Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

raccontiitaliani paiono sfondare il buio, emergere da amare solitudini. Aveva pensato agli arabi che avevano attraversato le gole profonde di una Sicilia che forse essi, per primi, videro splendida e lussuosa. La loro arte fu infatti tersa e oscura, fitta di incavi e di sottili colonne, gli archi dei loro palazzi univano (più che non separassero) ombre e luci. Poteva immaginarlo un discendente di quegli arabi. Forse meno a contemplare l'ondulato deserto da dietro una filigranata finestra, e più, invece, a seguire la scia diseguale e varia di un aratro, le orme affaticate e nette del cavallo; o uno di quegli oscuri e sottili ricercatori e eruditi che poi vennero a costituire la civiltà d'Occidente; quello sguardo sagace e triste che nasce dai sedimenti di una cultura senza nome, da antiche sventure e da silenziose vastità. * * * Leonardo Sciascia tossì come per catarro e per usura di bronchi. Accavallò le gambe, posò il gomito sul bracciuolo su di esso poggiando quasi l'intero corpo, che apparve curvo, minuto, del tutto indifeso. Brevemente chiuse gli occhi. Che è il suo modo, specie dopo il pranzo, di assaporare l'ultimo residuo di caffè attaccato al palato, intanto avidamente insinuandovi il fumo caldo e denso della sigaretta. Terrestremente, a Sciascia piace mangiare, quasi modo di consistere nell'essere. E circondarsi di gente che spesso lo annoia. Di regola continua, in tali casi, a socchiudere gli occhi, e ascolta. Talora sembra limitarsi a seguire il suono multiplo e concitato delle voci. "È strano" disse d'un tratto, interrompendo il discorso che uno dei suoi vicini andava sviluppando. Si parlava di letteratura e la cosa gli dava fastidio. A Sciascia, egli essendo un letterato e per di più finissimo (pur ostentando una forma di dispregio per i letterati. "È un letterato" usa dire ogni tanto. Quasi come dire: un uomo da poco), interessano meno le immagini dei fatti, e di più i fatti nei loro netti contorni. Humianamente, è un empirico. "Strano" ripetette. Guardò verso la porta. Si trovavano in un saloncino dell'albergo dove Sciascia usa alloggiare nei suoi soggiorni parigini. La porta, laccata, immetteva direttamente nella hall. C'erano fiori liberty alle pareti. Sciascia ama Parigi. Di Parigi gli piace l'ampiezza razionale delle strade, la gravità degli edifici, la solitudine enigmatica e austera di certe costruzioni che paiono scavalcare l'orizzonte; o lo stravolto silenzio di quelle piazzette che d'improvviso si incontrano, dove c'è una panchina, un gruppo di alberi alti e sottili, un vecchio seduto sulla panchina e un chiarore di crepuscolo che pare allungare il tempo e dilatarlo, mentre dietro gli alberi s'apre, di colpo, un crocevia dove, come ardite fiancate di navi, s'introducono obliquamente le maestose facciate dei palazzi.

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