discussione kantiana tende ad affermare l'uguaglianza degli uomini in quanto esseri raziona/i (e dunque a limitarla). Insomma, per poter accedere alla comunità umana e fruire così dei suoi diritti è come richiesto un prerequisito. L'amore 'creaturale' di Tolstoj per gli uomini, e quindi per gli stessi personaggi dei suoi romanzi, avrebbe certo trovato angusto questo orizzonte politicofilosofico. Le convinzioni dello scrittore russo si intrecciano sempre con il suo stile narrativo: "Il realismo di Tolstoj si incarna in ciascuno dei suoi esseri e, vedendoli con i loro occhi, egli trova nel più vile delle ragioni di amarlo e di farci sentire la catena fraterna che ci unisce a tutti. Mercé l'amore egli penetra fino alle radici della vita" (R. Rolland, Vita di Tolstoj). Si potrebbero fare un'infinità di esemplificazioni, tratte dai suoi romanzi, di questa disposizione di Tolstoj. Vorrei qui proporne soltanto una. Si tratta di un personaggio di Guerra e pace che appartiene però non al versante dei 'poveri di spirito', disgraziati e anonimi, ma a quello dei personaggi terribili e crudeli: il vecchio principe Bolkonskij. Nella sua isolata tenuta di campagna lo vediamo tormentare e maltrattare continuamente la docile e mite figlia Marja, oltre ai servitori e a chiunque capiti sotto il suo tiro. Quando dichiara essere l'ozio e la superstizione le due fonti dei vizi umani, si capisce come nell'ozio faccia rientrare tutto ciò che ha un rapporto con il piacere. Quel piacere che nega dispoticamente a chi gli è vicino perché lo nega innanzitutto a se stesso. La sua esistenza è regolare e ordinata, organizzata con una pedanteria maniacale. Eppure dietro le sue sopracciglia grige spioventi ci è dato di scorgere "lo splendore degli occhi intelligenti e luminosi come quelli di un giovane''. Certo è difficile per noi immaginare come e su che cosa si eserciti questa intelligenza adolescente in un personaggio dai modi così bruschi e severi, fino alla più ottusa durezza. Che cosa può ancora illuminare quella luce della giovinezza? E infatti solo quando si ritroverà "spezzato dalla paralisi" e agonizzante sul letto il vecchio principe mostrerà la verità dei suoi sentimenti e della sua vita, una parte cioè del suo '' disordine'', sempre attentamente nascosto e tenuto a bada: sul suo viso apparirà "qualcosa di fanciullescamente timido", e per la prima volta si rivolgerà tra le lacrime alla figlia chiedendole perdono di tutto. Pensiamo solo alla differenza con un altro grande scrittore realista dell'800, Balzac, che pure per il suo "temperamento agitato, fervido, acritico" (Auerbach) è portato a prendere tutto sul tragico, a idealizzare o demonizzare ogni personaggio. In Illusioni perdute troviamo pure un vecchio terribile, Sechard, di umili origini e piccolo proprietario di una tipografia, avido e avaro fino alla follia e sospettoso di tutti, anche del figlio. Possiede due grosse sopracciglia, come il personaggio tolstoiano. Però sotto queste sopracciglia non intravvediamo nessuna luce, ma solo "i piccoli, scaltri occhi grigi, in cui si leggeva un'avarizia che uccideva tutto in lui, perfino il sentimento paterno". Papà Sechard non rivelerà la sua 'verità' perché non può averla, perché non ne ha un'altra dietro a quella del suo carattere e del suo mestiere. Per Balzac il 'destino' socialmente determinato di una persona, legato alle sue origini e al suo ruolo, rappresenta una seconda natura così marcata da oscurare qualsiasi prima natura, da "uccidere tutto". Ho prima fatto cenno ad un secondo elemento presente nel brano di Tolstoj citato all'inizio. In questo brano c'è un'affermazione che in un primo momento ci lascia stupiti: "l'uguaglianza degli uomini tra loro non è mai esistita in nessun luogo, né esiste". L'uguaglianza dunque non è qualFilippoLa Porta - 17
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