raccontiitaliani padre ogni tanto mi studiavano ed io lo sapevo, ma non potevo farci nulla; i vapori di formalina finivano per stordirmi, l'ampiezza dei saloni, il silenzio, le vetrine, che si scorgevano da una porta aperta all'altra, mi comunicavano l'ebbrezza dello spazio e il disagio che quello spazio non era infinito, ma che sarebbe stato presto risolto da poche decine di passi per quanto lenti e misurati. Ma io potevo porre un riparo tra il mio desiderio di spazio e la sua finitezza; accanto alla misurazione in metri e in distanze c'era l'unità di misura dell'attenzione, c'erano vetrine e vetrine piene di passeri, di minuscole carcasse colorate, di occhi di vetro, di pelli non ancora montate. Potevo dedicare ad ogni oggetto un tempo fissato, che poteva essere aumentato del doppio o del triplo per le cose più notevoli. Così ogni sala sarebbe durata a lungo. Quest'attenzione, infine, era falsa. Il suo carattere artificiale rischiava di compromettere la meravigliosa sensazione di spazio, appiattendo ogni cosa nel desiderio di rispettare scupolosamente i tempi fissati. Allora, imbambolato davanti alle vetrine, io mi facevo trascinare da mio padre che mi conduceva per mano e con esortazioni, e mentre mi allontanavo da oggetti che osservavo minuziosamente quasi per dovere, l'ultimo sguardo, gettato all'indietro, restituiva di nuovo interesse, per uno scrupolo dell'attenzione, per la sensazione di non aver visto proprio tutto, mentre mio padre mi portava più lontano. Nel più profondo delle sale, nella penombra ingiallita, trovavo dunque i tre animali famosi, quelli più prossimi all'uomo: Il ghiro, la talpa, lo scoiattolo, ma qui, sui loro trespoli, che cosa era il mondo se non l'esilio che quelle presenze non raggiungevano? Che onore potrebbe capitarmi più grande di quello di oggi? Ed è un onore che certo io non ho cercàto, eppure l'ho ugualmente ottenuto. Appena entrato nella grande sala, a me, al più modesto dei convenuti, è stato rivolto l'applauso. Sono stato quasi forzato a dire brevi parole; mi è stata consegnata una targa; mi è stato rivolto un elogio: "Ecco l'uomo integerrimo, accanito nell'onestà, enorme nella modestia, tenace nel perseguire i fini della libertà! Ecco colui che spende la sua vita ad essere un esempio, un traguardo da raggiungere. Io vi dico· che quest'uomo è un santo, un apostolo. Al di là dei suoi mezzi egli è tra i munifici, i mecenati, gli atleti famosi. Forse ogni mille anni lanatura concede all'umanità simile lume d'intelligenza, simile antologia d'elette virtù. Ricevi, o arciere, dalle nostre mani, la targa che ti elegge arciere dell'anno". Non senza commozione io ho preso la targa dalle mani del maestro. Poi, tra il delirio dei convenuti, nel silenzio della palestra, io ho attraversato con una freccia l'occhiello di dodici scuri confitte in una trave, quindi ho pronunciato le parole rituali: "Non applaudite, non onorate me, non io sono buono arciere, è il Dio che tira per me''. Tra gli altri c'era anche il procuratore con il figlio, un bambino afflitto da Lucio Zanasi - 201
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