discussione cosa di evidente, di immediatamente visibile, di puramente intuitivo. È data appunto, per lo scrittore russo, dalla relazione di tutti gli uomini con l'infinito, di fronte al quale tutti gli uomini senza eccezioni sono nulla. Eppure il riconoscimento di questa relazione non scatta per ciascuno.· Cosa lo impedisce? Cosa può favorirlo? Ma ora torniamo alla Weil e vediamo quale risposta indirettamente fornisce a questa domanda. È quella cosa che lei chiama 'forza' a impedire o a rendere difficile questo tipo di riconoscimento. La 'forza' è un principio che opera in tutto l'universo, quindi anche nell'uomo. Chi subisce la forza è ridotto al livello della materia inerte, della pura passività, si sente non ancora umano; chi la esercita si sente invincibile, onnipotente, immortale, non più umano. Come leggiamo nel saggio sull'Iliade il forte e il debole, il vincitore e il vinto "non si credono della medesima specie. Né il debole si considera il simile del forte, né da lui è considerato suo simile". E ancora: "La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l'illusione che vi siano tra loro specie distinte cui non è dato comunicare". Già, però se è un'illusione l'idea che esistono specie umane distinte, non è un'illusione quella "diversità di costrizioni che pesano sugli uomini". Per quale ragione insomma dovrebbe contare di più, essere più decisiva la condizione, comune a tutti gli uomini in quanto 'creature', di estrema precarietà e vulnerabilità, e non le enormi differenze, sociali e naturali, visibili ad occhio nudo? Non esistono "specie distinte", ma classi, ceti, categorie e gruppi si. A proposito del concetto weiliano di "forza", vorrei tornare a Tolstoj e a Guerra e pace. Napoleone è arrivato a Mosca, che nel frattempo è stata data alle fiamme. Qui Pierre Bezuchov è fatto prigioniero e, tra le altre cose, gli capita di assistere ad una esecuzione. Anche lui fa una qualche esperienza di ciò che nella Weil viene definito "forza". Un caporale francese che durante la prigionia di Pierre si era mostrato gentile verso di lui subisce improvvisamente una metamorfosi. Un giorno infatti soldati francesi e prigionieri devono rimettersi in marcia, abbandonare Mosca. Da tutte le parti rullano i tamburi. C'è una concitazione generale. Pierre chiede al caporale di occuparsi di un prigioniero ferito grave, ma il caporale proferisce una bestemmia ed esce dalla baracca sbattendo la porta con violenza. Si è trasformato al punto di diventare irriconoscibile. "'Eccolo! Eccolo di nuovo!' si disse Pierre, e involontariamente gli corse un brivido per la schiena. Nel viso mutato del caporale, nel suono della voce, nel rullo eccitante e assordante dei tamburi aveva riconosciuto quella forza misteriosa, impassibile, che aveva obbligato gli uomini, contro la loro volontà, a uccidere i propri simili, quella forza di cui aveva veduto l'azione durante l'esecuzione". Pierre capisce allora che è inutile tentare di sfuggire a quella "forza misteriosa", è inutile "rivolgersi con le preghiere o con la persuasione agli uomini che le servivano di strumento". Su tutti i soldati francesi, sui loro visi freddi, legge ora quella stessa ''cosa''. Qui lo scrittore russo, come la Weil, mostra un realismo impietoso e privo di consolazioni sull'immenso potere di quella "cosa". Proprio riflettendo sull'Iliade la Weil aveva notato che la forza è al centro della storia umana, anche se non tutto, in questa storia, vi si conferma. C'è un modo per neutralizzare o almeno limitare l'azione di questo meccanismo cieco, ed è quello di trattare e considerare la forza come qualcosa che non appartiene a nessun essere umano in particolare. Si tratta appunto di un meccanismo im18 - Filippo La Porta
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