Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione Figure oniriche e mitiche, di terra e materia, figure sicuramente materne e onnipotenti, la cui _forzanon può essere i_mpeditaneanche dalla violenza maschile. Nel bel racconto "Meridan" di Alice Walker, la schiava nera, punita con la morte per avere con i suoi racconti fatto morire di spavénto il figlio bambino del padrone bianco, rinasce in forma di albero a testimoniare l'impotenza maschile di fronte alla verità femminile che si afferma con forza e senza paura. L'universalità dunque in queste scritture non sembra essere negata, ma dislocata su un terreno più familiare, più conosciuto, più particolare, come se una reale generalità potesse prodursi solo all'interno di una specificità attraversata in verticale. Lo spazio narrativo copre di solito infatti la geografia affettiva della famiglia, della casa e del quartiere e ne adotta il linguaggio e i movimenti. A differenza delle scritture maschili che adottano per lo più, come metafora di una ricerca individuale, lo schema del viaggio, della scoperta di nuovi spazi fisici e di esperienza, dell'esplorazione, del solitarismo, della non dipendenza anche affettiva, queste autrici scelgono di raccontare personaggi e storie in cui non c'è movimento esterno o in cui anche i pochi movimenti esterni stanno a rappresentare un viaggio autoanalitico centrato sulla scoperta di sè, dentro e fuori un sistema di relazioni. Come se la destinazione dell'eroina nera non fosse un luogo, ma uno stato mentale. Solo in questa luce si può intendere il modo di interpretare la vita che è di molte delle protagoniste dei racconti e dei romanzi di autrici nere: la vita non è un problema da risolvere, perché in questo caso non ci sarebbero risposte possibili."La vita è una esperienza da fare ed un processo. Il risultato di qqesta concezione è che non ci si può aspettare di sciogliere i conflitti, ma al massimo di dominarli. Spesso la soluzione migliore è il cambiamento: raramente un cambiamento radicale/materiale/concreto/fisico/positivo/attivo frutto di volontà e di un'azione conseguente; spesso un cambiamento che scaturisce all'interno della capacità di rimanere al proprio posto, dentro la situazione che rende necessaria la modificazione, provocandola attraverso il proprio impegno in profondità nel posto in cui si è. - - Niente decisioni deliberate o prese di potere, ma il riconoscimento da parte della protagonista di essere incapace o impossibilitata a cambiare la sua situazione. Un atto attivo di resistenza e, per chi legge, un messaggio e un insegnamento chiari: è possibile costruirsi una vita dotata di senso anche in mezzo al caos e all'arbitrarietà, con a disposizione nient'altro che la propria intelligenza e le proprie emozioni. Quando tutto sembra smentire la possibilità di mantenersi in vita, un atto non momentaneo ma fornito di durata temporale, per l'appunto di resistenza, garantisce la sopravvivenza e, sul lungo periodo, di farcela. Ci sarebbe da chiedersi se la resistenza in questo senso è fatto reale, appartenente all'esperienza di vita della donna nera, o potenzialità e proiezione tutte interne all'atto di scrittura. Dove la forza del pensiero solitario e la comunicazione tra sé e sé sanno uscire dall'ossessività, dalla sterilità, dalla negatività del desiderio impotente che sono tanta parte dell'esperienza femminile, e farsi principio di vita solo attraverso il materializzarsi nell'atto creativo. Nella scrittura sono impliciti infatti due elementi che garantiscono la tenuta: il prendere/dare forma del pensiero e l'individuare un'interlocu176 - Maria1Vadotti

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