discussione greco-evangelica (e poi gnostica, m1st1ca,occitanica, etc.) alla tradizione ebraico-romana e poi borghese-moderna. Senza discutere qui la legittimità di tale contrapposizione, vorrei osservare come il sentimento della miseria della condizione umana, che per la Weil anima quella cultura, sembra essere agli antipodi della cosiddetta modernità, il cui contenuto fondamentale si può così riassumere: "Dio è morto, tocca all'uomo prendere il suo posto" (R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca). Una promessa che, nota Girard, ognuno scopre fallace per sè nell'intimo della propria coscienza, ma che ognuno continua a considerare vera per tutti gli altri, credendosi così l'unico escluso dal retaggio divino. Con il risultato di scavare tra sé e gli altri un abisso insormontabile. Prima ho parlato di una quantità e qualità di immaginazione necessaria al tipo di riconoscimento o di consapevolezza invocato dalla Weil, e per il quale, ripeto, occorrerebbe una cultura di riferimento (sia filosofica che scientifica) sensibilmente diversa da quella attuale. In Guerra e pace Andrej Bolkonskij, ferito nella battaglia di Borodino, viene trasportato sofferente nella tenda-infermeria. Qui lo depongono su una tavola accanto ad un uomo cui stanno amputando una gamba, tra lamenti e singhiozzi soffocati. Andrej, in un momento di temporaneo sollievo dalla sofferenza prova un benessere particolare, si ricorda ''tutti i momenti migliori e più felici della . sua vita e specialmente la più lontana infanzia( ... ) quando egli si sentiva felice per la sola coscienza di vivere". Poi riconosce ad un tratto nell'essere infelice cui hanno amputato la gamba Anatol Kuraghin, la persona cioè che aveva odiato di più, colui che gli aveva sottratto Natascia e che lui aveva cercato dovunque per ucciderlo. Eppure Andrej, nel vortice confuso dei ricordi che quell'uomo evoca in lui, scopre di non nutrire più alcun risentimento e anzi sente il suo cuore, ora felice, riempirsi di una pietà e di un amore fervente per quell'uomo: "non potè più trattenersi e pianse lacrime di tenerezza e di amore sugli uomini, su se stesso e sui loro e sui propri errori". L'esperienza che qui fa Andrej è un'esperienza-limite. Appunto, "l'uguaglianza tra gli uomini non esiste". Per 'vederla' e 'toccarla' occorre un'esperienza diversa da quella normale, da quella quotidiana, anche se a tutti accessibile. Vorrei insistere sull'accessibilità di tale esperienza, proprio perché ha a che fare con il tema dell'uguaglianza. È sempre Rolland che nella sua commossa biografia insiste sui caratteri dei protagonisti di quasi tutti i romanzi tolstoiani. Nechliudov di Resurrezione, che può considerarsi emblematico al riguardo, non assomiglia agli eroi o ai demoni dostoevskijani, ma è "il tipo dell'uomo medio, mediocre e sano che è l'eroe abituale di Tolstoj". Certo questo uomo medio, affinché possa uscire dalla menzogna in cui è avvolto, viene precipitato in situazioni-limite, come la guerra, la malattia, la prigione, l'agonia prima della morte. Anche nel celebre Morte di Ivan Ilic il protagonista, solerte e conformista giudice istruttore, che impronta i propri rapporti familiari ad una "piacevolezza" fredda e ipocrita, scopre di fronte all'orrore della morte l'inganno e la menzogna della propria vita. E così il vecchio Bolkonskij, il padre di Andrej, come abbiamo prima visto. Perché tutto questo ha a che fare con l'uguaglianza? In un passo autobiografico dell'Attesa di Dio Simone Weil, ricordando il proprio senso di inferiorità nei confronti del fratello, parla di una 'scoperta' decisiva da lei fatta nell'adolescenza: "all'improvviso e per sempre ho avuto la certezza 20 - FilippoLa Porta
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