Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione sente un sacco di musica. Perché, se sei nei casini, non ti metti a fischiettare un ritmo allegro e non tieni la testa alta. Mormori. Mormori il più semplice dei gospel. Riesci ad immaginare il rumore che deve aver fatto una nave carica di schiavi? Prova a pensare che effetto deve aver fatto quel rumore alle donne. Tutte le storie che abbiamo sentito a proposito delle navi degli schiavi ci sono state raccontate da uomini. Tutto quello che gli uomini hanno sentito è stata l'agonia degli uomini. Il che è legittimo. Ma prova ad immaginare che effetto può aver fatto su una donna il rumore proveniente da una nave carica di schiavi. Il mormorio, il gospel, la chiamata e risposta sono arrivate sino qui, perché erano su quella nave. Non sono stati gli uomini a portarli. Non è che li voglia sminuire. Loro di sicuro hanno portato il tamburo. Ma non hanno portato il mormorio, nè la chiamata a raccolta, nè i richiami dei campi, per la semplice ragione che non li conoscevano. Non erano mica uomini dei campi. Erano cacciatori. E i cacciatori non fanno rumore. Allora quello che si sente nella musica sono le donne. Eravamo noi a stare nei campi in Africa. La musica non è qualcosa che abbiamo imparato su queste coste. Vivevamo in comunità già allora e quando ci hanno portate in campi più vasti abbiamo continuato a chiamarci l'un l'altra. Se qualcuna non rispondeva, andavamo a vedere cosa le era successo. Il mormorio, il grido di richiamo, la chiamata a raccolta sono cose delle donne. Gli uomini non le usavano. In Africa gli uomini andavano in giro a cacciare, ma in America li hanno messi nei campi con le donne. Hanno imparato dalle donne le cose delle donne. Quello che si sente nella nostra musica e nelle nostra letteratura non è altro che il suono di una donna che chiama un'altra donna." Peccato che questa rappresentazione, pur così suggestiva, enfatizzando la divisionedi genere e i ruoli sessuali, rinunci una volta di più, come in quasi tutte le scritture di donne nere, a tematizzare un aspetto inquietante della relazione tra donne: l'unità e la solidarietà femminili sembrano funzionare solo in regime di necessità o nella superficie determinata dalla presa di distanza dagli uomini. Da lì in avanti si ~ntra nel territorio delle contraddizioni, della esplorazione e forse dell'orrore. Come se, per "chiamarsi" tra donne, fosse necessaria una presenza/assenza maschile. L'inconscio, nel senso attribuito a questa parola dalle scrittrici nere, non è allora zona di produzione di un sapere e di un linguaggio del profondo, non è la zona dove la catena femminile, per potersi saldare, ha prima e comunque da sciogliersi. L'inconscio diventa per la donna il luogo pacificato dell'amore e dell'identificazione con la madre. Un rafforzamento della catena femminile troppo "storico" e necessitato, non abbastanza problematico, per risultare convincente fuori dalla produzione letteraria. Maria Nadotti, milanese, vive a New York dove è corrispondente dell'ARCI e si occupa di letteratura e spettacolo. Maria1Vadotti - 179

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