Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione mi da risolvere nella propria esistenza. In loro pensare è sempre decidere della propria esistenza, secondo un'ispirazione comune ad altri autori dell'800 e che si può far risalire a Rousseau. È proprio questa ispirazione radicale che farà della Weil e di Tolstoj degli spiriti anticonformisti, 'eretici', insofferenti verso dogmi e istituzioni, irriducibili alla tradizione, refrattari a riconoscersi in qualsiasi chiesa o ordine costituito. Sempre all'interno di questa affinità 'di spirito' c'è poi un'altra attitudine comune. Interessati tutti e due ad una trasformazione della società e ai mezzi di tale trasformazione, mettono però l'accento più sulla pedagogia e sull'impegno etico che sulla politica, più sul valore dell'esempio che sulla necessità di un'organizzazione. Sappiamo quanto la Weil riflettesse con originalità su tutti i problemi connessi a quella che nel linguaggio marxista viene chiamata 'sovrastruttura' (divisione del lavoro, modi di produzione, etc.), ma non si faceva illusioni su certi 'automatismi' presenti nella 'cultura della trasformazione' della 'sinistra'. E così i suoi discorsi più politici insistono sempre sul mutamento delle coscienze, sull'iniziativa individuale, sulla necessità di sviluppare riflessioni critiche sulla società attuale senza preoccuparsi della loro efficacia immediata. Ma vediamo ora i temi su cui il pensiero della Weil e quello di Tolstoj si incontrano non superficialmente, cominciando da quello che mi sembra centrale: l'uguaglianza. L'uguaglianza e la forza "Il riconoscimento dell'uguaglianza degli uomini è un fondamentale carattere di ogni religione. Ma poiché in realtà l'uguaglianza degli uomini tra loro non è mai esistita in nessun luogo, né esiste (... ) coloro ai quali l'ineguaglianza è utile si sforzano di nascondere questo fondamentale carattere dell'insegnamento religioso, corrompendolo" (L. Tolstoj, Che cos'è la religione): ''tutto ciò che contribuisce a dare a colore che sono al fondo della scala sociale il sentimento che hanno un valore è, in un certo senso, sovversivo" (S. Weil, OP, p. 205). Nel passo di Tolstoj che ho citato due mi sembrano gli elementi su cui tentare una riflessione. In primo luogo l'indicazione di un nesso necessario, imprenscindibile tra qualsiasi religione e il riconoscimento dell'uguglianza di tutti gli uomini, poiché "ciascuna dottrina religiosa nel suo vero senso, per quanto possa essere grossolana, stabilisce sempre una relazione dell'uomo con l'infinito, uguale per tutti gli uomini". In questa formulazione e nella sua radicalità mi sembra si possa ravvisare il legame dello scrittore russo con un cristianesimo delle origini, con l"'antico realismo cristiano", come ha osservato Auerbach, con l' "idea cristiano-patriarcale della dignità creaturale insita in ogni uomo" (E. Auerbach, Mimesis, Einaudi, voi. 2, p. 300). Un'idea che potremo considerare, nella sua radicalità, estranea alla modernità, se pensiamo che nella Russia dell' '800, così come nei romanzi di Tolstoj e di Dostoevskij, è assente quella borghesia illuminata che "ovunque altrove sta alla base della cultura moderna in generale" (Auerbach, ibidem). Sappiamo infatti che l'uguaglianza era sì uno dei valori scritti enfaticamente sulle bandiere della rivoluzione francese, ma la versione illuministico16 - FilippoLa Porta

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