Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

narrativae memoria Ci sarà pure qualche motivo per cui della città dove abito ora, e che non è nè mediterranea nè illira nè montanara, odio le case ma amo i cittadini. Forse l'emigrazione, l'industria e quella particolare forma della memoria che è il dimenticare mi hanno costretto a Kant. Hanno costretto me, come hanno costretto prima di me e insieme a me generazioni di tutte le stirpi che hanno lasciato il paese, i parenti e la terra per cercare, invece della solitudine della campagna, inquadrata da una rete di rapporti e di vincoli, la solitudine astratta delle città, garantita dall'anonimato. * * * Esiste però un modo più opaco e corporeo di dimenticare. Esiste una specifica sopr:avvivenza,nei rimasti, negli inurbati a fondo valle, dei rapporti, dei riti, degli affetti, di una volta. Non la si vede nei giovani, sul lavoro, o nei rapporti politici. La si vede, nei giovani e nei vecchi, e soprattutto stupisce nei giovani, quando affrontano la malattia o la morte. Un anno ho assistito nella malattia e vegliato da morta mia madre. Ed è stata la prima volta in cui ho dovuto decidere di persona le molte parole che bisogna dire e le poche cose che bisogna fare in questi casi. Mi sono trovato ad essere, per la prima volta, il più vecchio che fosse in grado di decidere. E sono, da allora, in famiglia, il più vecchio. Il contesto, all'apparenza, non avrebbe potuto essere più moderno e lontano dai modi dell'ammalarsi e del morire di una società contadina. Nelle città della terza Italia lo spreco dell'assistenza si è realizzato costruendo molto per guadagnarci molto e non rubando direttamente i soldi, come nell'estremo sud. Perciò gli ospedali sono moderni, grandi, ben tenuti, con molti letti vuoti, molti addetti (alla usl nelle città è impiegato il 4070 degli abitanti) molte attrezzature, molti primari, molte analisi. Persino le infermiere sono cortesi, perché sono nuove, non logorate da decenni di malati e di morti. Perciò, almeno per i parenti dei laureati, che conoscono per ragioni generazionali almeno qualche primario, la routine dell'ammissione, del letto, del cibo son efficienti e senza storia. Niente di simile alla malattia e alla morte in montagna, al medico condotto che arriva, quando arriva, dopo ore di viaggio e di cammino, alle morti che sono solo morti, senza il nome di una malattia (un nome che per i veramente vecchi è quasi sempre una menzogna, perché alla fine di qualcosa bisogna pur morire). Qui invece, come in tutti gli ospedali contemporanei, l'attenzione è tutta sull'intervenire e il guarire, non sul morire. Bisogna analizzare e capire per intervenire e cancellare il male. Poi ci si accorge che le cose non stanno proprio così e che l'ospedale è un pezzo, particolarmente contorto, del sistema politico italiano. 158 - FrancescoCiafaloni

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