raccontiitaliani riata della cella, sperando in questo modo di attirare l'attenzione della giovane inferma. Dalle celle vicine lo straccio rosso viene notato, viene scambiato per un segnale fatto ai sorveglianti, per un tradimento. Scoppia la rivolta: le guardie, còlte di sorpresa, sono sopraffatte e disarmate. Mentre i detenuti scorrono tumultuosamente lungo i corridoi della prigione, una scarica di mitra uccide il giovane scrittore quando, ancora chiuso nella cella, chiede ai suoi compagni di uscire. L'aria in questi giorni si è fatta diversa, lucida, untuosa come un gas. Nel mutare delle ore più o meno calde, in grandi masse traslucide, compone come dei vetri che deformano le prospettive, delle lenti che falsano le distanze e le dimensioni. Le strade acquistano una profondità inimmaginabile. Le piazze sembrano letti grigi di mari prosciugati, e i rumori pure vengono modificati. Ci voltiamo, sentendo dei passi vicini, e non c'è nessuno, solo un uomo in lontananza. I suoni stridenti vengono esaltati come crepe in un muro bianco. Dapprima questo fenomeno affascinò; dava un senso di desolazione così diverso che non era neanche più desolazione, ma emozione, come nella prima neve. La gente camminava a gruppi, tenendosi a braccetto tra appuntite risate, si smarriva in quei miraggi d'aria così lenti a modificarsi. Ora l'atmosfera appare nemica. Si sono dati nomi alle figurazioni, ai contorni ricorrenti di questi specchi chiari: "L'angelo", "La Principessa", "Il tre di picche", "Gli Amanti". La gente se ne sta a casa mentre l'aria si divide in strati, si separa e si unisce senza posa. Sebbene non faccia ancora molto freddo, dei brividi su per la nuca che fanno quasi piangere sono il minimo che possa capitare a chi s'azzarda in cammino. Il cielo si divide in varchi, nei quali si versa il buio nerissimo, stellato. Muraglie fatte di strati rosa e viola incombono incrociandosi, sfaldandosi, raggelandosi contro precipizi che stanno ancora più in alto. Dio del cielo che cosa è questo? Io, a quel che ricordo, credo di non aver mai visto uno scoiattolo vivo. Da bambino, è vero, possedevo un libro nel quale figure repentine di scoiattoli illustravano non so più quale storia di sangue e di stratagemmi. Ma di scoiattoli vivi forse m'è solo parso di vederne, talvolta, baleni rossi o neri sui tronchi d'albero. Quando mi si conduceva allo zoo, la gabbia degli scoiattoli era vuota o forse così piccola la figura dell'animale che non era possibile scorgerla nel grande spazio chiuso tra reti di ferro. Nel cimitero annesso allo zoo, mio padre mi accompagnava in locali pieni di uccelli imbalsamati. C'incamminavamo per vasti locali, i nostri passi, i nostri passi disperdevano il silenzio nel cimitero delle aquile ad ali spiegate, delle aquile ad ali chiuse fissate ai muri bianchi. Passavamo sotto generazioni di falchi pellegrini, i cui becchi stillavano in eterno una goccia di colla rappresa. Il sole entrava chiaro e freddo nel salone dei delfini. Tra le gru, sospese su un piede, mosche vive guadagnavano sbocchi di pulviscolo luminoso. Gli occhi di mio 200 - Lucio Zanasi
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