discussione rienze in una forma che sia accessibile, in una storia; vuole trasmettere porzioni della sua soggettività senza che il messaggio si appanni o diventi indecifrabile. Anche il motivo personale che lo induce a scrivere di ua madre diventa qualcosa di pubblico "e quindi di politico" e per questo, ora, egli rifiuta un linguaggio privato: "solo in un linguaggio non ricercato, pubblico, potrei riuscire a trovare, fra la massa dei dati biografici insignificanti, quelli che esigono di venire pubblicati", afferma commentando il suo intento di parlare della madre. Handke ha capito l'importanza del comunicare: il finale de la donna mancina dimostra che l'autenticità non sta nella parola, ma in rituali non verbali che sanciscono l'avvenuta comunicazione: "Tacevano; bevevano; tacevano di nuovo; improvvisamente si misero tutti a ridere" (2). E, significativamente, l'autore prepone a la donna mancina una frase tratta da Le affinità elettive di Goethe: "Così continuano tutti insieme, ognuno a modo suo, la vita quotidiana, chi riflettendoci e chi no; tutto sembra andare per la via usata, così come, in casi straordinari dove tutto è in gioco, si continua a vivere come se di nulla si trattasse''. È forse la sicurezza di chi ha capito che i fatti abituali e quelli terribili possono convivere, semplicemente e tranquillamente? Nella festa che chiude il libro, sarà il sentimento a rendere possibile una società senza classi quando la natura avrà neutralizzato l'"universo infernale", come lo chiama Handke, con l'amore spontaneo. Più drammatica è la vicenda di Gregor, il protagonista de L'ora del vero sentire: Gregor impazzisce. Ma sarà proprio la follia a permettergli di sperimentare un'esistenza al di fuori delle regole culturali. Cerca l'immediatezza al di là di sistemi-filtri quali il linguaggio, la morale, le abitudini; cerca l'avventura della percezione che, proiettata sugli oggetti, coincide con la contemplazione: "Questi momenti privi di sè eppure pieni, in cui non si osserva nulla di ciò che sta fuori, ma pure 210 - MariaMaderna nulla sfugge" (3). Il mistico è diventato attimo, frammento, ma si può ritrovare in gesti alterati, in cose vili: in tre oggetti (una foglia, un frammento di specchietto, un fermaglio da capelli) senza storia né importanza può rivelarsi il segreto del mondo: è possibile "cambiare" (4). Lo scopo di Handke è ora: non più "trasformare le cose in parole, ma trovare il linguaggio di cui le cose sono fatte''; per far questo si servirà della poesia che sola può "rendere giustizia alle cose" (5). Rivaluterà anche la possibilità di una struttura narrati va perché, in questa nuova "apertura", riconsidererà la possibilità di un linguaggio che sia vero, e anche poetico. Già nel 1974 Handke annotava: "Sono convinto che la forza del pensiero poetico sia in grado di dissolvere i concetti" (quelli convenzionali, che non rendono possibile il vero sentire) "e quindi contenga in sè il futuro" (6). Affermando questo, Handke polemizza con Brecht che, secondo lui, vorrebbe liquidare il pensiero poetico, "colpevole" di mancanza di senso. È il pensiero poetico che solo può "rinnovare il mondo" proprio quando si sta cominciando "a ritenerlo immutabile" (7). (Ciò nonostante Handke afferma che riuscirà a sviluppare un forte senso delle cose solo quando sarà diventato "epico" (8), prendendo a prestito il termine da Brecht, da lui troppo frettolosamente liquidato). Da L'ora del vero sentire in poi, tutti i lavori di Handke saranno un unico, graduale tentativo di rendere credibile l'immediatezza delle cose, del mondo, inteso come felicità immensa. Handke ha capito che per esser vivibili, anche se precariamente, il dolore e il disordine devono essere accettati. Perduto qualsiasi senso di totalità, resta solo l'esatta visione dei particolari. Già ne I calabroni Handke descriveva, con fanatica precisione, oggetti e gesti, tanto che la critica impegnata lo tacciò di piatto descrittivismo, ben peggiore di quello che Handke criticava. Esatto è il realismo particolareggiato e quasi esasperato con cui l'autore, nelle sue opere, de-
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