DICEMBRE 1984/NUMERO 7 LIRE 5.000 rivistabimestraledi storie, immagini, discussioni ELSAMORANTE: PROOCONTRO LABOMBATOMICA BARTHES I DERS/ CRU USICA,FUMET SPED. IN ABB. POSTALE GR. IV· 70%. VIA GAFFURIO, 4. 20124 MILANO
fl MONTEDISON 1' PROGETTOCULTURA fl CARME E ILDONO DIMONTEDISONALLAMUSICA. A~M ietà Italiana diMusicatfaCam La Società Italiana di Musica da Camera, Carme, nasce per il desiderio di Montedison di ricordare creativamente il centenario della sua antesignana, la Edison. Che si presentò all'Europa con la storica illuminazione del Teatro alla Scala, net dicembre del 1883. I componenti di Carme ne gestiscono l'attività e il programma. Sono fra i più prestigiosj strumentisti delle istituzioni milanesi, animati da uno spirito di studio e ricerca musicale. Ad essi si affiancano via via i giovani musicisti italiani più interessanti. II 10 aprile 1984, Carme inaugura la sua prima stagione al Ridotto della Scala di Milano. Il Sindaco Tognoli e il Presidente della Montedison, Schimberni, tengono a battesimo l'evento rinnovando così l'antico legame tra Montedison e Milano. fl MO,\JTEDISON• PROGETTD CULTURA fl Centoamti cfi!AiusicacfaCamem §ìrnmenta(eita(iaria 1884 fl CENTOANNIDIMO,\JTEDISON fl I~ Questo è il cofanetto dell'album di presentazione di Carme, diretta per l'occasione dal maestro Peter Keuschnig. Carme è un complesso strumentale stabile. Vi sono presenti archi, fiati, tastiere e percussioni. Una struttura che permette di far fronte al repertorio antico, classico e contemporaneo. fl monTEDISOn Significativa è la scelta del repertorio inaugurale: Cento anni di musica da camera strumentale italiana. Da Verdi a Puccini, da Catalani a Mascagni, da Respighi a Casella. E poi Dallapiccola, Maderna, Clementi, Malipiero, Nono, Berio, Petrassi, Donatoni, Sciarrino. CARM.~ Oauto: Gh,ucu Lambur.111no,Alessandro l'uuzi. An,lr.-a Rurnani oboe: PierCiurg:io \loran<li, t'ran,·v T11ngar1 Clarinello: Vin,·e,nu Canoni,·u. \la~~imu Foma~ari, Gaspar.- Tiri,,..anll Fagotto O,idiu Dau7,i, Oiwar MeMIII. V11s.·u\'a,·,·hi corno: S1efunu Al,.~~11ndr1.Ang:.-lu Hurruni. Va!t:riu \lairu tromba: G1usrpp.- lJvol11nu..Sandro \lalal.-sla trombone: Giaurarlu Cor.1ini. R.-nillu Filis,,11i pianoforte: \laris,·lla 0.- Cui,. Serg:iu Latt"" percuuioni: \.laur11iu B.,r, Omar. Vahrr \lun-lli Yiolino: Anah, Carfi. t.:arlo O,- ~lur1in1. \lauro l""!-,,..,._,;u.Gl11:1110\larstri. R•1mvndu \111111,·rn1.Bnu1u S..1,1 •·iol•: O,·idiu r,.1inuli. Ti1u Rw<"ardi. Renaio Rin·iu. Luitti Tumlu ,·ioloncf'llo: Alfn,do Htttattli. )1ar<'u Scanu contnbbH10: CN.rr \la~~o,nuni Montedison è onorata di aver promosso e di sostenere, con Carme, il primo tentativo del genere che si effettua in Italia. Un fatto di rilievo nel panorama musicale milanese e italiano, e in generale nella cultura musicale.
•. Anteprima al CHARLIECHAPLIN via Garibaldi 32/E Torino il giorno 27 novembre '84 alle ore 21 L'AMOUR A'MORT di Alain Resnais con Fanny Ardant Sabine Azema Pierre Arditi SERATAAD INVITI OFFERTADA È gradito l'abito scuro Per i biglietti Vi attendiamo da: BORBONESE VIA DEI MERCANTI 16, TORINO
EMPOfil J\RMAN1
Direttore Goffredo Fofi Comitato di redazione Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Pino Corrias, Piergiorgio Giacché, Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Maderna, Claudio Piersanti, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Giorgio van Straten Direzione editoriale Lia Sacerdote Progetto Grafico Andrea Rauch/Graphiti Hanno collaborato allapreparazione di questo numero: Camilla Cederna, Grabiella Cantoni, Stefano De Matteis, Fulvia Farassino, Giorgio Ferrari, Edoardo Fleischner, Pilin Hutter, Massimo Kaufman, Grazia Neri, Mario Schifano, Mariolina Vatta, Francesca Zannese Editore Media Edizioni Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Telefono 02/2711209-273891 Pubblicità Media Edizioni Composizione e montaggi Monica Ariazzi Ufficio Produzione Carlo Canarini Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici spa aderente A.D.N. Via Giulio Carcano, 32 - Milano Telefono 02/8438141-2-3 Distribuzione nelle librerie PDE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (Ml) - Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni iscrizione al tribunale di Milano in data 5.2.1983 numero 55 direttore responsabile Severino Cesari numero 7 - lire 5.000 Abbonamenti l'abbonamento annuale a sei numeri lire 30.000 da versare sul conto corrente numero 25871203 intestato a "Linea d'Ombra" I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta della redazione. LINEA D'OMBRA dicembre 1984 numero 7 Sommario APERTURA 6 Elsa Morante STORIE 35 38 51 72 Raymond Queneau Pierre Mertens Altan Vittorio Caronia POESIA 49 50 50 Fernando Bandini Lodovico Terzi Nico Orengo BOTTEGA 30 57 64 67 Roland Barthes Wim Wenders Peter Stein Robert Crumb INCHIESTA 89 Filippo La Porta, Marino Sinibaldi (a cura di) CARATTERI 70 Grazia Cherchi DISCUSSIONE 12 18 20 23 Alfonso Berardinelli Goffredo Fofi Filippo La Porta Edoarda Masi Pro o contro la bomba atomica Il cavallo troiano L'amico del mio amico Da Maracaibo Missione in divisa Poesie Trasloco Nuove cartoline Al seminario Un posto, un titolo, una storia, a cura di A. Bergala, A. Philippon, S. Toubiana Il ruolo del regista, a cura di Maria Madema Per nulla slick, a cura di Giuliana Muscio Ultime leve. Un questionario ai giovani scrittori italiani: Claudio Piersanti, Stefano Benni, Enrico Palandri, Maria Pace Ottieri, Antonio Tabucchi, Daniele Del Giudice, Gianfranco Manfredi Al telefono Poesia italiana '84 I nemici del romanzo lo amo me, tu ami te "Forza" e "debolezza", uguaglianza e disuguaglianza 25 77 Gianfranco Bettin I ragazzi del gelo Ugo Volli, Un anno di teatro/Gianni Volpi, Un anno di cinema/ Alessandro Baricco, Un anno di musica/ Franco Serra, Un anno di fumetto italiano/ Alberto Cadioli, Un anno di best-sellers IMMAGINI L'immagine di copertina è di Mario Schifano. Le foto che illustrano questo numero sono di Luisa di Gaetano (p. 6), Carla Cerati (pp. 31 e 33), Daniel Boudinet (p. 31), Alain Dejean (p. 41), Fulvia Farassino (pp. 57 e 62), Ruth Walz (p. 65). Le foto alle pagine da 58 a 63 sono tratte dal volume di Wim Wenders e Sam Shepard, Paris, Texas edizioni Road Movies/Greno 1984.. Il disegno a p. 32 è di Maurice Henry. I disegni alle pagine da 67 a 69 e da 77 a 87 sono di Robert Crumb. 96 98 Libri da leggere Gli autori di questo numero
PROOCONTRO LABOMBATOMICA Elsa Morante Questo è il testo (con poche varianti) di una conferenza tenuta da Elsa Morante durante il mese di febbraio 1965 nelle città di Torino (Teatro Carignano), Milano (Teatro Manzoni) e Roma (Teatro Eliseo). IITI o sentito dire che qualcuno, al sapere in anticipo l'ar- a.I.I gomento da me scelto, ha mostrato una certa perplessità: come se, da parte mia, questa fosse una scelta, diciamo, curiosa. Invece, a me sembra evidente che nessun argomento, oggi, interessa, come questo, da vicino, ogni scrittore. A meno che non si vogliano confondere gli scrittori coi letterati: per i quali, come si sa, il solo argomento importante è, e sempre è stata, la letteratura; ma allora devo avvertirvi subito che nel mio vocabolario abituale, lo scrittore (che vuol dire prima di tutto, fra l'altro, poeta), è il contrario del letterato. Anzi, una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura. Allora non c'è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel Secolo Ventesimo, viviamo nell'èra atomica. E, veramente, nessuno lo ignora: tanto che l'aggettivo atomico viene ripetuto in ogni occasione, perfino nelle barzellette e sui rotocalchi. Ma, riguardo al significato pieno e sostanziale dell'aggettivo, la gente, come succede, se ne difende, per lo più, con una (del resto, perdonabile) rimozione. E anche quei pochi che riconoscono l'effettiva minaccia che esso significa, e se ne angosciano (e per questo, magari, vengono considerati dagli altri dei nevrotici, se non dei matti) anche quei pochi, però, si preoccupano piuttosto delle conseguenze del fenomeno, che non delle sue origini, diciamo, biografiche, e dei suoi riposti motivi. (Parlo, si capisce, dei profani, quali suppongo la maggior parte di noi presenti.) Pochi, insomma, domandano alla propria coscienza (mentre proprio qui forse è la vera "centrale atomica": nella coscienza di ciascuno): - Ma perché un segreto essenziale (forse il segreto della natura) già avvertito fin dall'antichità in luoghi e epoche diversi, da popoli evoluti e avidi di conoscenza, è stato verificato, ritrovato fisicamente, appunto e soltanto nell'età attuale? Non basta rispondere che nella grande avventura della mente, la seduzione scientifica ha sostituito quella immaginativa: pure avendo l'aria di una risposta, questa rimane ancora una domanda, che anzi rende più impegnativo il problema. Ma nessuno vorrà fermarsi a credere che si tratti di un caso; e cioè che si sia arrivati a questa crisi cruciale del mondo umano solo perché, avendo, a un certo punto, l'intelligenza umana, sempre in cerca di nuove avventure, preso un sentiero buio fra altri sentieri bui, è capitato che i suoi stregoniscienziati, in quel tratto, scoprissero il segreto. No: tutti sanno ormai che nella vicenda collettiva (come nella individuale) anche gli apparenti casi sono invece quasi sempre delle volontà Elsa Morante nel 1974, sulle scale della casa di Testaccia dove è in parte ambientato La Storia (foto di Luisa Di Gaetano). inconsapevoli (che, se si vuole, si potranno pure chiamare destino) e, insomma, delle scelte. La nostra bomba è il fiore, ossia la espressione naturale della nostra società contemporanea, così come i_dialoghi di Platone lo sono della città greca; il Colosseo, dei Romani imperiali; le Madonne di Raffaello, dell'Umanesimo italiano; le gondole, della nobiltà veneziana; la tarantella, di certe popolazioni rustiche meridionali· e i campi di sterminio, della cultura piccolo borghese buroc;atica già mfetta da una rabbia di suicidio atomico. Non occorre, ovviamente, spiegare, che per cultura piccolo-borghese s'intende la cultura delle attuali classi predominanti, rappresentate dalla borghesia (o spirito borghese) in tutti i suoi gradi. Concludendo, in poche, e oramai, del resto, abusate parole: si direbbe che l'umanità contemporanea prova la occulta tentazione di disintegrarsi. E i insinuerà che il primo germe di questa tentazione è spuntato fatalmente nel nascere della specie umana, e si è sviluppato con lei; e perciò quanto oggi avviene non sarebbe che la crisi necessaria del ~uo sviluppo. Ma questo non farebbe che rip~oporre l'ipotesi. E nota, e ormai volgarizzata, la presenza simultanea nella psicologia umana dell'istinto di vita (Eros) e dell'istinto di morte (Thànatos). Perfino, a proposito di quest'ultimo, si potrebbe in teoria, cioè senza arbitrio logico, leggere le Sacre Scritture di tutte le religioni nell'interpretazione presunta che tutte, e non solo quella indiana, insegnino l'annientamento finale come l'unico punto di beatitudine possibile. E difatti alcuni psicologi parlano di un istinto del Nirvana nell'uomo. Però, mentre il Nirvana promesso dalle religioni si guadagna per la via della contemplazione, della rinuncia a se stessi, della pietà universale, e insomma attraverso l'unificazio- ~e della coscienza, al suo maligno surrogato piccolo-borghese, mteso per i nostri contemporanei, si arriva appunto attraverso la disintegrazione della coscienza, per mezzo della ingiustizia e demenza organizzate, dei miti degradanti, della noia convulsa e feroce, e così di seguito. Infine, le famose bombe, queste orchesse balene che se ne stanno a dormire nei quartieri meglio riparati dell'America, dell'Asia e dell'Europa: riguardate, custodite e mantenute nell'ozio come fossero un harem: dai totalitari, dai democratici e da tutti quanti; esse, il nostro tesoro atomico mondiale, non sono la causa potenziale della disintegrazione, ma la manifestazione necessaria di questo disastro, già attivo nella coscienza. n desso non voglio certo opprimervi con una milione- w sima descrizione delle evidenze del disastro, nel loro spettacolo sociale quotidiano; il quale viene accusato e registrato continuamente in saggi, conferenze, trattati. E del resto è così vistoso e persecutorio che perfino i nostri poveri prossimi animali (cani, gatti, per non dire gli infelicissimi polli) ne avvertono sensibilmente lo strazio. No, vi risparmio questo quadro famigerato: tanto più che ho già il rimorso di essere venuta qui a intrattenervi con un argomento così tetro invece che con
8 APERTURA/MORANTE una bella fiaba (dato che certi affezionati si adoperano a smerciare i miei libri facendoli passare sotto una specie di fiabe!!!). E tanto meno mi incarico di fare adesso una predica propagandistica contro la bomba (fra l'altro, con certi propagandisti di questo tipo ho delle questioni polemiche). No, povera me, chi mi darebbe tanto valore, e tanto fiato? E io stessa, poi, sono· cittadina del mondo contemporaneo, anch'io forse, sono soggetta alla universale estrema tentazione. E dunque, finché non me ne sento proprio immune, farò meglio a non vantarmi tanto. Però, nello stesso tempo, per merito della fortuna, io mi onoro di appartenere alla specie degli scrittori. Da quando, si può dire, ho cominciato a parlare, mi sono appassionata disperatamente a quest'arte, o meglio, in generale, all'arte. E spero di non essere troppo presuntuosa se credo di avere imparato, attraverso la mia lunga esperienza e il mio lungo lavoro, almeno una cosa: una ovvia, elementare definizione dell'arte (o poesia, che per me vanno intese come sinonimi). D ccola: l'arte è il contrario della disintegrazione. E perché? Ma semplicemente perché la ragione propria dell'arte, la sua giustificazione, il solo suo motivo di presenza e sopravvivenza, o, se si preferisce, la sua funzione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l'integrità del reale, o in una parola, la realtà (ma attenzione ai truffatori, che presentano, sotto questa marca di realtà, delle falsificazioni artificiali e deperibili). La realtà è perennemente viva, accesa, attuale. Non si può avariare, né distruggere, e non decade. Nella realtà, la morte non è che un altro movimento della vita. Integra, la realtà è l'integrità stessa: nel suo movimento multiforme e cangiante, inesauribile -che non si potrà mai finire di esplorarla - la realtà è una, sempre una. Dunque, se l'arte è un ritratto della realtà, chiamare col titolo di arte, una qualche specie, o prodotto, di disintegrazione (disintegrante o disintegrato), sarebbe per lo meno una contraddizione nei termini. Si capisce, quel titolo non è brevettato dalla legge, e nemmeno sacro e inviolabile. Ognuno è padrone di mettere quel titolo di arte dove gli pare; ma anch'io sarò padrona, quando mi pare, di denominare costui per lo meno un pazzariello. Come sarei padrona di chiamare pazzariello - diciamo in via di esempio ipotetico - un signore che insistesse per forza a offrirmi nel nome di sedia un rampino appeso al soffitto. · Ma allora, bisognerà porsi una domanda: poi che l'arte non ha ragione se non per l'integrità, quale ufficio potrebbe assumersi dentro il sistema della disintegrazione? Nessuno. E se il mondo, nella enormità della sua massa, corresse alla disintegrazione come al proprio bene supremo, che cosa resterebbe da fare a un artista (ma da questo momento in poi, se permettete, come riferimento particolare che vale per ogni artista in generale, considererò lo scrittore)- il quale, se è tale veramente, tende all'integrità (alla realtà) come all'unica condizione liberatoria, festosa, della sua coscienza? Non gli resterebbe che scegliere. O si convince di essere lui nell'errore, e nel torto. E che quella figura assoluta della realtà, l'integrità segreta e unica delle cose (l'arte), non era che un fantasma prodotto dalla sua propria natura - un trucco di Eros, diciamo, per far durare l'imbroglio. In questo caso, sentirà scadere irrimediabilmente la sua funzione, la quale anzi gli risulterà peggio che vana, disgustosa, come il delirio di un drogato. E in conseguenza, cesserà dallo scrivere. Oppure, lo scrittore si convince che l'errore non è dalla sua parte. Che non lui stesso, ma i suoi contemporanei, nella loro enorme massa, sono nell'equivoco. Che insomma non è, diciamo, Eros, ma Thànatos, invece, l'illusionista, che fabbrica le sue visioni mostruose per atterrire le coscienze e imbrogliarle, snaturandole dalla loro sola contentezza e deviandole dalla spiegazione reale. Così che, ridotti alla elementare paura dell'esistenza, nella evasione da se stessi e quindi dalla realtà, loro, come chi ricorre alla droga, si assuefanno all'irrealtà, che è la degradazione più squallida, tale che in tutta la loro storia gli uomini non hanno conosciuto mai l'uguale. Alienati, poi, anche nel senso della negazione definitiva; poiché per la via della irrealtà non si arriva al Nirvana dei sapienti, ma proprio al suo contrario, il Caos, che è la regressione infima e la piu angosciosa. D n questo secondo caso, dunque, e cioè se riconosce la peste delirante non in se stesso, ma nella collettività, lo scrittore si troverà ancora a un'ultima scelta. Cioè: o stimerà quella generale rovina oramai troppo avanzata e inarrestabile; e se stesso a ogni modo incapace di resistere alla prova; già avvertendo magari anche in sé i primi segni del contagio. E allora sarà augurabile che si salvi, che se ne vada, magari in una foresta, dove preferisce, in un'isola oceanica, in un deserto di colonne a far!! lo stilita. Difatti (a dispetto dei retori, dei cortigiani e degli apostoli della disintegrazione) è un fatto che tanto per l'igiene quanto per l'economia, e in sostanza per la vita dell'universo, sarà sempre meglio un soggetto reale (fosse anche l'unico superstite) pensante in cima a una colonna, piuttosto che un soprannumerario oggetto conciato, televisato e lustrato per la bomba atomica. Anzi, secondo una logica intuitiva degli eventi, finché quello li resiste a scriverepoesie sulla colonna, la bomba atomica stenterà a scoppiare. O infine: ultima e più allegra ipotesi: lo scrittore si ritroverà ancora una qualche fiducia nella liberazione comune, insieme con la certezza di essere lui stesso, ancora, salvo dal disastro, e capace di resistergli. E in questo caso, non c'è più dubbio, la sua funzione di scrittore gli si mostrerà ancora, a ogni costo, non solo socialmente utile, ma più utile di quanto non lo sia stata mai prima nella storia. Difatti, nella laida invasione dell'irrealtà, l'arte, che viene a rendere la realtà, può rappresentare quasi la sola speranza del mondo. In una folla soggetta a un imbroglio, la presenza anche di uno solo, che non si lascia imbrogliare, può fornire già un primo punto di vantaggio. Ma
il punto, poi, si moltiplica per mille e per centomila se quell'uno è uno scrittore (s'intende un poeta). Anche senza accorgersene, per necessità del suo istinto, il poeta è destinato a smascherare gli imbrogli. E una poesia, una volta partita, non si ferma più; ma corre e si moltiplica, arrivando da tutte le parti, fin dove il poeta stesso non se lo sarebbe aspettato. Naturalmente, povera poesia, dovrà penare per meritare attenzione attraverso i funebri mercati della, cosiddetta quaggiù, alienazione, nel furibondo fracasso dei traffici ufficiali, sacro alla noia dei miseri alienati. Fra tante prove più dure di resistenza, il rumore della noia è logorante. E talvolta lo scrittore avrà voglia di mandare tutti quanti all'inferno, coi loro giornaletti, i loro cantautori e il loro ciclotrone. E lui imbarcarsi definitivamente come Rimbaud, o magari andarsene a stare nel deserto delle colonne, vicino ai suoi compagni stiliti. Ma poi, o non lo farà, o, dopo ogni fuga, ritornerà indietro: perché lui, per sua natura, ha bisogno degli altri, specie dei diversi da lui. Senza gli altri, è un uomo disgraziato. E così, rimarrà sul campo: là dove ormai si espande il sistema della disintegrazione, ossia l'irrealtà. Ma non ci starà, ovviamente, quale funzionario· o suddito del sistema (se si adatterà a questo, sarà perduto). E neanche come un semplice estraneo, o testimonio, che riferisce sul sistema: giacché l'arte, per la sua definizione propria, non può fermarsi alla denuncia: vuole altro. Se lo scrittore è predestinato antagonista della disintegrazione lo è - abbiamo veduto - in quanto porta testimonianza del suo contrario. Se ha partecipato, come uomo, alla vicenda angosciosa dei suoi contemporanei, e ha diviso il loro rischio e riconosciuto la loro paura (paura della morte); da solo ha dovuto, come scrittore, fissare, per così dire, in faccia i mostri aberranti (edificanti o sinistri) generati da quella cieca paura; e smascherare la loro irrealtà, col paragone della realtà, della quale appunto è venuto a portare testimonianza. .,, on più di cinque o sei anni fa (ma se mi riguardo dal- ~ la distanza presente, sebbene da allora non sia passato poi tanto tempo, mi rivedo là molto giovane e molto ottimista) io scrissi un saggio sul romanzo, nel quale, fra l'altro, dicevo, con parole differenti, circa la stessa cosa che ho detto ora. E in proposito, paragonavo la funzione del romanziere-poeta a quella del protagonista solare, che nei miti affronta il drago notturno, per liberare la città atterrita. Anche se meno ottimista di allora, ripropongo la medesima immagine. Ma se qualcuno ne preferisce un'altra, meno epica e più familiare, aggiungeremo quella di Geppetto, quando mostra a Pinocchio (che ormai ha preso la sua figura finale di vera persona umana) la spoglia del burattino, miseramente rovesciata sulla sedia; e intanto gli mette davanti uno specchio, dicendogli: «Ecco, invece, quello che tu sei». Adesso non mi si fraintenda, per carità (anche questa, potrebbe capitare!) arguendo, (o pretendendo di arguire) dalle mie parole, che lo specchio dell'arte abbia da essere uno specchio ottimistico. Anzi, la grande arte, nella sua profondità, è sempre pessimista, per la ragione che la sostanza reale della viAPERTURA/MORANTE ta è tragica. La grande arte è tragica, sostanzialmente, anche quando è comica (si pensi al Don Chisciotte, il più bello di tutti i romanzi). Se uno scrittore, per preservare i buoni sentimenti, o piacere alle anime bennate, travisasse la tragedia reale della vita, che si confida a lui, commetterebbe quello che, nel Nuovo Testamento, è dichiarato il peggior delitto: il peccato contro lo spirito, e non sarebbe più uno scrittore. Il movimento reale della vita è segnato dagli incontri e dalle opposizioni, dagli accoppiamenti e dalle stragi. Nessuna persona viva rimane esclusa dall'esperienza del sesso, dell'angoscia, della contraddizione e della deformazione. E le alternative del destino sono la miseria o la colpa, la diserzione o l'offesa. La purezza dell'arte non consiste nello scansare quei moti della natura che la legge sociale, per il suo torbido processo, censura come perversi o immondi; ma nel riaccoglierli spontaneamente alla dimensione reale, dove si riconoscono naturali, e quindi innocenti. La qualità dell'arte è liberatoria, e quindi, nei suoi effetti, sempre rivoluzionaria. Qualsiasi momento dell'esperienza transitoria, diventa, nell'attenzione poetica, un momento religioso. E in questo senso, si può parlare di ottimismo. Per quanto, lungo il corso della sua esistenza, possa accadere al poeta, come a ogni uomo, di essere ridotto dalla sventura alla nuda misura dell'orrore, fino alla certezza che questo orrore resterà ormai la legge della sua mente, non è detto che questa sarà l'ultima risposta del suo destino. Se la sua coscienza non sarà discesa nell'irrealtà, ma anzi l'orrore stesso gli diventerà una risposta reale (poesia), nel punto in cui segnerà le · sue parole sulla carta, lui compierà un atto di ottimismo. n I tempo che in Europa si instauravano i lager, viveva W in Ungheria un giovane poeta ebreo, di aspetto grazioso e allegro, piaceva alle ragazze, di nome Miklos Radnoti. Per quanto, non conoscendo la lingua ungherese, io abbia, dei suoi versi, soltanto quell'idea necessariamente ridotta e approssimativa che possono darne le traduzioni, mi sembra di poter affermare che era con certezza, per natura e per vocazione, un poeta. Fu ovviamente tra i primi a essere preso, e passò il resto della sua breve vita nei lager, come dire il modello ideale e supremo della città nel sistema della disintegrazione. Fino al giorno che un guardiano del lager non lo liquidò con un colpo alla nuca, dopo avergli fatto scavare la fossa. L'ultima sua poesia fu scritta proprio là, in prossimità di quella fossa dove più tardi furono ritrovati i suoi resti e recuperati i versi da lui scritti nel lager, su pochi foglietti sporchi. La sua esistenza, nell'epoca di questi versi, è ridotta allo spettrale orrore: al lager; e il loro argomento, difatti, è ormai quest'unico: il lager. In una poesia dice: "Il quaderno, la lampada di tasca, tutto mi fu tolto dalle guardie del campo. Scrivo i miei versi al buio ... ". Nell'ultima (dove già può descrivere i particolari della sua prossima esecuzione, avendo ormai, si può dire, assistito alla propria fine attraverso quella dei suoi ultimi compagni) dice: "Ora la morte è un fiore di pazienza". E così ci è rimasta, miracolosamente, la prova, che pure dentro la macchina "perfetta" della disintegrazione, che lo annientava fisicamente, la sua 9
IO APERrURA/MORANTE coscienza reale rimaneva mtegra. È morto nel 1944. Ma io, solo da poco tempo ho saputo che era esistito. E la scoperta che questo ragazzo ha potuto esistere sulla terra, per me è stata una notizia piena di allegria. L'avventura di questo ragazzo assassinato è uno scandalo inaudito per la burocrazia organizzata dei lager, e delle bombe atomiche. Scandalo non per l'assassinio, che è nel loro sistema. Ma per la testimonianza postuma di realtà (l'allegria della notizia) che è contro il loro sistema. D ogicamente, colui che è arrivato nella città per uccidere il drago, ovvero (tradotto in termini attuali) lo scrittore che si muove nel sistema come avversario irrimediabile, sa che nei punti estremi di crisi lo aspettano dei giorni precari; e che la sua vicenda, comunque, non è mai facile né dolce. È un fatto che, nel sistema organizzato della irrealtà, la presenza dello scrittore (cioè della realtà) è sempre uno scandalo, anche se viene tollerata, durante i periodi della tregua sociale. Tollerata, e perfino corteggiata e lusingata. Ma in fondo alle lusinghe e ai corteggiamenti rimane sempre un dispetto, che ha poi le sue radici in un senso di colpa vendicativo e anche in una inconsapevole invidia. Difatti (e qui si salva ancora la speranza), la realtà, e non l'irrealtà, rimane il paradiso naturale di tutte le persone umane, almeno finché non si siano ancora trasformate nella struttura stessa visibile dei loro corpi. Non siano diventate, cioè, dei mutanti, come si dice in gergo atomico. Il sistema della disintegrazione, logicamente, ha i suoi funzionari, segretari, parassiti, cortigiani, ecc. E tutti costoro, nel proprio (malinteso) interesse, o perché ingannati (diciamo così) in buona fede, dal loro stesso errore, cercheranno di infiacchire le resistenze dello scrittore con mezzi diversi. Tenteranno per esempio di accattivarlo o di assimilarlo nel sistema attraverso la corruzione, la popolarità scandalistica, i successi volgari, promuovendolo a un divo o a un play boy. Oppure, al contrario, si adopreranno a fargli apparire la sua differenza dal sistema come un tradimento, o una colpa, o una immoralità, o un moralismo, o una insufficienza. Andranno-dicendo, per ·esempio, che non è moderno. Per forza! difatti nel loro concetto, essere moderni significa essere disintegrati, o in via di disintegrarsi. Andranno dicendo magari che non si occupa di cose serie, né della realtà; e si capisce! giacché il sintomo principale della disintegrazione, di cui loro sono succubi o malati, consiste nell'assumere come realtà il suo contrario. Come si è detto, dentro il sistema non possono esistere scrittori, nel senso vero del termine; però c'è una quantità di persone che scrivono, e stampano libri, e si potranno distinguere chiamandoli genericamente scriventi. Alcuni di loro sono semplici strumenti del sistema: strumenti, però, di importanza assai secondaria al confronto di altri, quali gli scienziati della bomba. Le stanze, gli uffici di questi scriventi si possono considerare delle minime succursali degli stabilimenti nucleari veri e propri. Bisogna tuttavia precisare che per buona parte, gli scriventi di questo tipo non si rendono consapevoli di servire il sistema; ..,,., anzi, vogliono presumere che lo squallore sinistro, e talvolta ebete, delle loro opere sia da addossarsi a colpa del sistema, e, in ultima analisi, della bomba atomica; quando invece il fenomeno avviene proprio all'inverso, come, spero, non occorre più dimostrare. Comunque, per quanto funesti, simili complici quasi involontari (almeno nella loro superficie cosciente), o, diciamo così, pessimisti - del sistema, sono meno antipatici dei suoi complici ottimisti. Un genere di scriventi, questo, fra tutti pessimo. A volte per totale, e veramente alienato, conformismo, a volte per cortigianeria, e a volte recitando cinicamente una commedia interessata, tale genere di scriventi usa magnificare questo o quel territorio del sistema della disintegrazione come il cielo più alto della civiltà umana, deplorando solo, in certi casi, la minaccia atomica, e magari facendosi, a parole, propagandisti contro la bomba, mentre nei fatti, sono i suoi fervidi campioni. Fra loro, si ritroveranno i peggiori nemici dello scrittore, capaci addirittura, in punti estremi di crisi, di consegnarlo ai guardiani dei lager: peggiori loro, in certo modo, perfino degli stessi guardiani, i quali sono degli ossessi, ossia dei pazzi, e inoltre pagano di persona con l'infamia (e con l'inferno dell'angoscia), e percepiscono stipendi molto inferiori a quelli degli scriventi ufficiali del regime. Prima di tralasciare questo elenco di scriventi dentro il sistema, bisogna infine ricordare l'esistenza pullulante di cenacoli o scuole o gruppi vari, i quali però hanno tutti una qualità comune: che i loro prodotti letterari non si possono assolutamente leggere. Ci si raffiguri, in via d'esempio, a immagine del sistema, un pianeta dentro cui la gente più sofisticata si sia da tempo avvezza a nutrirsi esclusivamente di pillole (al punto da averne ormai l'apparato digerente atrofizzato, e ridotto circa alla funzione di quello d'un insetto). Essa tuttavia non rinuncia ad avere i suoi ,tradizionali cuochi, i quali però devono adeguarsi. E difatti, raggruppati nelle loro cucine, questi cuochi si affaccendano continuamente ad allestire delle pietanze: non pietanze vere, si capisce, ma finte, composte supponiamo di gomma, o di cartone pressato, o in generale di materie sintetiche, o anche di peggio. Comunque mai, ovviamente, di materiale commestibile. Così i clienti sintetici, che non mangiano, hanno i loro banchetti sintetici, dove non si serve niente che si possa mangiare, e cuochi e clienti insieme,si sentono soddisfatti perché modernissimi. Il fenomeno in fondo è abbastanza innocuo, ma se in qualcuno procurasse una leggera irritazione (di origine letteraria o qual altra si voglia), per liberarsi da un simile inconveniente basterà uno sbadiglio. E si potrà subito ritornare alle proprie occupazioni. Tutti questi scriventi,-in generale, s'incontrano di rado con lo scrittore; e le volte che s'imbattono in lui, lo trattano, secondo i casi e le persone, in modo diverso: chi da maledetto, chi òa sognatore, chi da cantastorie, chi da aristocratico, chi da parente povero, chi da sovversivo, ecc. ecc. È facile intendere che lo scrittore non può trovare molti compagni suoi, nel sistema. Ma comunque lo scrittore, per sua natura, è portato a non appartenere a nessuna società determinata, a nessun gruppo o categoria, ecc. Il suo destino lo inclina piuttosto all'avventura, ma, del resto, la realtà in se stessa è una straordinaria avventu-
ra. Per solito lo scrittore tende ad avventurarsi fra gente diversa, d'ogni 'sorta e magari d'ogni risma. È inevitabile, c~- munque, che fra le classi dominanti e quelle dominate, prefensca sempre queste ultime. Non per motivi propriamente umanitari (lo scrittore non è umanitario, caso mai è_ben ~ltr~: ~ umanista), ma per la solita fatale legge della sua vita. D1fatt1,11 dominio di una persona su un'altra, se è stato sempre iniquo, ormai è pure, definitivamente, acquisito come irreale; giacché l'uguaglianza fondamentale delle persone è acquisita nella coscienza (anche in coloro che presumono di non saperlo). E senza dubbio il vizio più grave d'irrealtà sta dalla parte del dominante. Al punto che lo scrittore talvolta ha il forte sospetto (e la speranza) che il drago stesso sia un singolo prodotto di questo vizio parziale e che i dominati possano magari allearsi a lui scrittore per affrontare il drago. Questo è il motivo per cui lo scrittore, nella pratica della vita sociale e politica, si sente sempre attirato verso i movimenti rivoluzionari o sovversivi, i quali proclamano come fine la cessazione di ogni dominio di una persona su un'altra persona. Infine, rimane che le sue compagnie più vere lo scrittore le trova poi quasi sempre fra persone di età estremamente giovane, o infantile addirittura. Soltanto loro, difatti, riconoscono e frequentano ancora la realtà. Per legge universale, e peggio che mai nel sistema, la maggioranza degli adulti sono contaminati più o meno dall'irrealtà, e quindi, ostili. A ogni modo, specie quando incomincia a farsi vecchio, e le sue gambe sono stanche, lo scrittore spesso si ritrova solo. Potrebbe anche ritirarsi in campagna, ma in fondo gli piace di più di stare in mezzo alla città, fra tutti quei disgraziati che corrono per distrarre, in qualche modo, il drago. Allora lo scrittore escedalla sua stanza, e cammina per quelle strade maledette, cacciato dal traffico e dai rumori, a momenti tentato dall'idea di andare a rinchiudersi in un ospizio di vecchi e là finire la sua vita. Ma in certi giorni fortunati, gli succede di pensare fra sé, in mezzo al traffico, a una storia o a una poesia da scrivere, e allora non sente nemmeno i rumori, e va distratto, miracolosamente, fra migliaia di automobili senza essere investito. Così, potremmo dire, scherzando, che ha superato perfino la prova dei santoni indiani, che devono rendersi capaci di pregare, come dire di ascoltare il silenzio religioso della loro intimità, in mezzo al chiasso e ai commerci del tempio. A questo punto, mi ricordo di quello che disse il maestro di poesia Umberto Saba: che in ogni poeta c'è rimast'? sempr~ 11:n bambino, il quale adesso convive con l'adulto, e si meraviglia di quello che succede all'adulto. Se ne meraviglia, ma anche, io mi permetto di aggiungere, ci si diverte. Per sua fortuna, anche in questo suo pazzo e disperato combattimento col drago, lui un poco si diverte. r,rw a infine, che razza di romanzo o di poesia dovrà ~ scrivere il Nostro per fare, come dicono i giornali, la sua lotta? La risposta è semplice: scriverà, onestamente, quello che gli pare: "Ai poeti" ancora, disse Umberto Saba, APERl'URA/MORANTE "resta da fare la poesia onesta". Però, basterebbe dire la poesia; perché, se è poesia, non può essere che onesta. Un poeta, in quanto tale, non può non essere onesto. Come dimostrato dalla storia, può essere magari brutto, deforme; può avere per conto suo i peggiori vizi: essere un ubriacone, uno malamente, come dicono a Napoli. Può essere sporco, anche puzzare. Questi sono sempre stati, e sono, affari suoi. Ma in quanto scrittore, non può venir meno a queste condizioni necessarie: l'attenzione, l'onestà e il disinteresse. E tutto il resto è letteratura. Già, a proposito, e che sorta di linguaggio dovrà adoperare? Dialetto, industria, quale koinè? quale stile, quali semantemi, quale carattere tipografico? Pr'? o contro le maiuscole? Pro o contro la punteggiatura? Ma lasciatelo scrivere come gli pare, ché tanto il primo inventore dei linguaggi è stato sempre lui! Perché adesso venire a sfruculiare un uomo con simili problemi (che interessano caso mai i glottologi, i filologi, e così via?). Qui si tratta pro o contro la bomba atomica! Contro la bomba atomica, non c'è che la realtà. E la realtà non ha bisogno di prefabbricarsi un linguaggio: parla da sola. Perfino Cristo ha detto: Non preoccupatevi di quel che direte, o di come lo direte. È la realtà che dà vita alle parole, e non il contrario. E che è la realtà? Non ci mancava altro! se uno mi fa questa domanda, è chiaro che non è mio lettore. Durante questi anni, in saggi, articoli, risposte a inchieste ecc., a costo di sembrare una maniaca, non ho fatto che parlare di questo argomento, voglio dire l'argomento, più o meno, che è anche il senso di questa conferenza. E tentavo di spiegare che cosa sia la realtà; ma purtroppo dubito di esserci riuscita, giacché questa ~ una cosa che si capisce solo quando la si prova, e quando la si prova, non si ha bisogno di spiegazioni. Una volta un novizio chiese a un vecchio sapiente orientale: "Che cos'è il Bodidarma?" (che significherebbe approssimativamente l'Assoluto, o simile). E il sapiente, pronto, gli rispose: "Il cespuglio in fondo al giardino". "E uno che capisse questa verità" domandò ancora, dubbioso, il ragazzo, "che cosa sarebbe, lui?" "Sarebbe" rispose il vecchio dandogli una botta in testa, "un leone con la pelliccia d'oro". Copyright Elsa Morante 1965, 1984 ,· ~ ' . _· . ;~."----~ Il
POESIAITALIANA •84 Alfonso Berardinelli .,, essun catalogo, nessuna bibliografia, e tanto meno ..... nessuna antologia potrebbe ormai contenere il mare della Nuova Poesia Italiana. Nessun Ercole dell'informazione e della critica potrebbe venire a capo di questa Idra dalle mille teste. La Nuova Poesia contiene in sé anche la vecchia, cioè quella più nota e più autorevole: la circonda, la circuisce, la in- . globa, la inghiotte. Come la poesia buona fa parte di quella cattiva, l'intrico degli arbusti e dei rami è così fitto che non si riesce più a venirne fuori, e fra bosco e sottobosco la vegetazione è cresciuta a tal punto che una volta inoltratisi anche solo per pochi passi nel selvaggio rigoglio di questa vegetazione di parole, si può rischiare di morire di sete e di fame o di restare soffocati e sopraffatti dalla quantità e dalla fatica. Enormi e purtroppo quasi inutili le antologie, i dizionari, le rassegne. Da sempre, certamente, il meglio convive con il peggio: ma questa volta, in questo caso forse non solo italiano della Nuova Ondata Poetica, il compito di distinzione è particolarmente arduo. Così, la prima reazione spontanea del lettore e dell'eventuale critico è una reazione di difesa. È impossibile che la Poesia o le Muse in persona abbiano voluto giocarci uno scherzo così diabolico. Quello che avevamo creduto il regno della rarità, dell'eccezionale e dell'insolito, dell'originale e dell'irripetibile ci si presenta invece con i connotati esattamente rovesciati dell'abbondante, del ripetibile, del comune, del prevedibile e del banale. L'Eccezione diventa la Regola. E la regola non precomplica notevolmente le cose. I trapassi inavvertiti sono molto più insidiosi di quelli che avvengono in piena luce. E c'è sempre qualcuno disposto a scambiare un crepuscolo senza fine per un'alba radiosa. A dieci anni di distanza dalla loro prima comparsa sulla scena, i Nuovi Poeti sono rimasti più o meno al punto di partenza, senza pubblico, naufragando semplicemente nel loro confortevole ghetto, sovraffollato e pletorico. Ricercare le cause di certi effetti non è più un'attività particolarmente apprezzata. (Effetti senza cause, cause che non avranno effetti: ecco un'idea di Storia che si sta imponendo). Ma anche non attribuendo a tale ricerca delle qualità scientifiche certe, possiamo tentare ugualmente qualche ipotesi. Prima ipotesi: Declino degli esperti. Sono da tempo in crisi il prestigio e la probità di cui l'élite degli esperti, dei professionisti e dei conoscitori ha bisogno per esercitare la propria funzione. · Questa funzione è essenzialmente selettiva. Per quanto la si possa discutere e temere, essa ha il merito di rendere respirabile l'atmosfera letteraria. Indirizza e educa il gusto. Delinea alternative e conflitti. Rende ragione di presupposti e di eventuali prospettive. Distingue e discute il bello e il brutto, il significativo e l'insulso. Questa élite oggi è quasi estinta. Non esercita la propria funzione o la esercita in modo distorto. Più semplicemente, forse, soffre di scarsa legittimazione come l'oggetto di cui si occupa e la cui integrità dovrebbe custodire: la letteratura stesvede regole, non conosce confini, ignora ogni limite. Si fonda sa. infatti su un accreditato e diffuso principio estetico: quello secondo il quale la sola norma del Linguaggio Poetico è la violazione di una norma contro cui tutti ancora si accaniscono, ma Il delicato equilibrio ecologico che regola e rende abitabile un sistema o un sotto-sistema culturale è perciò turbato; L'inquinamento da scorie letterarie aumenta. Certi generi ne soffrono più di altri, e la poesia lirica, dato il suo rapporto instabile, poco definibile e spesso pretestuoso con il pubblico, ne soffre particolarmente. In poesia (nella poesia moderna), tutto è permesso per principio, i confini tra l'estrema inventività e l'arbitrio gratuito non sono molto chiari e i tempi di verifica sono lenti. che ormai nessuno conosce. Nell'apoteosi finale della sua ubriachezza, l'universo culturale che si autodefinisce poetico nega l'evidenza della propria sparizione, del proprio suicidio per troppo ottimismo. La qualità pura si è rovesciata in pura quantità. La sovrapproduzione poetica si trova di fronte una cadutaverticale della richiesta e del consumo. Questo enorme Tutto sembra all'improvviso un minuscolo Nulla. L'intero fenomeno sta per essere archiviato. Fra poco, probabilmente, si passerà ad altro. La fase discendente del ciclo si è annunciata da tempo. Ma, infine, è possibile che nessuno si accorga di niente e che gli abitanti di questa poetica Torre di Babele, del tutto dimentichi o inconsapevoli delle loro ambizioni originarie, continuino a scambiarsi messaggi incomprensibili dentro le sale di un edificio fatiscente fino alla fine dei secoli. Effetti e cause. Non so se la prima impressione è davvero quella che conta. Ma di fronte all'incremento che l'attività poetica ha avuto in Italia negli ultimi dieci anni, non si può che restare perplessi. La certezza acquisita che non ci sarà nessuna Morte dell'Arte, e che comunque, se anche dovesse esserci, non sarà accompagnata da vistose cerimonie funebri, alla fin fine non è molto rassicurante. Oltre a non migliorare affatto la situazione, una tale certezza la rende ancora meno chiara e Per fortuna, di cattiva letteratura non si muore e non ci si intossica. È questa però la ragione per cui il più modesto conoscitore di funghi risulta di gran lunga più onesto, intelligente, ricco di esperienza e di buon senso del più eminente critico letterario. Per quanto brutti e falsi, un romanzo o un libro di versi non avranno mai gli effetti venefici di una amanitamuscaria. In fondo, una recensione cortesemente benevola non ha mai portato alla tomba nessun lettore fuorviato. È per questo che una critica inattendibile non viene ritenuta un pericolo pubblico (pur essendolo, senza dubbio: almeno nell'ambito che le è proprio). Seconda ipotesi: Egemonie filosofiche. Per una sorta di astuta ingenuità, o forse per la semplice fisica dei vasi comunicanti, la Nuova Creatività ha preso molto alla lettera alcuni luoghi comuni della Nuova Filosofia. Questi luoghi comuni sono penetrati in tutti i settori del discorso culturale. Non costituiscono, naturalmente, un Sistema. Ne hanno solo preso il posto. Ognuno di noi li conosce. Per rendere l'idea, ne elenchiamo solo alcuni.
I. La Crisi della Ragione è Crisi della Totalità. 2. La Crisi della Totalità apre il campo alla Pluralità. 3. Il Soggetto non è Unità ma Pluralità. 4. La Realtà è una 'costruzione del Soggetto. 5. Soggetto e Oggetto sono mobili e plurali. 6. Il Centro non esiste, l'Unità non esiste. Tutto è Pluralità, tutto è Periferia. 7. e sgg. La Totalità è in Crisi perché il Soggetto è in Crisi perché la Ragione è in Crisi: la Ragione è in Crisi perché il Pensiero è senza Fondamenti: il Fondamento è Assenza e la Presenza ~ senza Centro: il Centro è Plurale e la Pluralità è Assenza: l'Assenza è Disseminazione e il Pensiero è Vertigine: eccetera. Questa sintesi appena un po' parodistica richiama gli ingredienti essenziali di un gergo. Gergo filosofico e teorico di formazione relativamente recente, che si è posato come uno strato appiccicoso su quasi tutta la superficie culturale delle Scienze Umane. La sua forza è naturalmente fondata sulla ripetibilità, sulla fungibilità, sul suo carattere insieme astratto e suggestivo. Grazie ad un vorticoso girare su se stesso, questo gergo ha il potere di un Black and Decker: può levigare, uniformare, polverizzare e infine dissolvere qualsiasi oggetto di pensiero e di esperienza. Questo probabilmente è stato, da sempre, il potere di ogni gergo filosofico e di ogni pensiero idealistico. Sta di fatto che da qualche tempo il gergo filosofico obiettivamente idealistico e dominante somiglia a quello che ho provato a riassumere in pochi enunciati. Esso deve la sua formazione alla rilettura francese di Nietzsche, Heidegger e Freud, e all'incontro dei filosofi accademici del Negativo con i mezzi e gli scenari attuali della cultura di massa. Fragile e bisognosa di protezione, la Nuova Poesia è andata spesso a rifugiarsi sotto le ali di questo gergo filosofico. Si è sforzata di metterne in pratica i postulati. Numerosi "nuovi poeti" hanno a loro volta creato un gergo suggestivo e fungibile, misterioso e intercambiabile. Il risultato è una Poesia senza Fondamenti, emessa da una Soggetto senza Identità e senza Centro, Debole e Plurale, che esprime l'Assenza della Realtà nella Presenza del Non-Senso e nello Slittamento vertiginoso del Senso ... Trasformando se stessa in mediocre letteratura, colma di ammiccamenti e poco interessata al mantenimento dei nessi logici, la Filosofia ha sedotto la Poesia dopo esserne stata sedotta. In questo pastiche involontario, la confusione prevale sul confronto: un modo di sfuggire alle responsabilità specifiche di ogni codice, filosofico o letterario, cercando scappatoie nei territori limitrofi. Scoprendo all'improvviso l'esistenza dello stile, i filosofi sono diventati fastidiosamente sibillini e confusi, vacuamente aforistici. Terza ipotesi: Debolezza della critica. Questa ipotesi si spiega in gran parte con le due precedenti. Quando l'élite dei conoscitori non dispone ,dicriteri di valutazione e dominano i gerghi filosofici, la teoria letteraria tende a diven~are un comodo surrogato della critica. Gli enunciati ge- ~neràfi e le descrizioni neutre (implicitamente apologetiche) esclùdono quelle possibili~àdi selezione e di scelta che sono le- .. .. DISCUSSIONE/BEURDINELLI gate al giudizio di valore. Lo sforzo maggiore del critico (dalla recensione alla quarta di copertina, dallo studio accademico alla scheda di dizionario) sembra allora essere quello di legittimare teoricamente e ogni volta di nuovo il libro e l'autore di cui si occupa. Il particolare viene ricondotto all'universale, la scrittura viene immediatamente tradotta in teoria e ogni particolare testo poetico o narrativo viene sussunto nella categoria generale dello Specifico Letterario. Succede così che gli argomenti, i termini e i passaggi critici elaborati per descrivere Kafka e Mallarmé, Rilke e Joyce, Montale e Borges, ce li troviamo mille volte ripetuti per definire e classificare decine di esordienti, di epigoni e perfino di autori interessanti ma molto lontani dai classici della modernità, o dall'estetica che è stata ricavata da essi. In nome della teoria che vede nel testo poetico la possibilità di infinite e sempre nuove letture, tutte assolutamente diverse e tutte ugualmente valide, gli autori hanno confezionato testi "aperti" e "vuoti", banalmente illeggibilie indecifrabili, copie immaginarie di un modello teorico astratto e di una poetica scolasticamente eccessiva, quasi parodistica. La descrizione critica è lì pronta prima ancora che il testo poetico corrispondente sia nato. Perciò il testo viene costruito in base alla descrizione. Poesia e critica, letteratura e teoria della letteratura vanno in corto circuito. L'eccesso di Aufklarung si rovescia in oscurantismo ... In realtà, senza giudizio di valore non è possibile nessun giudizio tecnico. Un'opera insignificante e piatta non credo che possa essere definita tecnicamente corretta. Ciò che "non ha valore'' cessa anche di appartenere allo Specifico Letterario. E se davvero si tratta di un testo privo di qualsiasi valore d'uso che ne raccomandi la lettura, allora può essere tranquillamente ignorato sia in teoria che in pratica. Queste tre ipotesi sono legate fra loro. Potrebbero perfino ridursi ad una sola. In questo caso, l'intera questione andrebbe riassunta così: Senza una cultura (dell'autore e del critico) che esprima la situazione presente dello scrivere poesia in rapporto ad una possibile tradizione e ad un possibile uso dei testi letterari, la libertà creativa si autodistrugge trasformandosi nella caricatura di se stessa. L'assenza di futuro e di statuto sociale che setJ1bracaratterizzare da circa un secolo la poesia moderna, ha smesso di avere la sua risonanza utopica e polemica, per generare il tono flebile e un po' ottuso di una sopravvivenza senza avventure e garantita contro ogni imprevisto. Antologie. Per quanto male si possa dire del genere antologico, a suo favore ci sarà sempre un argomento decisivo: non se ne può fare a meno. L'antologia resta il principale strumento critico per avvicinarsi alla poesia di uQ certo periodo: cioè alla poesia come situazione d'insieme, come genere e stile culturale. Oltre àd essere necessaria per i lettori che non possono essere al corrente delle innumerevoli e poco reperibili pubblicazioni sparse attraverso cui tendono a esprimersi i poeti, l'anta13
14 DISCUSSIONE/BERARDINELLI logia è anche un genere critico-letterario a se stante. Se è originale, non si limita a rimandare ai libri da cui attinge, è essa stessa un nuovo libro. Inventando una regia e strategia d'insieme, reinventa gli autori. La poesia lirica è poi il genere antologizzabile per eccellenza. Di solito, salvo rare eccezioni, la lettura di un'intera raccolta di liriche ingenera sazietà, noia e delusione. Quanti sono nella poesia mondiale del XX secolo i libri di poesia necessari come libri? Il cui insieme, cioè, è davvero qualcosa di più e qualcosa di meglio rispetto ai cinque o sei testi migliori e più noti che vi sono contenuti? Non ci si può nascondere il semplice fatto che la quasi totalità dei lettori colti, e un'altissima percentuale degli stessi docenti di letteratura che non siano degli specialisti in materia, conosce la lirica dei diversi secoli, e anche (forse soprattutto) la poesia di questo secolo, quasi esclusivamente attraverso delle buone e meno buone antologie. Si potrebbe perfino azzardare l'ipotesi che i poeti di cui si leggono per intero i libri e non le poesie antologizzate, possono quasi sempre essere definiti dei classici. Anche nel senso di "classici relativi", cioè prototipi di uno stile particolare o di una condizione specifica. Un autore si avvia ad essere considerato un classico quando si rafforza l'idea che sia doveroso leggere per intero le sue opere, e magari leggere la sua opera completa. Ma la condizione di classico è per definizione poco frequente. Perfino i classici del Novecento (classici "provvisori" nei confronti dei quali disponiamo di scarsa prospettiva storica) non sono poi molti. Le antologiè, però, dovrebbero non solo dichiararsi modeste, rinunciando a incarnare la sintesi culminante e panoramica dell'intera epoca presente, ma essere anche più "specializzate" e "parziali", più giocose e polemiche. O estremamente aristocratiche. Potrebbero per esempio intitolarsi: Le poesie più indiscutibilmente belle degli ultimi vent'anni, oppure: Cinquanta poesie senza capo né coda, o ancora: Disturbi dislessici nei poeti vissuti a Milano negli anni Sessanta, o infine: Poesie di elenchi. In antologie di questo tipo, la poesia contemporanea diventerebbe più accessibilee maneggevole, senza perdere niente della sua fluidità e varietà. In particolare gli autori contemporanei, non solo i giovani esordienti e poco noti, ma anche gli autori affermati, potrebbero comparire prevalentemente in almanacchi e riviste, e in questo modo essere letti al loro meglio da un pubblico relativamente ampio. Chi aspira a pubblicare una raccolta tutta propria di poesie dovrebbe riflettere sul destino probabile di una tale pubblicazione, cercando di immaginare le reali vicissitudini materiali e spirituali del proprio libro futuro. Gli editori che stampano e distribuiscono libri di poesia sono dei benemeriti e non sono molti. Chi è troppo orgoglioso per chiedere con insistenza i loro favori e sente contemporaneamente di non poter rinunciare al proprio sogno, può stamparsi a proprie spese in poche decine o centinaia di copie senza sentirsi umiliato e sconfitto. I suoi lettori reali non saranno meno numerosi e meno attenti solo per questo. Considerazioni del genere possono sembrare provocatorie solo agli autori che vogliono illudersi. Di fatto, le cose vanno già in questo modo e un exploit editoriale della poesia sembra improbabile. Le ambizioni di un poeta devono essere minime e smisurate, e quindi non scendere a patti con nessuna mediocre idea di successo. Fa parte della tradizione migliore di questa nobile arte la certezza che mettersi a scrivere versi è qualcosa che si sceglie di fare in piena libertà, solo per amore, e a proprio rischio e pericolo. L'Omino di Burro. Blandendo una femminista dubbiosa, ammiccando a un ribelle in crisi, intorno alla metà degli anni Settanta è comparso in mezzo ai giovani un Omino di Burro dal volto cereo, dall'espressione suadente, senza ire e senza impazienze, promettendo a tutti una vita migliore nel felice Paese dei Poeti. Quel paese che sembrava a tutti così lontano, l'Omino di Burro lo conosceva bene. Lui stesso veniva da lì, era di casa in quel mondo. Il suo passo sfiorava con sicurezza sognante le dure strade di quaggiù. A poco a poco i cuori gli si aprirono. Le pietre si intenerivano, le belve feroci si facevano mansuete al suono della sua voce. Arrivare nel meraviglioso Paese dei Poeti!, nel paese in cui tutto è poesia, in quella Società fraterna e ideale! E diventare tutti poeti: scrivere, pubblicare, leggere, tradurre e recensire poesie. Poesie e niente altro che poesie. Incontrare poeti e niente altro che poeti. Vivere da poeti e basta, senza curarsi di altro! L'Omino di Burro fu amato e seguito. Fu imitato. I suoi giovani amici erano incantati. Confidavano in lui. Riponevano in lui tutte le loro speranze. Fu così che in molti partirono su un traballante e magico carro verso quel fortunato Paese. Arrivarono laggiù, si saziarono di dolci frutti. Perdettero nozione e memoria di sè. Dopo qualche mese si trovarono trasformati. La metamorfosi promessa era davvero avvenuta. Si accorsero di avere perso il loro aspetto umano, troppo umano. La loro voce era un raglio sublime. Con raccapriccio e con gioia, col senso di una fede ignota, si sentirono finalmente tutti poeti. La pista del circo era pronta, li aspettava. "Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?" - (Pinocchio, cap. XXX). PoUine poetico (o Polvere di poesia). Una scrittura poetica nella quale oggetto e messaggio siano cancellati o interamente trasformati in una sconfinata superficie di suggestioni che vanno e vengono, finisce per eccitare e mobilitare a vuoto l'immaginazione del lettore. È quello che potremmo definire il Linguaggio del Sogno della Poesia, o meglio: il Linguaggio poetico della Soglia. L'ingresso nella dimora del poetico viene continuamente promesso, ma la soglia non viene mai varcata. Le metafore e gli accostamenti suggestivi scattano uno dopo l'altro, per un momento restano visibili in aria e poi spariscono di nuovo nella notte
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