Linea d'ombra - anno II - n. 5/6 - estate 1984

discussione Filippo La Porta Su alcuni temi inSimoneWeil e inTolstoj Introduzione Credo che in tutta l'opera di Simone Weil sia così forte e urgente l'esigenza di trovare un 'radicamento' alla cultura (nel mondo, nell'esperienza, nella natura stessa), l'esigenza di farla uscire "dall'atmosfera limitata e irrespirabile nella quale si trova chiusa", che non è possibile accostarvisi senza interrogarsi sulle proprie stesse motivazioni, sui modi e le forme della propria ricerca intellettuale, sulla natura delle sedi in cui questa ricerca abitualmente si svolge (convegni, riviste, università). Leggendo la Weil ci si trova continuamente di fronte a domande radicali e ineludibili, che premono esplicitamente per una rifondazione della stessa civiltà in cui abitiamo. Non intendo in quest_omodo stendere intorno alla Weil un'aura di intoccabilità, ma credo che, trattandosi di una 'voce' così diversa dalle voci che ci sono familiari, sarebbe innanzitutto utile farla pazientemente risuonare per un po' dentro di noi, in silenzio, per vedere soltanto cosa succede. Non ho intenzione di prescrivere un metodo buono per tutti. Sto solo parlando di un'esperienza molto personale di lettura. Ma ho avuto l'impressione, da certi articoli sulla Weil apparsi ultimamente, che le sue appassionate e urgenti domande vengano sistematicamente neutralizzate o eluse. E che la 'voce' stessa della Weil, ridotta ad un suono sottile e opaco, stenta a distinguersi dalla voce, peraltro sempre perentoria e (apparentemente) chiara, dell'estensore dell'articolo. 'Radicare' il pensiero nel lavoro, evitare i pensieri che non raggiungono l'oggetto, affrontare solo difficoltà che si incontrano effettivamente, avere a che fare con ostacoli reali, dunque anche ineludibili. L'antiintellettualismo della Weil non è mai demagogico, non è mai cinico richiamo al principio di realtà. Si esprime soprattutto come richiesta di una 'concretezza' del · pensiero, che può essere data solo da un rapporto con la 'necessità'. E poi come protesta contro un uso della cultura puramente 'corporativo', come strumento cioè di autoriproduzione di ceto (di potere e di privilegi). Vorrei qui introdurre subito il confronto che più in là tenterò di proporre. Tolstoj in un suo scritto teorico poco conosciuto parla del rapporto tra ragione e comportamento. Personalmente credo che un uso della 'ragione' (intendendo con questo termine semplicemente le proprie facoltà intellet14 - FilippoLa Porta

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