Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

narrativae memoria chi si vuole, dove si vuole, gli viene poi negata nei giorni di festa, quando tornano ad emergere consuetudini e divieti, e necessità di accompagnamento, e verifiche. Mi chiedo però se non si tratti di problemi del tutto analoghi a quelli delle famiglie emigrate, residenti in Emilia o a Torino. I miei amici (ne conosco alcuni da trent'anni, altri sono assai più giovani, e li ho conosciuti dalla fine degli anni '60 ad oggi) hanno tutti convinzioni politiche analoghe e sono tutti politicamente attivi. È stato questo il fulcro del manternersi dell'amicizia, che è anche altro, naturalmente, ma ruota intorno a problemi e scadenze politici. Ho mantenuto con loro una sorta di discussione collettiva a puntate, talora molto lontane, durata più di un decennio e, vista la natura ~deldecennio, straordinariamente coerente. Anche per questo mi è sembrato di percepire uno stacco forte rispetto al passato e il ricostituirsi di una società, che sembrava andata in pezzi per l'emigrazione e l'industrializzazione. Gli interessi, i problemi, i rapporti personali mi sono se~brati del tutto identici a quelli dei loro coetanei padani. Un universo di individui, non di famiglie, con pochi ricordi e molte speranze. Un universo, mi è sembrato, forse più coeso, con meno problemi di integrazione rispetto ad uno analogo a Torino. Forse più simile a quello dei grossi paesi pedemontani, in bilico tra industrializzazione e agricoltura. Ma anche li ci sono immigrati, mentre in Abruzzo non ce ne sono. E pure questa società commerciale, agricola e industriale, per ora in fragile equilibrio, è più complicata di così. * * * Le cesure della mia percezione mi sembrano rappresentate da due morti. La prima è la morte di mio padre, avvenuta nel giugno 1969, qualche giorno prima di corso Traiano, la manifestazione operaia caricata dalla polizia che rappresenta l'inizio dell'autunno caldo. È stata una morte caratterizzata dalla sofferenza e dalla accettazione della sofferenza più di quanto in genere non accada e di quanto io ritenessi possibile. Una morte preceduta da una sorta di testamento morale ai figli, prima che la sofferenza distruggesse la coerenza della persona, e circondata da una rete di rapporti d'altri tempi. Reggeva ancora il tessuto dei parenti, tutti un po' anziani, adesso quasi tutti morti. Naturale che mio padre morisse più o meno come era morto mio nonno, salvo alcuni particolari tecnici e stagionali. Mio nonno lo avevano portato a spalla, in una grande giornata chiara di vento. E poi c'era stato il pranzo di funerale (bisogna pur rifocillare chi è venuto a piedi di lontano) in cui si ride e si scherza come se il morto non fosse stato appena coperto di terra (bisogna pur esorcizzare la morte). Ma io avevo avuto quasi fisicamente il voltastomaco per questa faccenda e credo di aver odiato le cerimonie, tutte, e in particolare quelle allegre, da allora. Avevo sei an156 - FrancescoCiafaloni

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