Linea d'ombra - anno II - n. 7 - dicembre 1984

DISCUSSIONE/LA PORl'A IOAMOME. TUAMITE Filippo La Porta "Mi ammiri molto, veramente?" domandò il piccolo principe "Che cosa vuol dire ammirare?" "Ammirare vuol dire riconoscere che io sono l'uomo piu bello, piu elegante, piu riccoe piu intelligente di tutto il pianeta" "Ma tu sei solo sul tuo pianeta!" "Fammi questo piacere. Ammirami lo stesso!" A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe Il "vanitoso" qui ritratto, che vuole essere riconosciuto come l'uomo piu bello, piu intelligente, etc., vive da solo sul suo pianeta: probabilmente crede di amarsi, ma il suo amore di sé lo contrappone cosi radicalmente agli altri da condannarlo a una solitudine altezzosa e solitaria. Ha un continuo bisogno di essere ammirato, di sentirsi su un piano unico, superiore a quello in cui si trovano tutti gli altri. Certo amare se stessi è anche amare la propria unicità, che non significa voler essere i piu belli, i piu intelligenti, etc., ma semplicemente belli, intelligenti, etc. in un modo proprio, specifico. Questo dialoghetto, nella sua semplicità da apologo, illumina un aspetto essenziale della tematica del narcisismo, una tematica che ultimamente è stata al centro di parecchie riflessioni e discussioni. Com'è noto lo specchio di Narciso ha rispecchiato in questi anni oltre a se stesso anche importanti processi di trasformazione della società e della cultura, del costume e della mentalità, nel nostro come in altri paesi. Al pathos verso il collettivo, verso !'-impegno sociale, verso il progetto, ha fatto seguito la orgogliosa riscoperta del sé, l'interesse esclusivoper il qui e ora, la rinnovata attenzione al soggetto, al corpo, alle proprie pulsioni. Qualcuno ha voluto dare a tutto ciò un segno positivo, cercando di stabilire una continuità indolore con il passato "rivoluzionario", altri hanno deplorato con accenti gravi la nuova sensibilità (che certo non sembra proprio essere effimera ... ). Cosa può insegnarci il dialogo raccontato da Saint-Exupéry? Che la questione non è di condannare o di assolvere il narcisismo, né quella di un'antitesi tra amore degli altri e amore di sé, ma di come si ama se stessi. Un libro dell'americano Paul Zweig, uscito in USA nel lontano '68 e soltanto quest'anno pubblicato in Italia, L'eresia dell'amore di sé (Ed. Feltrinelli), può essere, pur con tutti i suoi limiti, una utile occasione di riflessione intorno a questa tematica. Ma prima di riassumerne il contenuto proviamo a fare alcune considerazioni preliminari, tenendo soprattutto conto del contesto in cui questo libro viene a essere letto. Zweig dichiara dalle prime pagine di prendersela in particolare con i moralisti e gli apocalittici, ci invita appassionatamente ad amarci, ci esorta a prendere le distanze dall'umiltà e dall'altruismo, elogia gli aspetti anticonformisti e sovversivi di un certo tipo di narcisismo, ci prende affettuosamente per mano e compie insieme a noi un viaggiosuggestivo dentro la cultura occidentale, con il generoso proposito di farci sentire culturalmente meno soli, perfino nella esplicitazione dei nostri impulsi piu "antisociali". Ora, prima di ogni altra questione, sorge un interrogativo che riguarda probabilmente piu noi che il libro di Zweig. Nell'Italia degli anni ottanta c'è davvero qualcuno che sente in modo particolare la necessità pressante, l'urgenza non piu rinviabile, di questi candidi elogi del narcisismo, di questa virile esortazione ad amare se stessi, senza remore e senza scrupoli di sorta? Anche se per amore di sé, come vedremo, si possono legittimamente intendere cose assai diverse tra loro, la prima impressione, scorrendo le pagine di questo libro, è che le sue tesi ingenuamente provocatorie siano fatte apposta per essereoggi equivocate, male interpretate e usate in modo puramente strumentale. Che insomma, almeno nel nostro paese, lette superficialmente e senza nessuno sforzo di mediazione, siano destinate ad alimentare il peggiore conformismo, a diventare uno dei tanti aromi culturali di questa atmosfera apparentemente liberatoria fatta di ossessione dello "stare bene", di gaudentismo coatto, di indifferenza per gli altri, di fiero disinteresse per il futuro in nome del Piacere qui e ora, di non piu celata ammirazione per i "predatori". In questo senso il narcisismo, almeno nell'accezione comune e piu immediata del termine, sembra davvero essere la categoria piu adatta per descrivere la nuova classemedia, aggressivamente insicura, che ha fatto ovunque dell'autoappagamento illimitato il proprio principio, la propria trionfante ideologia. L'idea che possa esistere un qualche rapporto tra questa ideologia e certi contenuti del '68 è certo enormemente semplificatrice ma non del tutto priva di interesse. Mentre in Italia sottendeva certi articoli di Pasolini, questa idea rappresenta oggi in USA uno dei cavalli di battaglia della nuova destra culturale, che tende a vedere nel radicalismo e nella controcultura degli anni sessanta e settanta la causa prima degli attuali modi di vita, concentrati nevroticamente sull' "autorealizzazione" dell'individuo. Ma veniamo ora al libro del radical Zweig: quali sono le sue tesi centrali? Qual è lo stile della sua argomentazione? Che impatto possono avere le sue tesi nella nostra cultura? La ricerca dello studioso americano consiste in una minuziosa esplorazione delle innumerevoli versioni del mito di Narciso all'interno della storia della cultura occidentale. Un'esplorazione animata e guidata da una tesi centrale, che ha immediatamente delle implicazioni polemiche, e che a volte viene sviluppata con alcune forzature e tendenzionsità: il mito greco di Narciso costituisce nella nostra cultura una sorta di "eresia", quasi sempre condannata o esorcizzata, una figura attraverso cui si è espressa l'esigenza dell'individuo di resistere a un "sociale" invadente e repressivo, di non adattarsi, di non farsi integrare. Insomma Zweig si schiera tutto dalla parte dell'individualismo "sovversivo" celato nei vari narcisismi, dalla parte della assoluta libertà del singolo, della sua soggettività anarchica e indomabile, al di fuori e contro la società. Lo schema qui delineato è in qualche modo accettabile, condivisibile? Prima di muovere le nostre critiche vediamo.lo stile in cui Zweig si esprime, la sua scelta di un particolare "genere". Si tratta di un'opera briosa, vivace, scritta in modo scorrevole e accattivante, secondo una certa tradizione del saggismo anglosassone. Non ha il sussiegoo lo spento rigore di tanta accademia, ma nemmeno indulge al tono un po' andante cui ci ha abituato tanto giornalismo culturale. Con il suo dichiarato eclettismo culturale e il suo programmatico antispecialismo questo libro tende a stimolare una discussione insofferente verso qualsiasi delimitazione disciplinare; e infatti in USA la tematica del narcisismo è stata affrontata dalle piu diverse angolazioni (sociologica, etica, psicologica, religiosa, politica, etc.). Nella cultura occidentale il mito di Narciso sarà pure stato un mito "scomodo", ma certo ha avuto uno spazio rilevante, che qui l'autore si impegna pazientemente a percorrere tutto, dalla letteratura cavalleresca alla lirica provenzale, da Shakespeare a Melville, dagli gnostici a Lutero, da Cartesio e Spinoza a Rousseau e a Kierkegaard, etc. Alcuni autori vengono appena sfiorati, e di ciò Zweig si affretta a scusarsi nella prefazione. Proprio qui andrebbe fatto un primo appunto. A parte l'intenzione enciclopedica, che omologa situazioni distanti e diverse tra· loro (non tutti i poteri si equivalgono, né tut-

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