Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

bottega sua opera, Napoleone e Stendhal. C'è evidentemente uno stretto rapporto tra queste due figure e il tema della sopravvivenza. Potrebbe spiegarci il tema della sopravvivenza a partire da questi due personaggi? In breve, la sopravvivenza a danno degli altri esseri umani costituisce per me il germe del sentimento del potere; e parlo della sopravvivenza concreta, fisica, del momento in cui ci si erge vivi di fronte a un uomo che giace colpito a morte. In questo preciso momento molte cose passano nella testa di un uomo; dapprima si ha paura, capita anche che si abbiano dei motivi per reagire con indifferenza. Ma il sentimento che non tarda ad affermarsi, e che non sempre ci si confessa, è un sentimento di soddisfazione, quello di essere la persona ancora in vita e non quella che la morte ha colpito. Ed è in questa soddisfazione del sopravvivere che risiede per me il germe del sentimento del potere. Un sentimento che non possiamo evitare, dato che sopravviviamo continuamente ad altri uomini, ma il modo in cui lo si affronta è forse il problema morale tra tutti più difficile. La soluzione personale di ognuno è assolutamente decisiva per quanto riguarda il suo valore di essere morale. Colui che si adatta facilmente all'idea di sopravvivere agli altri, e alla loro morte, mentre egli continua a vivere, costui non può, a mio avviso, progredire realmente sul piano morale. Ho studiato a fondo questo sentimento, accumulando un materiale molto vasto sull'argomento. Napoleone, che ho scoperto quando ero giovanissimo leggendo la sua biografia, è sempre stato per me uno di quegli uomini per i quali non solo era indifferente ma anzi necessario fare le guerre, far combattere gli uomini, dare continuamente il via a nuove guerre che naturalmente aumentavano il suo potere quando erano vittoriose, ma che in ogni caso gli lasciavano il sentimento della sopravvivenza quando non vinceva. Ci sarebbe molto da dire su questo. Più tardi, studiando più da vicino il personaggio Napoleone, la mia diffidenza verso gli atteggiamenti degli uomini avidi di potere venne confermata dalla lettura di una descrizione delle sue ultime settimane e dei suoi ultimi giorni a Sant'Elena. Vi si apprende che fu con orrore senza pari che si accostò alla sua morte, come se quest'uomo, responsabile della morte di centinaia di migliaia di esseri umani, capisse insomma per la prima volta cos'è la morte. Coloro che si oppongono a questi sopravvissuti che si rallegrano della morte degli altri sono, secondo me, quelli che non vogliono sacrificare nessunà vita, ma desiderano al contrario preservare la vita. Ed è forse uno dei rari modi che possono immaginare per superare l'orrore della sopravvivenza - ilpeccato della sopravvivenza - quello di far qualcosa affinché gli esseri presso i quali si è vissuti restino vivi, per molto tempo ancora. 46 - Elias Canetti

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