24 DISCUSSIONE/MASI della "forza" che è pure rifiuto di responsabilità sociale e storica. Una simile morale di rifiuto partorisce le due pratiche, opposte e complementari, della violenza armata e dell'assoluta non-violenza: le due forme del rifiuto della politica e della dialettica fra governanti e governati, sfera pubblica e sfera privata. Questa morale ha qualche rapporto col tolstojsmo e con le teorie della nonresistenza. A mio giudizio, è molto lontana dall'impegno mai nichilistico di Simone Weil. A lei si può collegare tuttavia per un altro carattere. Un'etica che punti in termini assoluti sulla dimensione individuale è una contraddizione in termini, come abbiamo visto per Grossman. Quelli che oggi in Italia propongono un'etica di questo tipo non sono Grossman e non cadono in quella contraddizione grossolana. Quando dicono "individuo" o fanno riferimento alla sfera privata in contrapposizione a quella pubblica, "forte" o del potere, in realtà fanno appello all'aristocrazia di piccoli gruppi, dove il silenzio sui motivi dell'agire è soltanto allusione al non detto: conosciuto da pochi, verità esoterica. Senza dubbio Simone Weil, con il riferimento alla "grecità" in una data accezione e con le simpatie per la gnosi, ha dei punti di contatto con queste concezioni aristocratiche del perfezionamento personale. Ceti e gruppi intellettuali sconfitti o in via di estinzione hanno più volte prodotto pensiero a un tempo aristocratico e rinunciatario nei confronti del potere politico. La corrente esaltazione della "debolezza" pare una caricatura delle grandi forme di pensiero degli sconfitti del passato, dal taoismo dell'antichità fino al giansenismo. Chi vuole seguire questa ·via dovrebbe capire che essa non esclude la grandezza, la forza che guarda la morte con allegria, il disprezzo e la resistenza. Veniamo ora all'uguaglianza. Tolstoj dice che "l'uguaglianza degli uomini fra loro non è mai esistita né esiste". Questa affermazione, in un primo momento, La Porta lascia stupito. Sono a mia volta stupita del suo stupore. Tolstoj non si riferisce alla dichiarazione di un principio dell'uguaglianza: una cosa è la dichiarazione di principio, altra cosa è l'esistenza. Più evidente è la disuguaglianza economico-politica. Ma altre ne esistono, nelle doti fisiche e intellettuali dei diversi esseri umani, nelle condizioni di salute, ecc. Alcune di esse sono assolute e insuperabili e non ammettono neppure le ipotesi concrete o irrealistiche di soluzione o riduzione, quali si prospettano incessantemente per la sfera socio-economica. Che cos'è dunque "il riconoscimento dell'uguaglianza degli uomini"? Un fondamentale carattere di ogni religione, risponde Tolstoj. Possiamo aggiungere: è pure il contenuto di determinate concezioni etiche, è come quelle, nell'èra moderna, rousseauiana e kantiana, fondate rispettivamente su uno "stato di natura" e su una "ragione" comuni a tutti gli uomini. Stato di natura, ragione, o altri punti di riferimento, sostituiscono nelle concezioni moderne laiche la nozione cristiana di "figli di Dio" o quella di creature soggette a un comune destino, propria di altre religioni (dove l'uguaglianza si allarga tendenzialmente, come nel buddhismo, a tutti i viventi anche non umani). Solo per le religioni la dichiarazione di principio coincide con l'esistenza dell'uguaglianza. Si tratta infatti di una verità interiore e universale, che riguarda le qualità e la condizione umana in se stesse e resta tale nonostante e al di là delle disuguaglianze di fatto. Gran parte del discorso che La Porta fa, richiamandosi a Tolstoj e a Simone Weil, si svolge in quest'ambito ed è valido a patto di sapere entro quali confini si muove. La separazione fra le sfere etico-religiosa (verità di principio, interiori, universali) e socio-politica (principio di realtà e situazioni specifiche ed effettuali) divenne sempre meno accettabile nel corso del processo di laicizzazione dell'etica, che è arrivato a maturazione alla fine del Settecento. Le motivazioni dell'uguaglianza di tipo rousseauiano e kantiano restano nella sfera dei principi etici, tuttavia - specie per quella rousseauiana -la discesa dal Cielo alla terra, l'enfasi che · dalla pura interiorità si trasferisce sui rapporti interumani, favoriscono l'intreccio, contradditorio e conflittuale, fra postulati morali e impegno socio-politico, che per due secoli non si è più sciolto. Fra la fine del secolo scorso e la prima metà del nostro, le personalità di Tolstoj e di Simone Weil sono incarnazioni differenti e significative di questo intreccio, con le lacerazioni drammatiche e la ricerca di verità che esso comporta. Alla massima estensione dell'incontro-scontro fra le due sfere si arrivò durante la resistenza al nazismo, quando una costruzione politica mostruosa, che presentava i caratteri dell'assoluto "male", costrinse milioni di persone a guardare in faccia i grandi problemi "della vita e della morte" (per dirla con Pasternak) come necessità urgente e quotidiana. Furono allora dissolte per i più, e per un tempo, le barriere che dividono la sfera individuale da quella collettiva, i luoghi dell'interiorità da quelli dei comportamenti pubblici. Morale e politica si intrecciano in un nodo indistricabile. Da qui ebbe origine nel dopoguerra la diffusione popolare dell'etica dell'impegno. Ma da allora, nel corso di una ventina d'anni, il nodo si sclerotizzò a vantaggio della politica di partito e di potenza. Ne risultò l'immobilità senza pace, il congelamento dei conflitti. La rivolta degli anni sessanta non poteva non riproporre i contenuti etici come materia del discorso politico. Questo è il vero senso che accomuna e spiega l'introduzione della morale cristiana e della morale maoista nel nocciolo dell'opposizione politica. La rivolta, come si sa, è stata sconfitta; senza però che sia stata eliminata una sola delle cause che la determinavano. Donde la necessità per i vincitori di adottare ogni misura possibile per scongiurarne la ripresa. Una di queste misure parte dalle istanze etiche - in primo luogo quella dell'uguaglianza - che della rivolta erano state a un tempo il punto forte e il punto debole. Il punto forte, perché in generale non è pensabile un progetto politico sostenuto dal consenso popolare che non faccia riferimento anche a valori etici collettivi (basta ricordare le grandi costruzioni della borghesia e i brevi periodi eroici del socialismo). Il punto debole, perché la rivolta dei neoproletari, Terzo Mondo e marginali contro le classi dirigenti vecchie e nuove aveva accentuato, delle teorie rivoluzionarie, l'elemento rousseauiano contro quello macchiavellico-hobbesiano, e fondato indebitamente la richiesta di uguaglianza socioeconomica sull'affermazione dell'assoluta uguaglianza naturale degli_uomini fra loro. Questo, proprio quando le acquisizioni della scienza e l'esperienza storica dei socialismi reali rendevano insostenibile la tesi dell'uguaglianza naturale e richiedevano - richiedono tuttora - di rifondare nelle motivazioni e ridefinire nei contenuti la ricerca di ogni altra uguaglianza. L'operazione dei vincitori consiste in una doppia mistificazione: popolarizzare istanze egualitarie indeterminate, e assegnarle a una sfera etica isolata dal rapporto con la politica. Da un lato si fa coincidere la morale con l'ambito privato e la politica con quello pubblico, esaltando il primo e spregiando il secondo - onde lasciarne il monopolio ai suoi professionisti, che possano operare indisturbati. Dall'altro lato, si dà a intendere che la generalizzazione di determinate istanze in valori etici comuni nella presente società sia di per sé l'attenuazione di quelle istanze, senza bisogno d'altro. L'etica laica delle origini, oggi inattuale, viene usata in funzione oppiacea del tutto analoga a quella che ai tempi di Marx aveva la religione.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==