Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

tale curiosità affinando un metodo che quasisempre dà buone prove. Qualcuno ha detto che Harold Robbins è una speciedi Balzac della nostra epoca e che MichaelCrichton è forse l'ultimo dei grandi narratori di avventure. I paragoni sono certoeccessivi, ma è fuori dubbio la capacitàdi questi vendutissimi autori - e di altri- di "informarci" sul nostro tempo, cosìcome è indubbia la loro perspicacia nell'affrontarlo, la loro "sintonia" appunto. Niente, o pochissimo, di ciò qui da noi. C'è stato, di recente, un periodo in cuila nascita di una "letteratura giovanile" sembrava dimostrare un recuperato legamesociologico e culturale tra l'esperienza di una generazione e i suoi tentativied esiti artistici. Per un po', addirittura, era parso che l'elemento specificamenteletterario potesse anche essere tenuto in secondo piano, a vantaggio della rappresentatività politica e sociale di quei materiali. L'intima, immediata adesione all'universo giovanile di quella letteratura (neglianni tra '77 e '81 circa) rendeva quell'impostazione non del tutto fuorviante. Com'era ovvio, però, questo schema nonpoteva reggere sul lungo periodo, nè potevadar conto dell'evolversi complessivo della letteratura in Italia. Oggi tra l'esperienzagiovanile e la produzione degliscrittori anagraficamente giovani non c'è più un legame così diretto. Una giovanenarrativa esiste solo nel senso della presenzadi una serie di autori tra i venticinquee i trentacinque anni circa, comparsi come ultima generazione letteraria dopo un vuoto che durava più o meno dai primi anni sessanta. In nessun modo, tuttavia, questi autori formano un insieme coerente. Pur con talune affinità -certicomuni precedenti politici, certi riferimenti forma tivi - non si può dire che costituiscanoun "gruppo", nè che lo vogliano, e neppure che la loro età li ponga immediatamente in sintonia con la generazione cui appartengono e con la sua esperienzadel mondo. discussione Scrivere è ridiventato (se mai è stato qualcosa di diverso) un atto individuale, un lavoro specifico al quale la connotazione sociale e generazionale dell'autore non conferisce alcuna speciale condizione. È solo la pagina scritta - per il modo in cui è scritta e per quello che contiene -a definire il valore del testo, insieme all'impatto di mercato e --all'incontro con il pubblico. È a questo punto - dopo la fine di quella privilegiata relazione tra letteratura ed esperienza giovanile - che la letteratura italiana risulta ulteriormente impoverita. Per limitarci alla narrativa, non si può non vedere come ad alcuni grandi isolati ''vecchi'', il cui sguardo cade lucido e denso di pessimismo sul nostro tempo, e a pochi altri, fa contorno una folla mediocre, incapace - per quello che scrive e per come scrive - di produrre alcunché di significativo. Siamo comunque ben lontani dall'auspicio formulato da una delle nostre voci poetiche più rare: "Nel secolo della degradazione, che noi viviamo, le parole sono ridotte a spoglie esanimi: restituire una parola alla sua vita primigenia si avvicina quasi, per l'atto miracoloso, alla resurrezione dei corpi" (Aracoeli, pag. 239). La crisi della nostra letteratura, l'aridità delle sue parole, sono frutto della subalternità al "secolo della degradazione". Una subalternità inane e ruffiana, che tuttavia pretende di spacciarsi per coscienza infelice, critica. Viene appunto in mente, al confronto, la spregiudicata oggettività di certa letteratura e cultura americana. Ma del resto, per finirla su questo punto, se in un Robbins o un Crichton o in tanti altri, e perfino in serials tv come Dallas o Dinasty, non fatichiamo a scorgere certi modi e luoghi classici della grande narrativa passati al filtro del behaviorism e del migliore giornalismo moderno, nell'opera di un Salvalaggio o di un Bevilacqua, insieme ali' Antologia delle Tre Corone, non ritroviamo che i magisteri di Enzo Biagi e Francesco Alberoni. GianfrancoBettin - 213

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