Linea d'ombra - anno II - n. 7 - dicembre 1984

78 DISCUSSIONE/VOLLI definito. Dunque le marginalità possono sopravvivere purché per l'appunto marginali, economicamente depotenziate e culturalmente delegittimate, ufficialmente insignificanti. Una prova la si può trovare.nella proposta di leggeministeriale di riforma del teatro, in cui il finanziamento statale è negato a qualsiasi realtà qualificata come "ricerca" o "speripi.entazione" per non parlare di forme di organizzazione come "gruppi" o "centri". Le Regioni invece, cui va complessivamente un terzo dei fondi disponibili per il teatro, in mezzo a molte cose di cui "debbono" occuparsi (circuiti, edilizia, teatrale, università, ecc.) "possono" anche finanziare la "ricerca". Facile immaginare quanto e come. Un quadro generale di questo tipo esime forse dal considerare i particolari di una stagione teatrale ufficiale particolarmente triste e povera. Vale la pena piuttosto di indicare ;qua e là dei segni di resistenza, non nel senso "diconsapevole opposizione, ma di irriducibilità al progetto dominante di teatro, come lo si è esposto sopra, di "anomalia genetica", se vogliamo esprimerci così. Proprio per-chéin questa fase non esistono progetti organici, ma la restaurazione appare, per così dire "naturale", la "resistenza" sembra spesso una questione puramente soggettiva, di "pelle". Facciamo dunque qualche nome, in maniera altrettanto disordinata e soggettiva. In quel santuario del sistema teatrale italiano che è il Piccolo Teatro si è rifatto vivo Klaus Michael Grtiber con uno spettacolo, Nostalgia, che è stato rifiutato dal pubblico di quel teatro e soprattutto dalla critica; uno spettacolo meno compiuto di altri che il regista tedesco ha costruito nell'ambiente più congegnale della Scahubtihne di Berlino, ma sempre inquieto e spiazzante. Il Collettivo di Parma, uno dei pochi gruppi italiani capaci di pensarsi in termini politici e organizzativi senza tradirsi, ha aggiunto alla sua trilogia shakespeariana un bellissimo Bçchner; il Centro Teatrale di Pontedera che condivide quelle capacità "esterne" in tutt'altro ambiente ha mostrato con la riscrittura del Settimo sigillo firmata da Taviani, Zeinot, una maturità artistica rinnovata. Leo De Berardinis ha trovato un supporto efficace in Nuova Scena di Bologna e vi ha iniziato un difficile percorso nei grandi classici. Glauco Mauri, che pure fa parte del novero dei "grandi attori" all'italiana, continua a non piegarsi alla dittatura del mercato, cercando una strada personalissima e spesso difficile: nell'ultima stagione con un doppio Filottete antico e contemporaneo. Ancora, la coppia composta da Alfonso Santagata e Claudio Morganti, che con il Calapranzi per la regia di Cecchi ha incominciato con molto ritardo a ricevere i giusti riconoscimenti; il Teatro della Valdoca, che pratica una forma di scena oggettiva e poetica decisamente fuori dagli schemi; il teatro dell'Elfo, che sta lavorando alla nuova drammaturgia non per retorica ma per parlare dei problemi contemporanei del suo pubblico giovanile; Dario Fo, che sembra capace di trovare una nuova fase di felice maturità. Un'esperienza tutta particolare è quella dell'Avventura di Volterra, che non costruisce spettacoli ma percorsi partecipabili, al limite delle arti figurative. Insomma, anche a volerne dare uno sguardo puramente soggettivo, e dunque abbastanza casuale, soggetto alle deformazioni della memoria, i semi di "resistenza" non mancano. Una dimostrazione di ciò l'ha data con lucidità e rigore Franco Quadri, organizzando il festival internazionale del teatro per la Biennale, nel mese di ottobre. Il rifiuto dellebarriere generazionali o di "genere", l'ammissione dunque a pieno titolo a fianco del teatro "ufficiale" più qualificato internazionalmente di giovani gruppi sperimentali, l'implicito ottimismo sulla loro possibilità di dire, moltiplicarsi, rinnovarsi; il tentativo di organizzare tutto un panorama teatrale, intorno al nodo dei rapporti fra scrittura e parola teatrale: questi sono stati i presupposti di un "cartellone" molto ricco e certamente qua e là criticabile, ma capace comunque di sostenere efficacemente le sue ipotesi di partenza. Quadri ha così mostrato che è possibile costruire paradigmi àiternativi alla definizione tradizional6 del teatrò, ma altrettanto comprensivi; che quindi la "restaurazione" di categorie e limiti del teatro non è affatto logica e inevitabile, ma al contrario è una scelta culturale la cui fertilità è discutibile. Questo risultato conta certo di più di molti ~petta,colinotevoli che vi si sono visti, e che non è il caso di elencare qµi, se non citando Rorfconi, la Valdoca, l:eo De BerardiJ nis, Enfance da Nathalie Sarraute. Anche la Biennale dunque mostra che il teatro non è semplicemente un'arte in crisi, vittima fra le tante dell'esplosione televisiva, ma un possibile luogo di conflitto culturale, in cui è possibile schierarsi e lavorare. Di queste lotte vedremo gli esiti nelle prossime stagioni.

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