponnelle ripresa da Frisell, e la solita Valentini a furoreggiare in palcoscenico. Poi: una buona edizione de Il giro di vite di Britten a Trieste, Gandolfi che esordisce finalmente come direttore a Parma (Na- ,,.... AVANrl A RITMO 01 BLUES f : ·, -~=- . f r- ·~ bucco), suscitando misurati consensi, un allestimento tutto russo di La dama di picche di Cajkovskj a Palermo. La Gruberova trionfa alla Scala nell'Arianna a Nasso diretta con infinita signorilità da Sawallisch. Ljubimov (regista nella stagione precedente di quella Lulu torinese che è stata premiata dalla critica come miglior allestimento '82-83) si becca insulti di ogni tipo per il Rigoletto del Maggio fiorentino, Montaldo (reduce dal televisivo Marco Polo) si diverte con Maag a regalare al Carnevale veneziano un bel Pipistrello straussiano, Savary impazza all'Opera di Roma con un'elettrizzante Périchole di Offenbach. Per dovere di cronaca registro il trionfo all'estero di tre prestigiose regie italiane: a Parigi il Ratto dal serraglio nell'indimenticabile allestimento curato da Strehler; ancora a Parigi un Capuleti e Montecchi di Bellini diretto da Muti con la regia di Pizzi; e a Vienna una Carmen di Zeffirelli (hèlas). Per la serie "recuperi, riesumazioni e affini", tralasciando il già citato Viaggio a Reims (risuscitato assai opportunamente dalla Fondazione Rossini), la palma per la miglior iniziativa va certamente al festival vicentino "Mozart in Italia": gli si devono tre ottimi allestimenti di Il sogno di Scipione, Apollo et Hyacintus e Mitridate re di Ponto. Poi, in ordine sparso, t'Ormindo di Cavalli a Spoleto, Farnace di Vivaldi a Pavia e altrove, La schiava liberata di Jommelli a Napoli, L 'ajo nell'imbarazzo di Donizetti a Torino, un altro Donizetti (La figlia del reggimento) a Parma (con Kraus e June Anderson), Il caffè di campagna di Galuppi a Venezia, Ca- . tone in Uiica di Vivaldia Verona (con la Gasdia, Scimone e i Solisti veneti), e si potrebbe continuare a lungo giacché quasi infinito è il mondo dell'opera e irriducibile la speranza che ancora vi si nascondano tesori perduti. Gli interpreti: promesse e rivoluzioni. Qualcosa di realmente nuovo, credo, l'hanno fatto sentire solo in due: Pogorelich e Sinopoli. Pogorelich è uno che ha il carisma

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