Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione in ostentazione di onnipotenza, allora vediamo come un senso di irrealtà si impadronisce di lui. Gli altri progressivamente scompaiono, e con essi la realtà. L'amore stesso della verità è per la Weil un'espressione dell'amore per la realtà: desiderare la verità è desiderare un contatto diretto con la realtà, è dunque amare la realtà (cfr. PR, p. 218). La gioia viene definita come sentimento della realtà, per quanto questo sentimento possa essere precario (cfr. Quaderni, p. 117 e p. 229 e OG, p. 123). Per quanto riguarda Tolstoj si potrebbe affermare che tutta la sua opera narrativa non è che un preludio alla 'scoperta' della realtà, non è che la poesia di tale scoperta. C'è qui il rifiuto di ogni utopismo, di ogni proiezione orizzontale nel futuro di un 'compimento' e di una 'perfezione' che appartengono invece più legittimamente ad una terminologia religiosa. Come la Weil sa che anche i giorni del futuro più luminoso immaginabile saranno fatti della stessa sostanza dei giorni del presente, così lo scrittore russo ci mostra come la realtà, imperfetta e impura, contiene più mistero e più imprevedibile bellezza di qualsiasi disegno utopico. Certo questo senso della realtà si manifesta anche diversamente, e questa diversità rimanda al diverso tipo di religiosità dei due autori, un tema di grande complessità, di cui tratterò alcuni aspetti essenziali. Secondo lo studioso di letteratura russa D.M. Mirskij vi sarebbe in Tolstoj una contrapposizione tra l'anima 'irrazionalista' della prima fase (glorificazione dell'uomo naturale, esaltazione degli impulsi vitali) e l'anima eticorazionale della seconda fase (l'esigenza di dare una giustificazione alla vita) - cfr. D.M. Mirskij, Storia della letteraturarussa, Garzanti 1977. Anche un Plechanov, sul versante della critica marxista: parlava della coesistenza nell'opera tolstoiana di due diversi principi: quello pagano e quello cristiano. Senza negare la vitalissima contraddittorietà del pensiero tolstoiano sulla questione del rapporto morale-istinti, credo che anche nei grandi romanzi non ci troviamo mai di fronte ad un naturalismo ingenuo e di ascendenza romantica. La bellezza della natura, della vita non è mai immediata o evidente, così come l'uguaglianza degli uomini. Andrej prima della battaglia guarda alla natura circostante e pensa che continuerà ad esistere dopo la sua morte. Parlando della paura della morte la Weil ha osservato che è possibile superarla solo 'pensando "all'avvenire di qualcosa di diverso da sé", qualcosa che duri oltre la nostra vita ma nello stesso tempo qualcosa cui la nostra vita senta di appartenere. Eppure improvvisamente Andrej, incantato dalle betulle e dalle nuvole a pecorelle, sente la natura come qualcosa "di terribile e minaccioso". Anche se in Tolstoj è certamente presente un elemento panteistico estraneo alla Weil, nel suo pensiero la fusione con la natura non appare mai 'naturale' o 'garantita'. Affinché possa esserci un contatto con la realtà occorre anche qui un'esperienza particolare, che Sklovskij ha chiamato "visione". Una "visione" legata soprattutto all'amore, ma anche al lavoro e, come abbiamo prima visto, ad una povertà estrema. Solo attraverso questa "visione" è possibile percepire la bellezza del mondo, è possibile cogliere l'ordine ad esso sotteso, come fa Levin quando si innamora di Kitty. Attraverso questa ''visione'' scopriamo di essere creati per la felicità. La morte e il male non spariranno, ma la nostra capacità di conservare dentro di noi gli effetti di quella "visione" ci permetterà di non disperderne la verità. 24 - FilippoLa Porta

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