Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione creatura, per Maria, è in rapporto alla parallela avversione verso il mondo che ne stava decretando il mito (e che stava accogliendo lui stesso come uomo di successo): "Un giorno capì cosa stava accadendo: Maria esisteva senza di lui. Maria, la sua Maria - non una falsificazione di qualche giornalista da strapazzo - aveva acquistato una quantità di esistenza di gran lunga superiore a quella che lui gli aveva data; era viva e reale ormai indipendentemente da lui. Scorrazzava da sola nel mondo che lui odiava, nel mondo dei meridiani e paralleli, nel mondo in cui testimonianze e documenti non servono di umile sostegno alla verità ma la sostituiscono". Personaggio per alcuni versi sgradevole, Fabrizio - che ha più di un tratto in comune con l'Emanuele morantiano di Aracoe/i - scioglie infine le proprie ambiguità in un definitivo e radicale distacco dal mondo moderno. Questo appare descritto nel romanzo come presa di ciò che Fabrizio identifica in ''un'orda vittoriosa che brulica indistinta". In quest'ammasso, Fabrizio accomuna certe donne che lo colpiscono, con la loro disinvoltura, nel suo intimo dubitare di sè a certi protagonisti della chiacchiera culturale ("pensatori improvvisati che dettano le leggi del prestigio culturale'') e a una sfilza di altre figure sciaguratamente tipiche del nostro panorama quotidiano: "motociclisti rumorosi, inquinatori di fiumi, pubblici amministratori disonesti, delinquenti comuni e politici, fruttivendoli esosi, giovani maleducati e attoniti, trentenni maleducati e analfabeti". Negli sguardi di Fabrizio, nelle sue rabbie sorde, nelle insofferenze verso questa folla conformista e aggressiva, e nel suo rifiuto d'integrarvisi quando infine potrebbe, Francesca Duranti descrive il cammino tortuoso di un disagio e di una presa di coscienza. Non di una lucida raggiunta consapevolezza, ma di una coscienza che si forma lentamente, stratificandosi in stati d'animo, in ferite e umiliazioni quotidiane, in sensi d'estraneità, 216 - GianfrancoBettin e che giunge però a consolidarsi e ad avvolgere Fabrizio come un'istintiva volontà di non esistere, di lasciarsi morire. Stregato da Petra, Fabrizio avrebbe un'ultima possibilità di fuggire dalla casa sul lago della luna. È Fulvia ad offrirgliela. Ancora Fulvia, la donna che per tutto il romanzo si presenta come il ponte proposto a Fabrizio per ricongiungersi pienamente alla società. Fulvia è la possibilità di un rapporto di coppia, di un matrimonio "sicuro"; è lei stessa versatile, vivace, adatta al mondo. Potrebbe aiutarlo a superare certe fobie, a diventare una ''persona normale''. Ma come in tutta la loro storia, anche nell'epilogo Fabrizio si sottrae a questa opportunità. Giovanni Giudici ha scritto di una "fuga dall'àmore" compiuta da Fabrizio. In realtà nel suo ritrarsi vi è di più. Quando Fulvia compare per l'ultima volta, al lago, Fabrizio la vede immersa in una sequenza rapida di immagini che ne descrivono il "talento per la vita". E poi la vede com'è, con la 127azzurra parcheggiata lì vicino, vestita come detta la moda - "un angiolino guerriero coi capelli sfavillanti nel sole''. Il muto congedo di Fabrizio da Fulvia è il suo congedo dal mondo. Fulvia è la migliore combinazione possibile - gli sembra - tra i compromessi e i cedimenti al modo corrente di vivere e il desiderio di vivere liberamente, con sincerità. Ma non riesce ad accettare nemmeno questo. Esita un momento, ma poi prevale il disgusto, la coscienza stratificata della sua piena estraneità al mondo. Ed è un mondo, quello descritto da Francesca Duranti attraverso gli occhi e la sensibilità di Fabrizio, che noi possiamo ritrovare agevolmente ogni giorno. L'impressione di "contemporaneità" che si riceve dalla lettura del libro deriva proprio dall'abilità narrativa e dall'onestà intellettuale con le quali il contesto sociale e ambientale viene reso. Gli accenni continui al degrado ecologico, seminati in tutto il romanzo, risultano perfettamente congrui, fusi alle più complesse immagini del degrado

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