Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

na,rrativae memoria grandi ospedali sono troppo affollati e troppo anonimi per consentire questo ''visitare i malati'' che è anche un conversare senza fine, col malato, quando può, o sopra il malato quando non ce la fa proprio, tra sudori e svenimenti. Attraverso il tema della malattia, si ripercorrono genealogie e migrazioni, vecchi sgarbi, folgoranti successi e mancate carriere, si riaffermano valori, si danno indirettamente notizie (la signora che annuncia la sovrabbondanza di raccomandati al concorso del figlio non sta enunciando una ovvietà ma informa in effetti che pensa che il concorso sia andato male, e perciò precostituisce una difesa), si lanciano insulti sanguinosi mascherati da ringraziamenti. Normale chiacchiera di una città di provincia, si dirà. Anche; ma altre culture censurano assai di più il riferimento alla malattia, mentre qui è tutto un intrecciarsi di morbi, una riconferma delle parentele nell'affinità delle morti e delle invalidità, un riaffermarsi di alleanze e un vantare capacità nel procurarsi diagnosi e interventi. Attraverso l'epica del posto letto conquistato o del primario taumaturgo assicurato, si dispiega l'intera rete delle relazioni politiche di un gruppo di paesi che è ora una parte di città. Vengono a famiglie; giovani, vecchi e bambini. E che i bambini subiscano è macabro ma inevitabile. Invece che i giovani partecipino è una vera sorpresa. Vengono di più classi sociali: le madri dei bambini accuditi, i vecchi del paese, i parenti dimenticati dall'ultimo infarto, ma anche qualche famiglia di professionista (magari per via di mio fratello, professore alla Normale, che è bene non trascurare). Niente raccoglimento e timore della morte, che viene tardi la sera, quando è ora di andare a letto e bisogna prendere le poche precauzioni vere della giornata, perché non capitino incidenti traumatici quando le infermiere sono rare e insonnolite. Invece la ricomparsa della società dei cugini e degli averi, delle clientele, con l'aggiunta della sgradevolezza e dell'egoismo dei vecchi. Anni di sradicamento, di anonimato, di rifiuti miei anche, credo mi abbiano tolto ogni aspirazione al prestigio sociale. Per me è quasi una scelta, oltre che un fatto. Perciò mi accade più facilmente di deprimere che di esaltare la condizione ed i luoghi in cui sono nato. L'ospedale invece è un rincorrersi di vanti. Poi è venuto il rapido precipitare verso la fine, l'appannarsi della parola, della persona (stava male e perciò voleva tornare in ospedale, da casa, dove l'avevamo portata, per togliersi il male; e bisognava spiegare a lungo e molte volte, a lei che era stata acuta, ed anche dura con se stessa, che la vita da allora sarebbe stata così, che non c'erano altre medicine che quelle). È venuta anche la solidarietà. Le ultime settimane sarebbero state impossibili senza la vecchia solidarietà di paese: ma questo non è una caratteristica del solo Appennino. Ho saputo della morte, per via, tra un treno e l'altro, ad una stazione, col freddo, naturalmente, e la nebbia, come si conviene. Ed è stato necessario ripercorrere tutta la trafila delle cose da fare. Le pomFrancescoCiafaloni - 161

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==