Linea d'ombra - anno II - n. 7 - dicembre 1984

46 toli, salire, più lontano, ancora, le rampe di un parcheggio sopraelevato. Un odore di gelsomino, che riempiva l'aria, mi diede la nausea. Mi alzai di scatto e annunciai ai miei compagni che, senza por tempo in mezzo, volevo ridiscendere in città, che "avevo qualcosa da sbrigarvi". Mi credettero solo in parte e, di malagrazia, decisero di accompagnarmi. A Dexameni, avevano spinto i tavoli sui marciapiedi per accogliere un maggior numero di clienti. Non gettammo neppure uno sguardo sui gradini del teatro della via lraklitou. In via Demokritou, mi fermai, un attimo, davanti a una finestra aperta dalla quale uscivano ventate di una musica familiare: un Improvviso di Schubert che, in questa città meridionale e canicolare mi parve stranamente fuori luogo. Al cinema Astor, in via Stadiou, davano un film italiano di Maciste. Raggiungemmo il centro attraverso la scalinata di via Voukourestiou. Alla fine ci separammo sul marciapiede di piazza Syntagma. Li guardai allontanarsi. Non ci eravamo dati appuntamento per un'altra data. Non ci saremmo rivisti. Era senz'altro meglio così. Appena ritenni di trovarmi lontano dai loro occhi, andai ad allungarmi sull'erba, al centro della piazza, e non tardai a riaddormentarmi. Fu l'ombra, stavolta, a svegliarmi. Avevo la bocca impastata. L'alcool, di per sè, non bastava a spiegare il malessere che mi confondeva le idee. . Attraversai la piazza dalla parte di Pentelis e, all'edicola di giornali, chiesi un gettone. Mi impadronii del piccolo telefono rosso come di un giocattolo da bambino. Composi il numero 88.26.603. Risposero quasi subito. "Lei è Petros", chiese il mio interlocutore, con voce spenta. "La aspetto da tre giorni..." Come se mi rimproverasse amaramente. "Se è libero, adesso, può venire subito ... " Meno di un quarto d'ora dopo, un taxi mi lasciava davanti al numero 19 di via Lyciou. S-:, avanti a me stava un uomo di una trentina d'anni, ~ al massimo, di alta statura, dal volto emaciato, un po' pallido. Una riga in mezzo al capo divideva i suoi capelli lucenti come quelli di un ballerino di locale notturno. Non mi invitò subito a entrare. Si sarebbe detto che intendeva anzittutto squadrarmi, per capire con chi avesse a che fare. Mi fece sedere in un piccolo salotto con le persiane chiuse. Il sole divideva, quadrettava lo spazio, tra le stecche leggermente sconnesse. Non mi offrì alcoolici, e pose davanti a me un bicchiere d'acqua fresca e qualche dado di formaggio di pecora. "Andreas", mi chiese, "le ha detto perché la inviava da me?" Risposi di no. Scoprii semplicemente che, finora, non mi ero neppure posto la domanda. "La cosa non mi sorprende ... " disse con aria sognante. Quasi per guadagnare tempo, gli chiesi dove avesse imparato a parlare così bene il francese. Senza fornirmi altre spiegazioni, mi rispose quasi con durezza: "Parlo anche l'inglese, se è per questo ... " Mi dissi che Christos lkonomou doveva essere una vittima, un eroe discreto della resistenza ai colonnelli, un compagno di cella che Andreas Papadiamantis aveva incontrato nei locali della Pubblica Sicurezza, in via Bouboulinas, o nella prigione di Egina. Stanco di raccontare le prove subite, Andreas, pudico e generoso, aveva voluto che un uomo meno noto, meno memorabile di lui, mi facesse il racconto del suo martirio. Mi sbagliavo solo in parte. "E lei non ha il minimo sospetto?" mi chiese Christos lkonomou. Un "sospetto"? Che parola curiosa! Quale sospetto potevo nutrire? "No, ovviamente. Non ha potuto indovinare. Perché in questo caso non avrebbe neppure accettato di incontrarmi. .. Dal momento che sono l'aguzzino di Andreas ... " E come se non bastasse, precisò: "Sono quello che lo ha torturato ... " Per essere sicuro che avessi davvero capito. Che finalmente fosse chiaro. Stavolta, si esprimeva almeno al passato: "Quello che lo ha torturato ... " Prima aveva detto: "Sono l'aguzzino di Andreas ... " Come se lo fosse ancora, adesso. Come se dovesse rimanere tale per l'eternità. "Ah! Era dunque questo ... " feci io. Ma fu probabilmente per non perdere il contegno. Purché non mi metta a sudare ... , pensavo, assurdamente. Se fossi stato in piedi, avrei chiesto una sedia per sedermi. Ma ero già seduto. Qualcosa di simile a una scarica elettrica mi aveva attraversato i coglioni. Non mi muovevo. Avevo paura che la cosa si ripetesse. Mi chiedevo se non avessi, in realtà, "sospettato" qualcosa, per usare il termine al quale era ricorso Christos lkonomou. Intuito qualcosa che non potevo confessare neppure a me stesso. E quindi, guadagnando tempo, avevo.ritardato, in parte volontariamente,' la rivelazione? "Ma se fossi stato solo quello", riprese Christos lkonomou, "Andreas non l'avrebbe fatta venire. E, del resto, non sarei più stato qui ad accoglierla ... ". Era più che evidente. Un bambino si mise a piangere nella stanza vicina. La stanza 'vicina o l'appartamento vicino? No, doveva essere proprio nella eamera di fianco.· · Allora Chistos lkonomou riferì con calma, solo con la voce un po' sorda, come aveva torturato Andreas Papadiamantis, ciò che aveva fatto di lui, Christos lkonomou, "l'aguzzino" di Andreas Papadiamantis. Tutto, in un certo senso, ridiventava chiaro, semplice e logico. Sì: perfettamente logico. Dio sa che mai nulla, a questo

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