dell'indistinto senza lasciare dietro di sè la minima traccia. A volte succede che di questo brillìo fosforescente siano fatti interi libri o sezioni di libri. Questi sciami di metafore larvali e appena abbozzate, di minimi scoppiettii inconsulti, hanno poi una naturale tendenza migratoria. Come un polline spostato qua e là dal vento primaverile vagano da un autore all'altro, da un libro all'altro senza trovare un'idea o un tema da fecondare. I poeti più esigenti e consapevoli sanno usare questa pura fecondità indiscriminata della metafora ai loro fini, ma sanno anche, perciò, difendersene. Giovanni Raboni, per esempio, o Milo De Angelis occupano con intuito e perizia la rischiosa linea di confine lungo la quale il gratuito trapassa in necessario: le loro sequenze metaforiche presuppongono o raggiungono sempre una visione: cronaca, favola o vaticinio. Molti altri, meno capaci di restare svegli sognando, si abbandonano al flusso indistinto credendo di attivare la creatività abolendo la censura. Inglobano, raccolgono, ripetono, raggruppano e mettono insieme alla meglio. Contano sul fatto che in fin dei conti (come realmente avviene) non saranno poi molti i lettori in grado di distinguere il sapore della farina da quello della sabbia. Alla categoria del polline poetico o della polvere di poesia mi pare che appartengano le "Invasioni" di Antonio Porta, gli "AppunW' di Amelia Rosselli (sezioni dei libri omonimi, rispettivamente: Mondadori 1984e Aelia Laelia 1983), almeno i due terzi dei testi antologizzati da Nuova Corrente nel numero speciale dedicato alla "Poesia italiana per gli anni '80", e infine molte zone inerti dell'ultimissimo Zanzotto (soprattutto in Fosfeni). Meglio evitare. "L'enunciazione è il luogo necessario (vale a dire: non altro, non eludibile) in cui il parlante insieme assume e perde il proprio essere soggetto. L'incontro con il linguaggio produce questa catastrofe, minima e fondamentale. La scrittura poetica, giacché è di essa che per avventura si deve un po' parlare, è la produzione in catena di una molteplicità di microcatastrofi omologhe alla catastrofe primaria. Come il pennello elettronico che percorre il graticcio in cui è scomposta l'immagine, la scrittura visita tutti i punti in cui il soggetto emerge e scompare. Il termine "in catena", appena usato, va naturalmente corretto con la figura di un reticolo tridimensionale che organizzi appunto i diversi livelli concorrenti semici, femici, sintattici, prosodici, affettivi, ecc. Una quarta dimensione (per usare un'espressione impropria e vagamente irritante) attraversa tutte le altre, le avvolge e le spiazza: quella in cui avviene, come già detto, l'occorrenza anzi le occorrenze del soggetto, per cui qualunque poesia è una catastrofe. Siccome, più ragionevolmente, chi non cerca trova, l'operatore di scrittura( ... ) finisce per diventare, se non il grimaldello, il corpo estraneo che smuove tutta una materia. Taglio (o schisis, ma anche l'implicazione etimologica del "tagliare su misura"), barra, velopendulo, membrana osmotica, esso è contemporaneamente segno di separazione, arresto ma anche di scambio o deflusso; è qualcosa che entra in contatto con l'inconscio e che "ha a che fare con esso". DISCUSSIONE/BEURDINElll (Giuliano Gramigna, L'inscritto nello scritto: le energie del testo, in Nuova Corrente n. 89, 1982, "Poesia per gli anni '80", II, pp, 492-493). Sintomi metrici. Alcuni tentativi di sottrarre la poesia al dominio della poetica informale e tardo-avanguardista sono stati compiuti soprattutto sul piano della memoria. Il ritorno di interesse per la retorica e per i generi letterari, contro la pratica dell 'écriture textuelle e dell'azzeramento dei codici stilistici (v. Te/ Quel anni Sessanta e seguaci), ha spinto alcuni autori a cimentarsi con gli artifici metrici più proverbiali: per esempio, il distico a rima baciata e il sonetto. Se si esclùdono alcune riuscite notevoli (come la "Pasqua a Pieve di Soligo" di Andrea Zanzotto e qualche sonetto recente di Edoardo Sanguineti), ciò che conta in questi esercizi è soprattutto il disagio che esprimono nei confronti della vulgata paroliberista e aleatoria, della poesia semi-automatica e di quella puramente effusiva, non importa se piena o vuota di contenuti. Attraverso l'uso di tecniche tradizionali molto elementari (rima baciata) o molto complesse (il sonetto), il testo poetico esibisce almeno uno dei connotati della propria riconoscibilità. Accetta di pagare esplicitamente il prezzo di una lavorazione linguisticà?non banale e a volte molto ardua. L"'essenza" e la "qualità" poetica, tanto più inafferrabile quanto più il testo si presenta semanticamente vuoto, formalmente libero e praticamente illeggibile, smette allora di contare su un astratto e poco verificabile privilegio ontologico. Non si presenta più come una pura incarnazione della Funzione Poetica di Jakobson (auto-riferimento, o sospensione del riferimento del testo al contesto). Riscopre la dimensione ludica del linguaggio assumendo con fermezza delle strette regole del gioco. Il poeta si costringe di nuovo a realizzare ogni volta una performance interessante a partire da una precisa competence. L'alternanza fra assoluta libertà da ogni regola (istanza futurista e surrealista) e virtuosismo tecnico tendente al sublime e all'ironico (come in Valéry, Eliot, Gozzano, Auden) percorre gran parte della poesia moderna. Non è un caso se questa alternanza recentemente la ritroviamo in autori come Zanzotto e Sanguineti. Entrambi campioni dell'informale e dell'action poetry (Zanzotto partendo da un alto manierismo tardoermetico, Sanguineti distillando criticamente l'eredità amara di ogni avanguardia) essi hanno sentito ad un certo punto il bisogno di esprimersi in parodie e auto-parodie iperletterarie, oscillanti fra l'ironico e il patetico. I loro sonetti (o, appunto, "ipersonetti", secondo la definizione di Zanzotto) esprimono il paradosso di una tradizione poetica italiana tanto distanziata e irrigidita da essere accessibile solo "al quadrato". La più classica delle nostre forme metriche, il sonetto (espressione, come si diceva una volta, del solare e geometrico equilibrio costruttivo del genio mediterraneo), viene ri-usato nel registro della deformazione grottesca, della mostruosità e della dismisura: stravolto, ammiccante e benignamente sinistro come una lambiccata dr6/erie neo-gotica. È probabilmente proprio negli attriti fra caos psico15
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