Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

narrativae memoria massa, esattamente come i loro coetanei emiliani o veneti o come i loro amici emigrati in Lombardia o in Piemonte. Anche le distanze, lo spazio erano mutati. Ero abituato a pensare al paese come un posto molto distante, isolato. L'andare e il tornare dal paese alla città e dalla città al paese erano stati il tessuto delle mie giornate per otto anni. La salita al paese era stata l'ultima tappa dei ritorni per altri dieci anni; una tappa non facile, una facèenda di ore, incluso l'inevitabile tratto finale a piedi. Ma poi, quando non c'era più motivo di salire, un ultimo appalto elettorale del partito di governo, un programma di case popolari su una collina a metà strada, e alla fine i trionfi edilizi e le necessità di trasporti di un supercarcere che oggi corona la collina di fronte a quella che era stata la mia finestra, avevano fatto il miracolo. Oggi alla casa di mio padre, che è ancora in piedi in barba ai regolamenti comunali e alla frana, che si è fermata a un metro dal muro, si arriva in macchina in mezz'ora. Il paese non è deserto perché si è ripopolato di un paio di famiglie grazie ad un'economia mista: lavoro dipendente in città, un po' di pastorizia, un po' di agricoltura dove è possibile, e in prospettiva le seconde case dei professionisti di città (ce ne sono ormai solo un chilometro a valle). La strada dalla città al mare, che una volta era sembrata larghissima, tanto da essere entrata in metafore e iperboli ad indicare la larghezza, sembra da dieci anni un budello, intasata come l'Adriatica, fiancheggiata dalle repliche a valle dei paesi che si sono a mano a mano spopolati in collina, punteggiata la sera dal neon dei supermercati, dei negozi, delle rivendite di auto, delle fabbriche tessili e di mobili. Un pezzo di periferia della megalopoli padano-adriatica, una città lineare con ingrossamenti agli incroci, un luogo di pendolarità totale, per la scuola, per il lavoro (il percorso in genere è in senso inverso, perché le scuolesono nella città, impiegatizia e amministrativa, i luoghi di lavoro sono decentrati e portano a un flusso mediamente centrifugo), per andare a trovare gli amici, il ragazzo, la ragazza; anche per ammalarsi e . . per monre, s1pensa. Se si ha la sfortuna di prendere i pullman che vanno dal mare alla città quando chiudono le fabbriche (che sono minime) o dalle città al mare quando chiudono le scuole si viaggia sommersi da una marea di ragazzini e ragazzine di età sostanzialmente simile, ben più che in un tram a Torino. Tra gli operai, quelli che vanno verso la città, la sera prevalgono le ragazze, come è naturale dato il tipo di fabbrica. Si comportano esattamente come a Torino; sentono la stessa musica; vedono la stessa televisione; hanno la stessa (relativa) indipendenza. Ora, in questi anni e per poco tempo, grazie ad uno sviluppo sfasato sono forse persino, per la prima volta, meno disoccupati che a Torino e quindi economicamente più indipendenti. Certo, si possono sentire lamentazioni di ragazzine che protestano perché la libertà di movimento che gli vieneconcessa per andare a lavorare, che implica l'andare a spasso con FrancescoCiafaloni - 155

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