UNANNODITEATRO Ugo Volli Una riflessione onesta sui risultati dell'ultima stagione teatrale e sulle prospettive di quella che è appena iniziata non può che partire da un dato chiaro e incontrovertibile. Negli ultimi anni il teatro in Italia ha perso influenza, pubblico e interesse. Dopo vent'anni praticamente ininterrotti di espansione che vanno dal minimo storico del '63 con tre milioni e mezzo di biglietti venduti fino all'Sl-82 quando i biglietti furono quasi dodici milioni, due stagioni fa il risultato fu pari a quello precedente, senza aumenti né diminuzioni sostanziali; ma la stagione scorsa ha fatto segnare un calo intorno al 10 per cento. Questi numeri valgono per la loro oggettività, in sé potrebbero anche non significare granché; ma chi segue il teatro sa che ad essi corrisponde una caduta della vitalità organizzativa, del livello qualitativo medio, della capacità di rappresentanza sociale, dell'interesse esterno che il teatro ha saputo produrre. Peter Brook scrisse una volta che se anche si chiudessero d'improvviso tutti i teatri, nessuno se ne accorgerebbe (mentre quando un pretore ha cercato di "chiudere" le tv private, i risultati si sono visti eccome... ). Questa era indubbiamente la situazione prima di un grande atto simbolico come l'occupazione dell'Odéon durante il maggio parigino. Quella clamorosa sconsacrazione del tempio del teatro come rito culturale borghese, o forse tutto il protagonismo e il bisogno di rifondare la cultura che dietro quell'occupazione agivano, ha provocato conseguenze importanti per i quindici anni successivi. Nelle sperimentazioni delle avanguardie come nelle nuove tecnologie, in tutto ciò insomma che Grotowski ha definito con un'immagine felice "far buchi nei muri del teatro" si esprimevauna vitalità, un gusto simbolico, una volontà di cambiamento, un bisogno di concretizzare l'utopia, insomma una delega sociale capace di far superare al teatro i suoi limiti evidenti, economici e tecnologici come mezzo di comunicazione di massa. Un nuovo personale di scena, quello dei gruppi e delle cooperative, sapeva trovare un nuovo pubblico, periferico, decentrato, generazionale. I teatri si potrebbero chiudere di nuovo senza danni. Non c'è dubbio che tutto ciò sia finito. A teatro più che altrove il ."riflusso" è stato restaurazione, rimessa all'ordine, ri- ~pres~qi potere delle istituzioni e dei ceti tradiziqnali;-~ichiamointransigente a\le antiche •. •. definizioni e distinzioni. Non si tratta però di un processo spontaneo; c'è stato un "lavoro di restaurazione'' che ha soggetti precisi nella critica, nelle organizzazioni di categoria, in autorevoli registi ed attori: unà "battaglia contro gli anni Settanta" che ha coinvolto prima "l'effimero", reo di-essere poco serio; poi i piccoli gruppi e cooperative "finanziati a pioggia" e incapaci di produrre profitto; quindi l'istituzione stessa della regia, che soffocherebbe il "grande attore". Oggi è in corso un tentativo di smantellamento della nozione stessa di "teatro pubblico", contenuta nella proposta di legge che ha presentato il ministro dello spettacolo, Lagorio. Anche se le singÒlefasi di questo processo restaurativo hanno visto protagonisti diversi, e spesso per ironia parti attive coloro che ne sarebbero stati in seguito vittime (per esempio certi teatri stabili e certe cooperative maggiori contro i gruppi più piccoli), il suo significato complessivo è unitario. C'è una forte spinta per tornare a una definizione di teatro del tipo di quella corrente trent'anni fa, per cui il teatro è rappresentazione "secondo le regole dell'arte" di testi classici o moderni, interpretati secondo "l'intenzione dell'autore"; fra teatranti e pubblico si istaura una convenzione di verisimiglianza, garantita e limitata dalla forma stessa della sala all'italiana; o meglio il contratto è più complesso: il pubblico accorda un assenso provvisorio (" crede") alla fiaba che gli viene raccontata purché questa non lo infastidisca troppo con problemi reali. Il vero soggetto del teatro, tutti sono d'accordo, è lo scrittore; il regista si deve limitare a decorare gradevolmente il quadro, e quindi in genere può essere sostituito dallo stesso "grande attore", che è l'altro polo su cui si organizza lo spettacolo. Qualunque infrazione ai codiDISCUSSIONE/VOLLI ci di verisimiglianza, qualunque confusione linguistica o temporale o spaziale, qualunque interferenza registica e interpretazione (in senso forte) è bandita. Ogni ragione del teatro al di fuori del contratto di rappresentazione è persegujtata. Ogni forma di organizzazione teatrale al di là della compagnia commerciale è vietata. Queste affermazioni possono sembrare troppo radicali, forse, ma potrebbero essere agevolmente esemplificate. Il processo di restaurazione è in effetti molto avanzato. Nessuna meraviglia, allora, che vi corrisponda un calo di pubblico e di influenza. Il pubblico "periferico" e "anomalo" caratteristico degli anni Settanta non è più gradito, soprattutto è rifiutata la sua domanda di espressione e di rappresentanza; il circuito provinciale che si era straordinariamente allargato nell'ultimo decennio soprattutto grazie all'intervento dei poteri locali è travolto dalle ristrettezze economiche dei loro bilanci, e anche dal disinteresse dei teatranti. Il teatro normalizzato non è il mezzo di espressione o di riflessione di nessun gruppo sociale; è al massimo un divertimento, che non avendo alcuna possibilità tecnica di concorrenza col cinema e soprattutto con la televisione, assume un carattere prevalentemente "mondano", un'occasione per "uscire" allegri e benvestiti, che non dev'essere turbata da aggressioni formali o di contenuto. Chiaro che questo possibile uso del teatro interessa un pubblico limitato per numero e base sociale, innescando così un circolo vizioso: meno pubblico, costi maggiori, ancora meno pubblico... L'esito finale di questo processo è il museo mondano in cui da tempo è confinato il teatro musicale. Naturalmente questo panorama non è completamente omogeneo, ci sono resistenze a diversi livelli, che spesso hanno un solido peso economico e intellettuale. Non sarà certo facile, per esempio, far sparire nel nulla trent'anni e più di teatro pubblico, con la connessa ideologia del "servizio", e il personale relativo; e altrettanto complicato sarà abolire fenomeni di base ben radicati. D'altra parte anche dentro questo panorama possono convivere realtà molto diverse, dal teatro di Gino Bramieri fino a quello di Giorgio Strehler, intorno a un asse idealedi teatro medio che si potrebbe identificare ~ esempio in una compagnia come quella di Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice. A ben vedere il programma implicito della restaurazione non è neppure tanto estremista da essere totalitario, se non altro perché ha soggetti che lo promuovo~o, ~ n~n uno stato maggiore che lo pianifichi; ~ msomma un progetto sociale e non un pumo 77
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