Linea d'ombra - anno II - n. 7 - dicembre 1984

18 DISCUSSIONE/FOFI I NEMICI DELROMANZO Goffredo Fofi Alla domanda rivoltami da un amico: qual è il romanzo italiano della scorsa stagione che hai letto con più interesse, ho risposto istintivamente: Come ho tentato di diventare saggio di Altiero Spinelli (Il Mulino). È un libro di memorie. L'amico è insistente: e la miglior opera prima? Ho cercato cercato, e altrettanto istintivamente ho risposto: Amore nero di Maria Pace Ottieri (Mondadori); di cui m'ero affrettato a dire, appena uscito: ma questo non è un romanzo! E infatti è piuttosto il diario di un antropologa milanese in Africa, chiamato dall'editore "romanzo" forse per difficoltà di rubricazione. Ho poi voluto verificare. La memoria inganna, quando non si tratta di opere davvero importanti e che "fanno data". Libri che ti sembrano usciti da pochi mesi sono usciti anni fa, e libri che pensi di tre anni fa sono usciti da pochi mesi. Ti metti così a sfogliare vecchi numeri di "Tuttolibri" e i tuoi veloci appunti di lettura e scoprì, sì, che la stagione '83-84 è anche quella di Palomar (ma puoi definirlo un romanzo?), che ci sono stati anche esordi di qualche promessa (Lolli, Busi, il curioso e ridondande video-comic di Benni) e che Tabucchi ha dato alle stampe un Notturno indiano che è un romanzo, e che ti è molto piaciuto, che ti ha molto intrigato nonostante un rovesciamento finale che ti ha fatto arrabbiare. Ma scopri anche che autori che stimavi hanno scritto libretti minori o superflui, che i soliti tardoavanguardisti hanno cincischiato qualche operina da artigianelli dell'incastro e della copia, e che tanti, ma proprio tanti signori e signore (anzi tutti "signore", ti hanno annoiato con le loro vaghe consolazioni tra grande "umanità" e commediaccia di costume, scialo di sentimenti originari e crisi della menopausa e dell'andropausa, romanzi nel romanzo e storie di letterati alle prese con la letteratura, massimi problemi _e minime schiocchezze trattati tutti con imperturbabile prosopopea e incapaci di comunicarti alcunché - una narrativa piccolo-borghese per piccolo borghesi o per le anime buone dei ceti emergenti, noti un tempo come nuovi ricchi. A riprova: gli elenchi sterminati dei candidati a premi già di prestigio. Dunque: Spinelli e la Ottieri, due non romanzi che però assolvono ad alcune funzioni tradizionalmente attribuite al romanzo. Secondo i dizionari, romanzo è un "componimento narrativo in prosa, di ampio respiro, imperniato sulle vicende storiche o inventate di uno o più personaggi". Trasmissione e dilatazione (o concentrazione) di esperienze vere o immaginate, conoscenza, invenzione e "gioco". Si è chiesto in passato e si chiede ancora al romanzo di ;•raccontare" qualcosa in grado di interessarci, di porci a confronto con altre esperienze in cui riconoscersi o in cui trasferirsi, di descriverci storie e ambienti a noi ignoti o noti in modo generico, di comunicarci esperienze, e attraverso esse riflessioni, problemi, dubbi, domande; o semplicemente di divertirci solleticando la nostra fantasia, la nostra intelligenza, la nostra curiosità. Tutto questo implica, è ovvio, la capacità di "raccontare" - cioè di costruire, descrivere, scrivere. Ma quello che è successo in modo più estremo per altre arti si va ripetendo anche per la letteratura. Il modernismo e le avanguardie hanno messo in crisi il romanzo "tradizionale" e hanno teso fortissimamente e spesso invidiosamente (chi non sa raccontare tende a deprezzare i meriti di chi sa farlo e a dire abusivamente che è "vecchio" o sbagliato farlo) a sminuire l'importanza del romanzo, o a chiamare romanzo ciò che, valida o meno che sia, è sperimentazione, ricerca, "letteratura", o semplice sregolata effusione. Negando al romanzo il suo ruolo e la sua funzione, si è permesso che il campo lasciat~ libero venisse occupato dal "romanzo d1 consumo", rosa e giallo, fantascienza e avventura, best-seller e intreccio al calcolatore. Ma in Italia nemmeno godiamo, non dico di una Highsmith, di un La Carré e di un Dick, ma neanche di un Robbins. Mentre è occupatissimo, sovroccupato lo spazio dell'inutile - questo sì, esperto da autori vecchi per lettori vecchi-, della pretenzione e consolazione molto mid-cult e middle-class. Senza poi che la sperimentazione, le avanguardie, abbiano avuto il fiato molto lungo, ché altro è distruggere forme vecchieper inventarne di nuove in funzione di una società nuova, di un progetto complessivo, e altro è distruggere forme vecchie per costruire marchingegni e puzzles fine a se stessi, privato divertimento, nel non peggiore dei casi, appetibile solo ad altri letterati, o meglio ad altri amici letterati. Mi si permetta, per essere il più franco possibile, qualche nota sull'esperienza di questa rivista. La nostra fiducia nella possibilità di trovare voci nuove proprio a partire dalla palestra più condizionante e difficile e anti-effusiva, ma entusiasmante, che è quella del racconto, è stata frustrata dalla lettura della miriade di manoscritti di poco significato che ci sono stati spediti o che ci sono stati proposti. (Si veda, in proposito, quando ne dicono avanti La Porta e Sinibaldi.) La nostra difficoltà di trovare testi di scrittori italiani viventi che giudichiamo bravi aumenta con il passare dei numeri. Ci restano pochi nomi da corteggiare, da stimolare. Ed è giocoforza, ma anche ci piace, accettare la sfida di un altro tipo di prosa - per quanto riguarda l'Italia. Testi di confine, appunto; memoria e inchiesta, riflessione teorica sostanziata da fatti e accadimenti e descrizione umoristica di "tipi" del nostro tempo, divagazione aperta ma che abbia qualcosa da raccontare e su cui far riflettere di concreto e attuale... eccetera, eccetera. Battere altre strade, insomma se quella che pensavamo prioritaria ci sembra frequentabile solo in misura assai ridotta e con un massimo di cautela. Non ci chiudiamo certo alla possibilità della sperimentazione (non siamo fanatici di un'unica forma di scrittura, così come non lo siamo di un'unica forma di espressione), né rinunciamo alla speranza che narratori nascano o crescano in grado di rappresentare qualcosa di più di quanto sostenuto dal funzionariato editoria! - mediologico. Né infine cesseremo di cercare in altri ambiti creativi (il cinema, il fumetto, il teatro, il giornalismo, la storia ... ), narrazioni rilevanti, fantasie organizzate in grado di dire il presente (o il passato) interpretandolo in modo attivo, di chiarirlo o semplicemente di "narrarlo''. Vogliamo anche capire e godere tante altre cose, seguendo ciò che di buono si fa altrove nel primo secondo e terzo mondo, cioè nel mondo, e speriamo che ai nostri lettori, piaccia capire con noi. O che si divertano con noi. Qualità e interesse saranno due criteri di scelta, generici ma per noi pieni di senso che cercheremo di rendere ragionandoci, ~strema~ente cogenti. Il dialogo attivo col nostro tempo, !\intervento attivo nel nostro tempo. La scelta in definitiva, perlopiù è soltanto tra solilo~ui e vaniloqui. L'Italia è uno dei paesi dove più si è discettato di "morte del romanzo", forse per la grande incapacità dei nostri letterati a scriverne, Il}entrealtrove si è continuato tranquillamente a lasciar diritto di cittadinanza e a riconoscere funzione sia al romanzo che alla sperimentazione, senza troppo confondere i campi e senza per forza dover abbassare l'uno rispetto all'altro. Il gruppo '63 è stato, a suo tempo, una sorta di Attila del romanzo, che ha fatto terra bruciata bloccato o deviato molte energie e ricerche precedenti alla sua nascita; che ha

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