Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione tuali) onesto, seriamente motivato, non manipolatorio o strumentale, dovrebbe comportare, tra l'altro, scelte obbligate, conflitti con se stessi, rotture, percorsi mai lineari, etc. Tutte cose poco diffuse, almeno così mi pare, nell'attuale dibattito culturale. In quello scritto Tolstoj osserva che un uso della 'ragione' puramente strumentale e giustificatorio tende a produrre un'attività intellettuale "particolarmente raffinata, molto complicata e menzognera", ragionamenti oziosi, volutamente oscuri, con il risultato di avvolgere le principali questioni in una "maglia di raffinate inversioni di concetti e di parole, di sofismi" (L. Tolstoj, Che cos'è la religione). Weil-Tolstoj: una proposta di 'incontro' Vorrei proporre un confronto tra Simone Weil e Lev Tolstoj, con particolare riferimento ad alcuni temi e ad alcune opere. I temi sono quelli dell'uguaglianza, della forza e del sentimento della realtà. Le opere sono, rispettivamente, il primo volume dei Quaderni (Q), lo scritto sull'Iliade (in La Grecia e le intuizioni precristiane - GIP) e la Prima radice (PR), e Guerra e pace (GP) e Anna Karenina (AK). Perché questo confronto? Innanzitutto per un motivo per così dire personale, e dunque in parte casuale, legato cioè ad un interesse verso certi temi e autori, ad una ricerca e ad un orientamento personali che precedono la lettura comparata dei testi che prenderò in esame. Così come anteriore a questa lettura è l'intuizione di una affinità tra lo spirito della Weil e quello di Tolstoj, anche al di là di un'ascendenza culturale e morale effettivamente riconosciuta, al di là delle molte diversità. Sappiamo infatti che la Weil, pur conoscendo l'opera di Tolstoj, e pur avendola letta con attenzione, come testimoniano i riferimenti presenti nei suoi scritti (Q I e Oppressione e libertà - OL), non lo assumeva probabilmente come autore con cui dialogare con continuità e in profondità. Non appare infatti il nome di Tolstoj tra gli autori dei suoi corsi di filosofia (in cui pure troviamo degli scrittori, come Balzac e Hugo) né nell'elenco di quegli spiriti nobili che non si sono conformati alla cultura della forza (cfr. G. Fiori, S. Weil, Garzanti 1981, p. 209). Il dialogo a distanza quindi, di cui tenterò di ricostruire alcuni frammenti, sarà un dialogo in larga parte immaginario, fondato su ipotesi e impressioni che andranno poi sviluppate e verificate più ampiamente. Dialogo comunque che non ruoterà tanto su quei temi comuni che la Weil stessa volle esplicitare, ma che sarà centrato su altri temi, su altre affinità. Ho prima parlato di un'affinità 'di spirito'. Un'espressione certo semanticamente debole, ma che ha il merito di portarci subito oltre una prossimità puramente ideale. Credo infatti che, al di là di un confronto che permette di illuminare alcuni concetti weiliani con la luce di una narrazione che aspirava a riprodurre il fluire della vita stessa, tra i due ·autori ci sia qualcosa in co-. mune in una sfera che viene prima ancora della sfera del pensiero. Sto parlando di una passione della verità, che esce fuori dai libri per premere sulla loro esistenza, sottoponendola continuamente a critica, imponendole svolte. Fin dai giovanili Racconti di Sebastopoli Tolstoj ebbe a scrivere: "L'eroe del mio racconto (... ) è la verità". E così la Weil in OL scrive: "non c'è che una medesima ragione per tutti gli uomini", ragione che, nel suo pensiero, è la capacità di pensare la verità. Entrambi hanno sempre voluto affrontare i problemi che via via gli si presentavano non come problemi meramente intellettuali, ma come probleFilippoLa Porta - 15

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